Omelia (26-02-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto Ogni anno iniziamo la quaresima leggendo il racconto delle tentazioni di Gesù. Quest'anno, dedicato alla lettura continua del Vangelo di Marco, ci troviamo di fronte ad una pagina evangelica nella quale manca la descrizione particolareggiata delle tentazioni trasmessa dagli altri due sinottici, Matteo e Luca. Questo può diventare motivo di arricchimento se prendiamo atto che normalmente i particolari del racconto occupano lo spazio principale nella nostra riflessione: se i particolari delle tentazioni ci invitano a riflettere su ambiti precisi della nostra esistenza, (il denaro, il potere, la gloria.) orientandoci nel cammino quaresimale di conversione, essi rischiano di distoglierci dal senso fondamentale della "tentazione" nell'esperienza di Gesù e nella nostra. Il racconto della tentazione in Marco è così breve, Mc.1,12-13, che il lezionario liturgico ha aggiunto i due versetti successivi con la sintesi del messaggio di Gesù e l'inizio del suo ministero. Nella prima domenica di quaresima, questo richiama il senso dell'impegno quaresimale, cammino di conversione e di nuova adesione di fede: "Convertitevi e credete al Vangelo", è l'invito che la Liturgia, rivolge ad ogni cristiano nel giorno delle Ceneri. Questo ci invita a riflettere con maggiore attenzione sul senso della tentazione di Gesù che Marco ha voluto trasmetterci. Anzitutto, Marco stabilisce uno stretto rapporto tra il racconto della tentazione e quello del battesimo immediatamente precedente: l'avverbio "subito" suggerisce la quasi simultaneità dei due episodi; lo Spirito santo opera in entrambi gli eventi come soggetto in rapporto a "Lui", Gesù. Il Battesimo nel Vangelo di Marco, è presentato come un'esperienza vissuta da Gesù, nella quale egli "risalendo dall'acqua vide i cieli aperti e lo Spirito come una colomba che discende verso di Lui". E Marco aggiunge: "E ci fu una voce dai cieli: 'Tu sei il mio figlio amato; in te mi sono compiaciuto'". Al suo immediato ("subito") risalire dall'acqua del battesimo, Gesù vede lo Spirito discendere verso di Lui come una colomba: al suo sorgere dalle acque della morte dove lo aveva sepolto il battesimo, i cieli si squarciano perché lo Spirito discenda e irrompa una voce celeste. Lo Spirito viene su Gesù e sulle acque, come preludio di una creazione nuova. Questa teofania, come Marco la descrive, inaugura il percorso di Gesù ed è riservata a Lui solo: il Vangelo la annuncia ai suoi lettori che oggi siamo noi. Siamo così ammessi a questa esperienza di visione e di ascolto: ciò che ci è rivelato di Gesù, della sua identità e della sua missione è quanto più interessa al Vangelo di comunicarci. Gli altri personaggi del Vangelo lo scopriranno pian piano e il velo cadrà veramente solo con la morte di Gesù. Ma noi siamo già avvertiti che potremo essere partecipi della nuova creazione vivendo con Lui la stessa esperienza. E il Vangelo collega immediatamente la teofania del battesimo con l'esperienza di Gesù nel deserto: "E subito, lo Spirito lo getta nel deserto. Ed era nel deserto, quaranta giorni, tentato da Satana: ed era con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". Confrontato con il racconto di Matteo e di Luca, questo testo rivela tutta la singolarità di Marco, la sua concisione e la densità simbolica, con la ricchezza inesauribile del messaggio che vuole comunicare. Lo Spirito sembra essere disceso per spingere Gesù nel deserto e scontrarsi con Satana. Il verbo "spingere, buttare, gettare" sottolinea la necessità di questo confronto per il Figlio amato, animato dallo Spirito: invece di dare gloria agli occhi degli uomini a colui che è più grande di Giovanni, lo Spirito lo spinge nel deserto per quaranta giorni ed essere tentato. Ogni parola qui è evocativa di parole e situazioni dell'Antico Testamento, il deserto, i quaranta giorni, la tentazione, che Marco riprende per annunciare la novità di Gesù. Appena la voce del cielo dice: "Tu sei il mio figlio amato, in te mi sono compiaciuto", lo Spirito che è disceso su di Lui, "lo getta nel deserto". Gesù è il Figlio amato dal Padre, mandato a condividere tutto ciò che è umano, la fragilità, la debolezza, il dolore, la solitudine, la morte. Gesù è il Figlio al quale il Padre dona tutto il suo Amore e che porta l'Amore del Padre nel profondo della carne dell'uomo. La volontà buona che il Padre vede realizzata in Gesù è la condivisione con la esistenza fragile della creazione: l'incarnazione. Ed è lo Spirito l'Amore che discende su Gesù e che con Lui discende nella fragilità dell'uomo. Così il deserto è il luogo della debolezza, della solitudine, in cui manca tutto, ma è il luogo in cui si fa presente l'Amore del Padre. "Ed era nel deserto quaranta giorni tentato da Satana": il numero quaranta è ben conosciuto nell'A.T. Qui può essere interpretato come il tempo di passaggio (l' "esodo"): il passaggio del Figlio dal Padre al mondo e dal mondo al Padre, tutta l'esistenza umana di Gesù. Nel tempo della sua esistenza nella storia, Gesù è "tentato da Satana". Marco ci invita ad entrare nel mistero di Gesù, nel punto più profondo della sua identità, dove l'uomo e Dio si incontrano, il finito e l'infinito, il nulla e il tutto, la morte e la vita, l'Amore. Bisogna che Gesù discenda, perché lo Spirito scenda verso di Lui e lo rigeneri: bisogna che Gesù muoia perché possa risorgere, bisogna che si svuoti di sé per essere il Figlio amato dal Padre. La "tentazione" di Gesù ci riporta alla seria verità della sua esistenza: troppe volte ci accontentiamo delle nostre enunciazioni dogmatiche che poi ci allontanano dalla comprensione vera di Lui e di ciò che Lui significa per noi. "Gesù tentato da Satana": il cuore di Gesù, il suo "io" più profondo è il luogo dell'incontro tra Dio e l'uomo; è il luogo della paura dell'uomo, dove l'uomo sente il bisogno di aggrapparsi a se stesso, a qualcosa che lo sostenga, è il luogo della lotta. Anche Gesù ha provato tutto questo, anche in Lui l'umanità ha gridato, e la lotta è diventata terribile quando sentiva il Padre così vicino e proprio per questo così lontano: "Abba'! Padre, Tutto è possibile a te! Allontana da me questo calice! Ma non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi!" (Mc.14,36). La tentazione è sentire il grido che sorge dal profondo dell'umanità di far prevalere il proprio "io", la propria razionalità di fronte ad una proposta di Amore che sembra assente, assurda, illusoria. "Non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi!": è una preghiera altissima, ma lancinante; il passaggio dall'affermazione di sé all'accettazione della volontà del Padre, richiede la drammatica spogliazione di sé. La tentazione è: credere o non credere l'Amore. Gesù ha creduto l'Amore, ha sperimentato tutta la paura umana e si è affidato al Padre, per questo è il Figlio amato. Marco termina con un'ultima nota: "Stava con le bestie selvagge e gli angeli lo servivano". La interpretazione comune trova qui la proclamazione del fatto che con Gesù, nuovo Adamo, si è realizzato il giardino iniziale che il peccato ha distrutto. Interpretazione possibile ma che può condurre alla relativizzazione della durezza della tentazione. Forse, Marco continua a descrivere la tentazione: Gesù che ha proclamato di essere venuto non per essere servito, ma per servire, anche negli "angeli che lo servono" trova un motivo che si frappone alla radicalità della sua libertà. Solo l'Amore del Padre è il senso della sua esistenza. Così: il battesimo di Gesù è l'incarnazione di Dio nella storia, la tentazione è la situazione vissuta da Gesù, in cui l'Amore si offre e chiede di essere accolto. Gesù è il Figlio che ha creduto l'Amore e continua a gridarlo al mondo: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo". |