Omelia (26-02-2012)
Ileana Mortari - rito romano
Gesù rimase nel deserto quaranta giorni

Nel ciclo triennale della Quaresima la Liturgia Romana della Parola ci fa ripercorrere le grandi tappe della storia della salvezza, scandite dalla 1° lettura: così ad esempio nella 1° domenica di Quaresima dell'anno A leggiamo la creazione dei progenitori e il peccato originale, nel B la vicenda di Noè, nel C la professione di fede del popolo eletto (Deut.26); nella 2° domenica A c'è la vocazione di Abramo, nel B il sacrificio di Isacco e così via. Sono le tappe che verranno ricapitolate nella Veglia pasquale. Invece i vangeli dei tre cicli A B C (rispettivamente Matteo, Marco, Luca) sottolineano ogni anno un tema particolare: nell'anno A abbiamo un itinerario battesimale, nel B il mistero di Gesù, nel C la tematica penitenziale.

I vangeli quaresimali di quest'anno, dunque, ci aiuteranno a penetrare più a fondo nel mistero di Gesù, così che possiamo anche partecipare più pienamente al mistero pasquale della SS. Eucarestia.

Vediamo dunque quali aspetti del mistero di Cristo ci presenta il vangelo odierno.
Perché Gesù, che è appena stato investito della sua missione nel Battesimo, va nel deserto? E perché è tentato?

"Dal punto di vista storico si può pensare che questo racconto nasconda il ricordo, attestato anche da altre tradizioni (cfr. Gv.3,22-24), di un periodo trascorso da Gesù nel deserto insieme a Giovanni Battista, prima di dare inizio in modo autonomo alla sua missione. E' possibile che nel deserto Gesù abbia subìto veramente un attacco del demonio e abbia dovuto lottare contro le sue suggestioni. Ma è più probabile che sia stata la comunità stessa a voler sintetizzare in un quadro simbolico estremamente lapidario quello che sarà il tratto peculiare del ministero pubblico di Gesù." (A.Sacchi, Un vangelo per i lontani - Marco, p.81)

Nella tradizione biblica il deserto è il luogo della "prova", che secondo la Scrittura è la situazione di difficoltà in cui si trova il credente, quando i valori che lo guidano vengono sottoposti ad una pressione, sono messi in crisi ed egli deve appunto "dare prova" di sé, operare delle scelte che rivelino la sua fedeltà o meno ai valori minacciati.

Nel deserto l'uomo è proteso solo verso le necessità fondamentali, l'acqua e il cibo; cadono le sovrastrutture e gli pseudoproblemi, si diventa persone essenziali, pronte a cogliere la radice delle cose e non solo la loro superficie. Per questo nella Bibbia il deserto è il luogo in cui il singolo e il popolo stesso possono vivere il loro rapporto con Dio con maggiore intensità e profondità, perché nel deserto ci si sente impotenti e dunque si è più disposti a rifugiarsi in Dio e ad abbandonarsi al suo provvidente aiuto. Per tutte queste ragioni nella Bibbia spesso il deserto rappresenta il luogo della preparazione a una missione divina. Così è stato per Mosè, che vi sperimentò la rivelazione di Jahvè (Es. 3,1 e ss), così per Elia, che vi ascoltò la parola divina (1° Re 19,18) e così fu per Gesù, che rimase nella solitudine del deserto per quaranta giorni (i quali richiamano i 40 anni degli Israeliti nel deserto), prima di iniziare il suo ministero pubblico.

Ma il deserto è anche il luogo della tentazione. Proprio perché abbandonato a se stesso, l'uomo - se non è sorretto da una forte fede-fiducia in Dio - può cadere preda di nostalgia del passato (gli Ebrei al seguito di Mosè rimpiangevano le cipolle e il pane a sazietà dell'Egitto) o di ribellione nei confronti di Dio, le cui richieste sono avvertite come troppo esigenti (vedi ancora le varie proteste del popolo ebraico verso Mosè e verso Jahvè).

Pure Gesù, che ha voluto condividere in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana (cfr. Ebrei 4,15), ha vissuto il suo "deserto" di preparazione e tentazione. Lì lo ha "sospinto" lo Spirito proprio per confermarlo nella missione ricevuta al Battesimo mediante la prova, lo scontro aperto col Tentatore. Però Marco non ci illustra (come fanno Matteo e Luca) il contenuto delle tentazioni, si limita a dirci che Gesù era "tentato da Satana", probabilmente perché secondo lui l'esperienza di Gesù è indicibile, non può esserci analogia tra le sue e le nostre prove.

Ma, come ricaviamo dagli altri due sinottici e dalla vicenda stessa di Gesù, possiamo dire che le varie tentazioni di Gesù sono in sostanza riconducibili ad una: seguire la via di un messianismo terreno, fatto di gesti spettacolari e imperniato sulla conquista del potere e del consenso popolare; infatti, come già aveva fatto con Adamo, Satana tenta Gesù circa il suo rapporto con il Padre, cerca di insinuare anche nel Figlio il dubbio riguardo a Dio, così da non fidarsi più di Lui; vuole indurlo a privilegiare la sua autonomia, a piegare Dio a un suo progetto umano.

Ma, al contrario di Adamo, Gesù risulta assolutamente vincitore, come si capisce dalla scena idilliaca del v.13 b: "Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". Per noi e la nostra cultura queste parole dicono poco o niente, anzi disegnano un quadretto un po' assurdo! Ben diverso era il suo significato per un ebreo che aveva familiarità con la Scrittura, della quale vari passi descrivono l'armonia tra l'uomo e il creato, in particolare tra l'uomo e gli animali.

Anzitutto troviamo questa armonia nel Paradiso terrestre, nella condizione perfetta creata da Dio, dove Adamo dà il nome agli animali (Gen.2,20) e si ciba solo di erba verde; poi con il peccato originale essa viene infranta, ma la Scrittura la ripropone quando parla di quel Regno messianico che viene più volte promesso e prospettato da Jahvè, quale oggetto di una speranza indefettibile. Basti pensare a Isaia 11,6-9: "il lupo dimorerà insieme con l'agnello.....il lattante si trastullerà sulla buca della vipera....."; o a Osea 2,20: "In quel tempo farò per loro un'alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo....."

Quanto agli angeli, li ritroviamo pure in vari passi del Primo Testamento (Salmo 90/1; 1° Re 19,8, etc.) come segno di singolare assistenza da parte di Dio; secondo un'interpretazione giudaica, nel Paradiso terrestre prima del peccato gli uomini non dovevano faticare, ma erano nutriti dagli angeli. Nel testo di Marco essi erano presso Gesù, gli facevano compagnia e gli prestavano continuamente (è il senso del tempo imperfetto del greco) i loro servizi.

Allora il senso del "quadretto idillico" è chiaro: quel Paradiso terrestre, che era stato chiuso dal peccato di Adamo, ora viene riaperto da Cristo, il "nuovo Adamo", il Messia che si diceva sarebbe venuto dal deserto. Quel regno messianico-escatologico, tanto descritto e tanto atteso, è ora presente nella persona di Gesù, che sta con le fiere e gli angeli. Quel lungo tempo di attesa che ha varcato i secoli dal tempo di Abramo, è ora "compiuto" e "il Regno di Dio è vicino" (v.15). Questa è la missione di Gesù: l'annuncio e la realizzazione del Regno di Dio tra gli uomini.

La condotta di Gesù è esemplare per ciascuno di noi; non a caso la saggezza materna della Chiesa ci invita ogni anno a fare la "nostra" Quaresima, i "nostri" 40 giorni di deserto; e cioè: riscoprire l'essenzialità delle cose, lasciarci condurre dallo Spirito santo, fidarci di Dio e affidarci a Lui, dare più spazio al silenzio e all'ascolto della Parola e soprattutto riposare nella certezza (che la fede ci offre) che ogni potere di Satana sull'uomo uscito dalle mani di Dio è totalmente debellato da Cristo Gesù.