Omelia (14-12-2003)
mons. Antonio Riboldi
Gesù, ma che cosa dobbiamo fare?

Ci sorprende questo pressante invito che i Profeti ci inviano in questo tempo di Avvento, ossia di attesa del Natale. Siamo così perplessi a volte di fronte ad ogni seme di speranza, che sembra quasi follia abbandonarci alla gioia. Ma il Natale, ossia Dio che si fa vicino a noi, vestendo i nostri abiti, e questo per amore, non è forse il motivo della gioia che dovrebbe affacciarsi, come l'aurora di un giorno nuovo senza nubi?
E così oggi il profeta Sofonia parla: "Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il tuo cuore, figlia di Gerusalemme"!
Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme "Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore è in mezzo a te; è un salvatore potente"! (Sof. 3,14-18)
A dare voce a questa "gioia" è Giovanni il Battista che annuncia prossima la venuta del Messia. Facile immaginare - almeno per chi ha visitato Israele - la scena descritta dal Vangelo di oggi. L'evangelista Luca la situa proprio nel deserto, che costringe ad uscire dalla città, per annunziare il Messia, che avrebbe certamente dato risposta alla domanda di salvezza della umanità, ieri, oggi, sempre.
Nel deserto non arrivano le voci scomposte del mondo. Il deserto evangelico è il luogo dove gli uomini tacciono e si vive Dio. Ci andrà anche Gesù e tante volte. E oggi ci vanno quanti cercano il vero volto della vita, della gioia, che solo Dio sa donarci. Il deserto di Giuda, è davvero inospitale eppure allora tanta gente, di ogni condizione correva a vedere e sentire Giovanni il Battista. Giovanni con la sua vita, totalmente spoglia dalle scorie del mondo, indicava nel Messia la salvezza. E ti faceva venire la voglia di gettarti a capofitto nel Giordano per essere "battezzato" in un battesimo di conversione e penitenza. Era gente comune che per entrare in un ordine nuovo, in una mentalità nuova, che desse finalmente la necessaria pace interiore, era disposta a cambiare mentalità. Giovanni dava precise indicazioni: "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha: e chi ha da mangiare faccia altrettanto". Oppure, a quanti esigevano le tasse o davano prestiti: "Non esigete più di quanto vi è stato fissato": a sbandati che conoscevano "il diritto alla razzia" nelle terre che occupavano: "Non maltrattate e non estorcete nulla a nessuno, ma accontentatevi delle vostre paghe".
In quella folla, che si recava da Giovanni nel deserto, vien voglia oggi di desiderare di vedere l'innumerevole schiera di nostri contemporanei che forse vivono nella sbagliata sicurezza, senza minimamente condividere qualcosa con chi è ai limiti della sopravvivenza: oppure politici, che a volte sembra si siano scordati che il loro preciso dovere è di servire l'uomo e non altri interessi; o gente qualsiasi che è in cerca di quella serenità del cuore e non sa dove trovarla: o quella schiera di criminali di ogni razza, che sembra abbiano scelto la via della violenza o per odio o peggio ancora per fare soldi! Magari tutti questi trovassero oggi un "Giovanni Battista" - e ce ne sono - e lo ascoltassero!
Forse a tutti quelli che si recavano da Giovanni, facendosi da lui battezzare nel Giordano, sarà venuto in mente di avere trovato finalmente in lui il liberatore, colui che una volta per tutte avrebbe spazzato dal mondo tutti i mali che a volte lo rendono odioso ed insopportabile.
Ma Giovanni, nella sua umiltà, che è poi la verità di se stessi davanti a Dio, sa di essere solo "una voce", anche se questa "voce", che parla nel deserto; vale in quanto contiene "la Parola", la promessa della Presenza di Gesù.
La sua voce, cioè, manifesta la Parola di Dio: cielo sempre aperto per chi ha la forza, il coraggio di alzare la testa e guardarlo. "Io vi battezzo - ci dice ancora oggi Giovanni il Battista, tramite la sua Chiesa - con acqua, ma viene uno dopo di me al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali. Costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco: Egli ha in mano un ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio: ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile" (Lc. 3,10-187)
Il Vangelo dice che alcuni rimasero con Giovanni per condividere l'attesa del Messia, vivendone l'austerità della vita e la gioia dell'incontro.
Degli altri non parla. Certamente saranno tornati ai loro posti, con animo diverso, respirando a stento l'afa di questo mondo, che mischia urla e bestemmie, soffocando il respiro dell'amore. E forse sarà rimasta in loro la speranza che il Messia venisse presto. E Gesù venne tra di noi e noi sappiamo che è tra di noi, continuando la sua opera divina di salvezza nella sua Chiesa, dove parla, ama, porta la croce, perdona....e tante volte sceglie proprio la casa del nostro cuore, perché sua preferita dimora.
Capita tante volte anche a noi, Pastori, di sentirci come Giovanni Battista la gioia di accogliere tanta, ma tanta gente, che viene a chiederci, "cosa dobbiamo fare?" Ed ogni volta è una immensa grazia. Dietro ad ogni persona, uomo, donna e sopratutto giovani, vediamo l'azione dello Spirito che fa breccia e chiede spazio alla santità. Sono i più belli incontri; i doni dello Spirito che se fosse possibile vorremmo riempissero la nostra giornata. C'è tanta gente, ma tanta, stanca di questa vita; aveva creduto alla mentalità del mondo ed ora vuole conoscere la rinascita "nel Giordano". E questi incontri possono avvenire ovunque, nei modi più impensabili, perché Dio è lì dove meno te l'aspetti, sulla strada dell'uomo.
Un giorno, in una delle marce, che sembra siano oggi la caratteristica per dire dei no a tutte le forme che uccidono l'uomo, mi venne vicina, e non riesco a capire perché, una ragazza che mi chiese di viaggiare vicino "per una maggiore tranquillità", mi disse. Mi accorsi presto che era una tossicodipendente ed era in stato veramente pietoso: ma il suo volto ispirava tanta, ma tanta tenerezza. "Perché lo fai?" Le chiesi ingenuamente, alludendo alla droga. Con una risposta rabbiosa mi disse: "Perché lo faccio? perché è bello. COSA MAI CI AVETE INSEGNATO VOI PRETI DI BELLO? ma chi è mai poi il Cristo che voi dite sia la felicità? Se veramente lo è, perché non si fa vedere? Perché non ce lo fate vedere?" Uscivano domande ed imprecazioni a getto continuo che avevano l'aria della disperazione. Faceva veramente compassione quel volto sfregiato dal dolore. Non aveva vergogna di buttarti in faccia tutta l'amarezza del suo animo, che forse aveva sognato "Cieli meravigliosi" e si era trovato, senza sapere lei neppure perché, in una palude che non offriva uscite. Io non osavo neppure rispondere. Mi lasciavo sommergere da tutta quella rabbia e maledizione. L'unica mia risposta era lo sguardo, che non distoglievo dai suoi occhi. "Cosa posso fare, mi disse, cosa posso fare?" furono le ultime parole, come per cercare una uscita dalla disperazione.
Ci appartammo e chinammo il capo tutti e due come in cerca di una risposta. Nel silenzio mi passavano davanti agli occhi i tantissimi come lei, fino a confondermi. Presi un foglio di carta e scrissi questa preghiera: "Signore, questa sera non ho più voce, se non per dire parole vuote: insegnami a pregare, Signore in questa sera piena di voci che tradiscono: a trovare una voce che giunga a chi soffre, insegnami la voce della preghiera.
Signore, ti sto gridando che la vita di tanti e forse mia è così vuota di senso da non riuscire a volte a credere che il senso della vita sei proprio Tu: insegnami a pregare Signore, a volte ci rammarichiamo di non saper più cosa sia la gioia dell'amore e non ci ricordiamo che proprio tu sei l'Amore: insegnami a pregare. Padre, mio dolce Padre, stasera vorrei mostrare il tuo volto a questa mia sorella Nadia, che si è fatta una vita sbagliata ed il mio volto è diventato un frantume di ghiaccio per il dolore che vivo con lei: insegnami la preghiera che scioglie questo ghiaccio che fa morire il cuore. Signore, sono confuso al punto che la mia parola è solo un balbettio non sapendo più che dire: insegnami a pregare. Signore, dolcissimo Papà, vorrei regalare a questa sorella e a tane altre come lei un sorriso che sia come dire dal profondo del cuore, come fai Tu: "Dio ti ama teneramente come la pupilla degli occhi" ed invece ho gli occhi pieni di lacrime: "insegnami ad amare".
Non mi ero accorto che quella ragazza, Nadia, incuriosita seguiva la mia preghiera. Salutandomi mi disse solo: "Le avevo chiesto di tenermi compagnia perché mi sentivo insicura. Lei l'ha accettato di cuore e io l'ho ricambiata, sommergendola della mia rabbia e della voglia di uscire da quella rabbia. Ma ora so che l'amore esiste ed è il bello della vita. Le ho fatto male?" "Non importa, quello che conta è che tu abbia intravisto la speranza".
E Nadia il duro cammino verso la speranza lo ha fatto. Ora Nadia è altra cosa.
Per Nadia la vita ora è il Natale di Gesù.