Omelia (11-03-2012)
mons. Roberto Brunelli
La differenza tra il fatto e l'intenzione

Il vangelo di oggi (Giovanni 2,13-25) presenta un insolito Gesù "arrabbiato" che scaccia i mercanti dal tempio, perenne monito anche ai suoi seguaci a non mescolare sacro e profano, a servire Dio e non servirsene. Ma forse di maggiore impatto è la prima lettura (Esodo 20,1-17), col brano dei dieci comandamenti; li si conosce sin dal catechismo, ma contratti nella formula facile da memorizzare: oggi li si ascolta nella loro formulazione integrale. Ad esempio, quello conosciuto come "Ricordati di santificare le feste", per intero suona così: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai, ma il settimo è il sabato in onore del Signore tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha consacrato".
Ci sono scritti di cui il tempo non intacca la validità. I comandamenti, formulati per un piccolo popolo attendato nel deserto oltre 3200 anni fa, sono tuttora basilari per ogni civiltà e guida per la vita di innumerevoli uomini. Non se ne contano i commenti e le interpretazioni; tra tutte, nel breve spazio di questa rubrica può risultare utile richiamarli, ripartiti in tre gruppi.
Cominciano, non a caso, con la relazione tra l'uomo e Dio. Primo: Dio è l'unico, e non ammette gli se ne oppongano altri (neppure quelle divinità di fatto che guidano la vita di molti, quali il danaro o il potere). Secondo: non si deve pronunciare invano il suo nome (soprattutto con intento offensivo, come la bestemmia). Terzo: lo si deve onorare, in particolare santificando la festa (il sabato per gli ebrei, la domenica per i cristiani: astenendosi dal lavoro e partecipando alla Messa).
Il gruppo successivo riguarda il rispetto che ogni uomo deve ai suoi simili: onora il padre e la madre, non uccidere (è detto in assoluto: quindi no alla guerra, alla pena di morte, all'aborto, all'eutanasia e ad altri pretesti per togliere la vita a qualcuno), non commettere adulterio, non rubare (né ai singoli, né alla collettività evadendo le tasse), non mentire a danno del prossimo. Per capire la validità di questi precetti, basta pensare a quale meraviglia diventerebbe il mondo se da domattina tutti li osservassero tutti.
Infine, il gruppo dei due ultimi comandamenti, di sorprendente acume psicologico: non desiderare, né la donna né i beni altrui. Già 3200 anni fa si era capito che il male ha radice nel desiderio di far proprio quello che proprio non è. Le leggi umane condannano i comportamenti illeciti; non possono fare altro; Dio invece vede l'intenzione, e comanda di correggere anche questa. Ai suoi occhi l'intenzione, il desiderio coltivato di comportamenti sbagliati, conta quanto il tradurli in atto, anche se la traduzione non dovesse avvenire.
E' chiaro anche dal vangelo (Matteo 5,17-28). Come afferma lui stesso, Gesù non ha abolito i comandamenti ma è venuto a dare loro pieno compimento, cioè a manifestarne il significato autentico: per così dire, l'anima segreta. Ad esempio: "Avete inteso che fu detto agli antichi: ‘Non uccidere'; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto a giudizio. Avete inteso che fu detto: ‘Non commettere adulterio'; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore".
Vale per l'adulterio, come per ogni altro umano atteggiamento. Il fatto e l'intenzione: gli uomini vedono, e se del caso sanzionano, il primo; Dio va oltre, alla radice, perché vuole l'uomo spiritualmente sano. E' come per una pianta: se le radici non sono sane, circa i frutti c'è poco da sperare.