Omelia (04-03-2012) |
don Alberto Brignoli |
Trasfigurati dalla Vita "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?". Se Dio si fa presente nella storia dell'umanità, e nella storia particolare di ogni uomo, che timore può avere l'uomo che esista qualcuno più potente di Dio capace di fargli del male? "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?". Se Dio ha sempre dimostrato di stare dalla parte dell'uomo, al punto da farsi uomo come lui, come può l'uomo pensare che Dio sia suo antagonista, suo avversario? "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?". Se Dio ha sempre voluto per l'uomo ciò che è bello e ciò che è buono, come può l'uomo immaginare che Dio cambi parere e gli si rivolti contro? Paolo nella lettera ai Romani fa questi pensieri in chiave positiva: Dio è buono, non può che volere il bene, e proprio per questo motivo non può stare contro l'uomo dalla parte del male. Anche Abramo fa gli stessi ragionamenti, ma l'esperienza che egli ha di Dio nell'episodio del sacrificio di suo figlio Isacco non può dirsi altrettanto positiva. "Se Dio è per me" - avrà pensato Abramo - "come può chiedermi questa cosa così terribile di sacrificargli il mio unico figlio, promesso e donatomi in maniera miracolosa da lui stesso?". Perché Dio fa così, con Abramo? Perché Dio anche con noi si comporta così, buono e terribile allo stesso tempo, amabile e incomprensibile, affascinante e tremendo? Perché Dio in alcuni momenti è una fonte inesauribile di gioia e di entusiasmo e in altri momenti, con l'accettazione necessaria della sua volontà, diviene fonte di dolore, di paura, di rassegnazione? Perché Dio è, insieme, gioia e dolore, gloria e nascondimento, croce e resurrezione? Non sarebbe più facile avere un Dio sempre splendente, come quello della Trasfigurazione, senza la necessità, al tempo stesso, di entrare nella nube del mistero e dell'incomprensione, che è spesso accompagnata da grandi sofferenze? Certo, sarebbe tutto più facile. Ma non sarebbe fede vera. Se la nostra fiducia in Dio non fosse il risultato di un cammino che, anche attraverso l'esperienza del dolore e della fatica, ci cambia e ci trasfigura a sua immagine, non potremmo dire di credere veramente in lui. Se la nostra fede fosse solamente illuminata dalla luce gloriosa della Domenica di Pasqua saltando a piè pari l'oscurità del Calvario, non saremmo onesti con Dio e nemmeno con noi stessi e con la nostra esistenza quotidiana. E contemporaneamente, come spesso Paolo ci dice nelle sue lettere, se non credessimo che dietro il Calvario c'è una tomba vuota, ovvero "se Cristo non fosse risorto", allora sarebbe inutile e "vana la nostra fede". La fede cristiana, qui come in altre occasioni, non dice altro che ciò che avviene nell'esistenza quotidiana di ogni uomo: non c'è croce senza resurrezione, e non c'è gloria senza dolore. Nessuno di noi, per quanto successo possa avere avuto nella vita, può dire di aver realizzato i propri progetti senza sofferenze, fatiche e sacrifici: se fosse così, ciò che si è costruito è falso, illusorio, o forse addirittura disonesto. Così come può essere disonesto prendere di Dio solo il suo aspetto glorioso e di luce, perché ci fa sentire bene, come Pietro che vorrebbe fermare il tempo costruendo tre tende. E altrettanto: negare che una vita fatta di sacrifici onesti e di fatiche finalizzate alla costruzione del bene per sé e per i propri cari possa essere accompagnata anche da gioie e soddisfazioni, significa vivere senza speranza. Ci sentiremmo come Abramo prima della rivelazione della volontà di Dio, presi in giro proprio sulle cose a cui tenevamo di più perché donateci da Dio. In definitiva, giocare al gioco della vita ti trasfigura, in tutti i sensi, nel bene e nel male, nelle gioie e nei dolori, nei successi e nei tracolli. Questa crisi economica e sociale che stiamo vivendo senza sapere fin dove ci porterà e quanti di noi colpirà, senz'altro ci sta trasfigurando, forse al punto di guardarci allo specchio e di non riconoscerci più in quei "piccoli benestanti" che siamo stati finora; ma anche il fatto che proprio da queste crisi saremo chiamati ad assumere stili di vita più sobri e più consoni a ciò che realmente siamo ci trasfigura, e può addirittura portarci ad assumere meno maschere e a essere più trasparenti, più veri, più limpidi...proprio come il volto e le vesti trasfigurate del Cristo del Tabor. La "novità" del messaggio cristiano rispetto al modo puramente "umano" di affrontare la vita sta proprio nella presenza del Figlio di Dio in mezzo a noi e insieme con noi. Gesù Cristo non ci lascia da soli nel momento in cui dobbiamo salire su un alto monte, e nemmeno nel momento in cui siamo avvolti dalla nube dell'incomprensibile: rimane con noi e ci mostra, contemporaneamente, la fragilità della nostra esistenza e la luce gloriosa che accompagna i nostri successi. Entrare nella nube del mistero di Dio, come Pietro, Giacomo e Giovanni sull'alto monte del Vangelo di oggi, fa parte del gioco della vita e del gioco della fede, senza il quale non possiamo comprendere il mistero di Dio. E il mistero di Dio non è necessariamente angoscia, preoccupazione, terrore: è incomprensione, certo, ma è anche pieno di fascino. Come quando a piedi ci s'inoltra in una foresta inesplorata; come quando si cammina a luci spente nella notte per vedere meglio le stelle del cielo; come quando si affronta un difficile intervento sapendo però che poi la nostra salute ne trarrà beneficio; come può essere l'imminente parto di una giovane madre, motivo di angustia ma anche espressione di vita piena. Anche questo, e non solo il dolore, ci trasfigura a immagine di Dio. |