Omelia (04-03-2012)
don Maurizio Prandi
Dio? Un uomo che cammina verso la Croce

Dopo i simboli dell'arcobaleno e del deserto (prima lettura e vangelo di domenica scorsa), la liturgia della Parola di oggi ci propone di lasciarci interrogare dal simbolo del monte, che tanto nella prima lettura come nel vangelo ci accompagna.

Nelle comunità qui a Cuba è piaciuto molto (il monte più nell'isola non arriva a 2000 metri di altezza...), perché avendo sentito parlare una volta di "alpinismo" hanno detto: è il simbolo di un successo che arriva dopo una lunga fatica, uno sforzo enorme, una vera soddisfazione. E' proprio vero, quanta fatica! Bisogna camminare tanto, salire, bisogna decidersi. Abbiamo detto allora che il tempo di Quaresima è bello perché è un tempo nel quale porci obiettivi importanti, vette che solamente grazie ad impegno forte potremo raggiungere e le vette che la chiesa ci propone si sa sono principalmente tre: la preghiera, il digiuno, l'elemosina. Cercare tempo per pregare, per stare in silenzio davanti a Dio, per ascoltare (come ci chiede il vangelo di oggi) il Figlio che si dona a noi nella Parola, per vedere il nostro vero volto. Il silenzio ci aiuta a svuotarci perché possiamo lasciarci riempire dalla Parola di Dio. A volte, (diceva qualcuno), viviamo situazioni nelle quali per il semplice desiderio o necessità di sfogarci iniziamo a parlare con il nostro vicino e terminiamo con quello che vive al limite della provincia e anche se non lo sopporto, deve essere portato a conoscenza della mia situazione! Che danno, a volte, nelle nostre comunità; che bello invece il silenzio, per potermi incontrare, scoprire, conoscere; che bello il silenzio per fare in modo che le parole di Gesù si possano scrivere per sempre in noi; che bello il silenzio, perché le nostre comunità possano riconoscersi edificate sulla Parola di Dio e non su parole senza nessuna consistenza. Non è un cammino facile, ed è per questo che Gesù ci accompagna, ci porta con sé, così quel giorno della Trasfigurazione ha portato con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Non è un cammino facile, ed è per questo che sulla vetta del monte, dopo tutta quella fatica fatta un angelo ci aspetta per dirci (come ha fatto con Abramo), che Dio ci ama ed è contento ed orgoglioso di noi perché se pure in mezzo a mille difficoltà abbiamo camminato.

Il monte, nel vangelo di Marco è il simbolo di una decisione da prendere: vediamo perché.
Questo episodio della trasfigurazione fa un po' da spartiacque in Marco: dopo il grande successo degli inizi, le folle che seguivano Gesù arriva il momento nel quale molti cominciano ad allontanarsi. Certo, tanti cercavano Gesù unicamente per interesse, perché guariva molti e quando Gesù comincia a dire apertamente che il suo messianismo è non di potere, di successo, ma di condivisione, di consegna della propria vita nelle mani degli uomini ecco che arriva la crisi. Allora è necessario decidersi: accettare o rifiutare questa messianicità. Ecco il senso della Trasfigurazione allora: aiutare i discepoli ed ognuno di noi a riconoscere il vero volto di Dio, il volto di un uomo che cammina verso la Croce.

Il professore di Sacra Scrittura ci diceva che questo passaggio del vangelo è una vera e propria catechesi Cristologica. Il monte della Trasfigurazione ci fa ricordare un altro monte molto importante: il Sinai. Gli uomini hanno sempre interpretato così la montagna: un luogo per incontrare Dio ed è per questo motivo che Mosé sale sul monte. Questa volta non si sale per ricevere le tavole della legge ma per ricevere, come già al Giordano, la dichiarazione solenne del Padre: Questo è il mio Figlio, l'amato, ascoltatelo! Mi pare un momento bellissimo questo! Dopo le parole di Dio tutta quella atmosfera soprannaturale scompare... la nube, il bianco delle vesti, la voce e rimane Gesù, solo.
Scrive P. Boselli: Pietro e gli apostoli stavano bene dinanzi a un Dio che si rivela con tutta la sua luce. Ma la luce si spegne e c'è Gesù solo, un uomo avviato verso le ombre della passione e della morte. La fede non ci dà punti di riferimento nel miracolo: l'unico miracolo che le viene dato è quello della Parola di Dio; è quella Parola che ci dice che la morte non è l'ultima parola. Questo io credo che sia il momento della tentazione più grande da parte dei discepoli, e come Gesù nel deserto ha dovuto scegliere quale Messia essere così i discepoli, guardando quell'uomo solo devono decidere se ascoltarlo ossia farsi cambiare la vita da Lui. Decidono di affidarsi e di seguirlo, prendendo il suo stesso cammino. Bello anche quello che scrive don Claudio Doglio: La gloria luminosa che appare sul monte è la garanzia della presenza e dell'approvazione di Dio, ma alla fine resta Gesù solo, nella sua forma umana e quotidiana; e i suoi discepoli devono scegliere. Il bello non sta nel rimanere sul monte e fuggire dal mondo, ma nel vivere la propria vita e l'inserimento nella storia con lo stesso stile scelto da Dio.