Omelia (11-03-2012)
Ileana Mortari - rito romano
Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere

Il noto episodio della cacciata dei venditori dal tempio è comune ai quattro vangeli, ma presenta intenzionalità e sottolineature differenti, a seconda della teologia di ogni evangelista.

Per il commento mi sono servita di un intervento di Ariel Valdès, riportato alle pagg.57 e sgg. del 10° volumetto della collana "Cosa sappiamo della Bibbia?", Edizioni Istituto San Gaetano.

Anzitutto spieghiamo perché tanti mercanti si trovavano nel tempio. Quando un ebreo voleva offrire un sacrificio a Dio, doveva presentare al luogo più sacro di Gerusalemme un animale senza difetti, impurità o macchie, e una bestia siffatta non era certo facile da trovare! E poi, se il fedele veniva da lontano, non era proprio opportuno che si trascinasse dietro l'animale e l'occorrente per un'adeguata offerta.

Ecco perché i mercanti (ovviamente dietro pagamento e non senza manovre speculative!) garantivano nello stesso tempo un servizio utile (animali di varia taglia a disposizione dei pellegrini) e soprattutto la purezza dell'animale richiesta dalla Legge.

Inoltre gli Ebrei dai 20 anni in su erano tenuti al pagamento annuale di un'imposta per il culto, che si doveva fare con monete speciali (erano denari coniati presso Tiro) e i cambiavalute (anche qui speculando fortemente su tale servizio ad hoc e in loco) rifornivano i pellegrini di quel tipo di denaro.

Certo il commercio contrastava con la sacralità del luogo, ma i banchi dei mercanti non erano propriamente nel Tempio, bensì nell'atrio posteriore, detto "dei Gentili" (perché lì anche i pagani potevano pregare), luogo peraltro non considerato sacro dagli Ebrei.

Perché allora Gesù se la prende tanto, mettendoci di fronte a un moto d'ira che non esiste altrove nella vita del Messia?

E' impossibile rispondere. Lo ignorava anche la comunità primitiva.
Si tramandava di bocca in bocca che Gesù avesse avuto una zuffa con alcuni mercanti appostati presso il tempio, e secondo i sinottici ciò divenne determinante per la sua condanna e la sua morte. Ma nessuno ne ricordava esattamente le cause.

Quando gli evangelisti dal 65 d. Cr. in poi misero per iscritto i fatti e i detti di Gesù, non trovando le cause oggettive che avevano scatenato l'episodio, lo presentarono con accentuazioni diverse e lo adattarono ai rispettivi intendimenti catechetici e pastorali.

Marco (cfr. il cap.11,15-18), che scrive nel 65 d. Cr. e si rivolge ai pagani, vuole sottolineare che quell'atrio posteriore, dato in gestione ai pagani ritenuti impuri, per Gesù era anch'esso Tempio: il luogo dove pregavano i pagani era sacro quanto quello dove pregavano gli Ebrei. Solo lui riporta la citazione da Is.56,7:"La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti".

Ora, porre sullo stesso piano la preghiera degli ebrei e quella dei pagani era assolutamente inammissibile per gli Israeliti e anche questo contribuì alla condanna a morte di Gesù.

Matteo (cfr. il cap.21,12-17) scrive nell'85 circa dopo Cristo e si rivolge a lettori di origine ebraica, che attendevano il Messia. Ponendo l'episodio nel giorno stesso in cui Gesù entrò in Gerusalemme, acclamato da tutti Re e Messia, vuol far capire che è il Messia in persona a cacciare i mercanti, esigendo quella purificazione del Tempio (dissacrato dal re Antioco Epifane nel 167 a. Cr. e riconsacrato da Giuda Maccabeo nel 164), che secondo Malachia e i Maccabei solo il Messia avrebbe potuto compiere del tutto.

La versione di Luca (cfr. il cap.19, 45-46) è la più breve. Perché? Egli scrisse nell'85-90 d. Cr., rivolgendosi ad una comunità cristiana costituita da ex-pagani ed ex-ebrei, comunità per questo soggetta a conflitti e difficoltà. Per non urtare nessuno, Luca tralascia le scene di violenza e aggressione e mantiene solo l'esortazione di Gesù a purificare il Tempio, per farne un luogo adatto ai suoi insegnamenti. E infatti da quel momento Gesù insegnerà sempre e solo nel tempio.

Infine Giovanni colloca l'episodio non dopo l'entrata trionfale in Gerusalemme, ma all'inizio del suo vangelo, e al racconto tradizionale aggiunge alcuni dettagli per farci capire il senso e la portata simbolica dell'episodio: Gesù vuole eliminare il Tempio e sostituirlo con se stesso. Così l'evangelista afferma che Gesù cacciò fuori anche buoi e pecore (gli animali impiegati per i sacrifici), visto che con l'avvento di Gesù non sarebbero più serviti! Solo la morte redentrice del Cristo sarebbe stata il sacrificio per eccellenza gradito a Jahvè.

Così solo Giovanni riporta la risposta di Gesù alle autorità: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gesù dunque parla di se stesso come l'unico e vero sacrificio capace di portare la Vita e la Redenzione definitive. Detto altrimenti: con la venuta di Gesù i sacrifici di animali e d'ogni altra natura, propri della tradizione ebraica, sono diventati inutili. Perciò lo è diventato anche il Tempio: quella costruzione non ha più alcun senso dal momento che vi è il Tempio del Corpo di Cristo, "costruzione" nella quale si officierà il perenne sacrificio redentivo capace di donare la vita eterna all'umanità liberata dal peccato di Adamo ed Eva.

Pertanto, secondo il parere di Giovanni, in quell'incidente con i mercanti Gesù non si proponeva di aprire il Tempio ai pagani (come diceva Marco), né di purificarlo (così Matteo) e neppure di trasformarlo in un luogo di insegnamento (così Luca), ma di eliminarlo, perché era diventato inutile. Per questo motivo Giovanni ha collocato il racconto in questione subito dopo l'episodio delle nozze di Cana; lì Gesù aveva fatto sparire dell'acqua, che gli Ebrei usavano abbondantemente per celebrare i loro riti di purificazione, per trasformarla in vino, bevanda che, non a caso, troviamo nella Cena del Giovedì prima della Passione. Il culto non ha più valore, non perché abbia perso il suo significato, ma semplicemente perché Gesù incarna il culto presente e futuro che rende vano ogni culto passato.

Come si vede, viene sottolineato un fondamentale aspetto del Cristo, nella linea della tematica privilegiata dai vangeli di Quaresima dell'anno B (cfr. il mio commento relativo alla 1° domenica di quaresima).