Omelia (11-03-2012)
don Giovanni Berti
Dio non si compra

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Finita la messa domenicale mi piace molto scendere in mezzo alle persone invece di passare velocemente dall'altare alla sacrestia per togliermi gli abiti liturgici e risistemare le mie cose. Di solito, durante il canto finale mi dirigo alle porte della chiesa e cerco di intercettare prima possibile le persone che escono.
E' un momento molto prezioso, secondo me, questo della fine della celebrazione, perché mi fermo a salutare e scherzare un po' con i fedeli. Mi piacerebbe che la stessa cosa coinvolgesse tutti e non scattasse la voglia di "scappare" il prima possibile a casa. E di fatto vedo che molti rimangono dentro e fuori chiesa a chiacchierare e salutarsi. E' una cosa che trovo molto bella!
Ricordo la reazione di un parroco di una parrocchia dove ero andato a celebrare la messa, il quale, alla vista di questo mio fermarmi, mi riprese subito in modo deciso, usando più o meno le parole di Gesù del Vangelo: " la chiesa non è un mercato!", invitandomi così ad uscire e chiacchierare fuori sul sagrato. E lo stesso invito fu rivolto a coloro che si erano fermati a parlare tra di loro in vari angoli della chiesa.
Ma quale mercato? Non stavo comprando e vendendo nulla... Al contrario sentivo fondamentale per me avere un contatto umano e fraterno con coloro con i quali avevo appena celebrato l'Eucarestia, il sacramento più grande della comunità e fratellanza cristiana.
Sicuramente il parroco, mosso da intenzioni buone e da zelo spirituale, non voleva che venissero disturbati coloro che erano rimasti a pregare dopo la messa. Mi chiedo però che cosa ci sia ancora da pregare dopo aver celebrato la preghiera più grande, e se non sia il caso di dare più importanza ai fratelli e sorelle con i quali si è appena pregato, invece di isolarsi di nuovo nella preghiera personale...
Tornando all'accusa di "mercato" di fine messa, mi sono davvero chiesto se il rimprovero di questo parroco fosse del tutto condivisibile. Non metto in discussione la buona fede, ma personalmente, non credo che sia questo il mercato che spesso si rischia di consumare tra le pareti delle nostre chiese.
Spesso il "mercato" è proprio durante la messa stessa, e inizia nel momento in cui noi pensiamo che Dio si possa comprare con qualche liturgia, preghiera o offerta: più prego più ottengo, più messe faccio celebrare più assicuro a me e ai miei cari la benevolenza di Dio...
Bisogna ammettere e non dimenticare che molte delle bellezze artistiche delle nostre chiese sono state possibili con la "vendita" dei sacramenti. La Chiesa ha da sempre condannato la pratica di "vendere" i sacramenti (peccato di simonia), ma di fatto molto spesso le cose sono andate diversamente. E' necessario ricordarlo e non smettere di chiedere perdono a Dio di questo.
Ma siamo sicuri che in fondo in fondo non è anche questa la nostra mentalità? Siamo sicuri che il nostro modo di avvicinarci alla preghiera non sia un po' "contaminato" da questa mentalità "commerciale" che trasforma Dio in un datore di servizi, che sono pagati con la moneta delle pratiche religiose e delle offerte?
Gesù, con l'azione clamorosa e chiassosa, di cacciare i mercanti dal tempio, vuole far capire ai suoi contemporanei che la mentalità "mercantile" non è più valida.
Il Tempio di Gerusalemme, struttura molto vasta, fatta di cortili e porticati, era il luogo dove si portavano le offerte con le quali si rendeva culto a Dio. E' da ricordare che anche Maria e Giuseppe, quando andarono con Gesù bambino a Gerusalemme, fecero la loro offerta per la purificazione, come era prescritto dalla Legge, e offrirono "una coppia di tortore o giovani colombi" (Luca 2,22-24). Alcuni spazi del Tempio erano dunque pieni di mercanti che vendevano tutto quello che era necessario per il culto e per le offerte. I cambiavalute erano più che necessari per facilitare chi veniva da lontano e aveva altre monete.
Gesù dunque compie un gesto profetico, che ha l'intenzione di cancellare questa pratica religiosa, così radicata da far dimenticare che in fondo Dio è gratuità assoluta che niente può comprare.
Come dice bene il testo di Giovanni, il gesto del Maestro fu compreso pienamente solo dopo la sua morte e resurrezione, cioè nel tempo nuovo della fede in Cristo.

Questo tempo è il nostro! Il Tempio di Gerusalemme e il suo tipo di religiosità sono finiti, Gesù è l'unico Tempio dove abita Dio e dove noi lo possiamo incontrare.
La Messa nelle nostre chiese rinnova la comunione con Dio e tra noi fratelli e sorelle che portiamo il nome di Cristo iscritto in noi con il Battesimo. Il nostro culto non rende Dio più grande e non lo avvicina a noi di più di quello che già ha fatto e continua a fare. Le nostre liturgie non comprano Dio, ma ci inseriscono ancor di più in Cristo, in modo che il suo stile di vita, le sue parole e la sua stessa persona entrino nella nostra vita, nelle nostre parole e profondamente nella nostra persona.
Dio non si compra... Dio non è in vendita.
Non c'è moneta, offerta e nemmeno liturgie e preghiere che lo possano comprare.
Ma la preghiera, e specialmente la messa, ci fanno acquistare i fratelli e le sorelle che pregano con noi. E' questo l'acquisto più bello che facciamo ogni volta che ci raduniamo la domenica.
Finita la messa è bello dunque fermarsi e godere di questo acquisto che abbiamo fatto gratis. E' Gesù che, con la sua morte e resurrezione, ha pagato per noi...



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