Omelia (18-03-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Con Cristo per vincere le sfide "Per arrivare all'alba non c'è altra via che la notte" scrive da qualche parte Gibran. Ed effettivamente fa parte della nostra esperienza di vita che tutti gli obiettivi si conseguono dopo numerosi percorsi di prove e di fatica e sono apprezzabili e concilianti appunto quando li si consegue non senza aver attraversato sentieri tortuosi che ad essi conducono. E' irrinunciabile che il verde di un'oasi si raggiunga dopo aride falde di deserto e che qualsiasi successo sia la conseguenza di una serie di angosce, frustrazioni e umiliazioni accompagnate da piccoli fallimenti che ci hanno indotto a perseverare. La vita stessa riserva riserva tutti i premi solamente al termine di ogni itinerario e chi pretende di trovare ricompense all'inizio di ogni percorso, aggirando gli ostacoli ed eludendo le sfide sta solo precipitando a poco a poco nel baratro del fallimento poiché dovrà patire alla fine tutto quello che avrà voluto schivare all'inizio. Parallelamente a tutto questo, molte volte è anche necessario che ci vengano appositamente posti degli ostacoli perché possiamo gustare meglio gli obiettivi e godere di risultati soddisfacenti; come è capitato a volte al sottoscritto, c'è anche da aspettarsi di dover subire un castigo immeritato o una qualche ingiustizia ma che questa si trasformi poi in una ricca opportunità di successo inaspettato, gli impedimenti tante volte ci demoralizzano e ci sconcertano, ma si trasformano non di rado in occasioni di giovamento. Il brano del libro delle Cronache di cui alla Prima Lettura delinea questa verità per mezzo di un emendamento punitivo da parte del re dei Caldei nei confronti di quanti si sono presi gioco dei profeti e hanno distrutto il tempio e le mura di Gerusalemme: il popolo di Israele viene deportato a Babilonia a motivo dei suoi misfatti, ma la situazione dell'esilio è occasione propizia perché il popolo possa riflettere sul proprio comportamento di infedeltà, considerare la vanità e l'inutilità del male commesso, ravvedersi, cambiare ottica per poi fare felice ritorno al proprio paese grazie all'editto dell'imperatore Ciro. L'episodio ci ragguaglia dell'idea che la punizione è non di rado necessaria, se non indispensabile, ai fini della correzione e dell'emendazione di chi sbaglia; a tal proposito sarebbe opportuno considerare come tante volte la correzione fraterna sia un vero atto di carità quanto non lo sia il silenzio o l'eccessiva indulgenza sugli errori del prossimo. In tutti i casi la gloria è sempre conseguenza del dolore. Questo ci viene ravvisato dalla Scrittura e in modo particolare dal passaggio che Gesù realizza dalla croce alla risurrezione, del tutto necessario e inevitabile, concepito come progetto salvifico che corrisponde alla volontà del Padre e che è anzi conforme alla Sua logica, ben differente dalla nostra: non si resuscita senza morire di croce così come non si vince senza aver fatto garetti o senza aver lottato. Il passaggio dalla croce alla risurrezione è inevitabile ma diventa necessario quando si voglia cogliere l'aspetto esaltante della risurrezione medesima per godere di tutte le glorie e le benemerenze che la croce comporta, sicché Gesù, nei suoi insegnamenti e soprattutto nella sua stessa prassi di vita ribadisce la necessità della Pasqua, questa intesa nell'accezione ebraica, cioè il "passaggio" dalla schiavitù alla libertà e dalla morte alla vita. Come tuttavia Dio ha innalzato il serpente di bronzo nel deserto, che è diventato occasione di salvezza per quanti venivano feriti dai morsi dei veri serpenti fra le falde, così pure Dio esalterà lo stesso Signore Gesù Cristo una volta che questi avrà affrontato il supplizio della croce e i meandri del sepolcro vuoto, e pertanto la crocifissione avrà il felice epilogo della vittoria, cioè della risurrezione e dell'innalzamento al di sopra di tutte le creature. Il Crocifisso sarà infatti liberato dalla morte poiché è impossibile che questa lo trattenga sotto il suo potere (At 2, 24), ma sarà anche esaltato e collocato nella sfera dell'immortalità e della gloria definitiva della quale anche noi saremo resi partecipi e ancora una volta la passione si associa alla risurrezione essendo la prima necessaria alla seconda e poiché la croce è comunque il preludio della vittoria finale. Certo la crocifissione è la pena più crudele e truculenta che possa capitare a un condannato a morte e anche ai nostri giorni qualsiasi strumento di supplizio non è paragonabile alla croce quanto alla tortura, alla sofferenza e allo strazio ed è per questo che lo stesso Cristo ha spasimato provando angoscia nella prospettiva di esservi inchiodato: la croce è crudele e tremenda e ancora più insostenibile essa si rende nella solitudine, nell?abbandono e nell?umiliazione di essere percossi, derisi e di sperimentare perfino l?abbandono di Dio per ritrovarsi in preda al principe delle tenebre e alla maledizione della stessa Legge (? Maledetto chi pende dal legno?) tuttavia in essa Cristo oltre che una tappa decisiva e necessaria per il nostro riscatto vi ha trovato un motivo di innalzamento e di esaltazione che lo qualificherà per sempre come il Signore della storia che ci accompagna nei sentieri della vita mostrandoci anche la certezza delle garanzie future. Seguendo il percorso del Signore, siamo destinati infatti anche noi a conseguire accanto alla prospettiva del dolore quella esaltante della vittoria della risurrezione a proposito dei continui percorsi altalenanti che ci si propinano nella vita di tutti i giorni fra il male e il bene, fra la sconfitta e la vittoria, l'inquietudine e la pace, il dolore e la gioia... Soprattutto le sofferenze, le angosce, le frustrazioni e ogni altra avversità che ci si presenti come inevitabile ed importuna, associata alla croce di Cristo e radicata nella perseveranza della fede, si tramuta sempre in quel beneficio al quale siamo sempre protesi e orientati. Nella prospettiva del dolore fisico e morale, della prova, delle varie umiliazioni e in tutto quello che di spiacevole possa interessarci ogni giorno, è importante rivolgere lo sguardo in direzione di Colui che hanno trafitto (Zc 12, 10) e coltivare la speranza che ci proviene dalla fede in Colui che volentieri ha affrontato il calice cruento e il dolore lancinante del patibolo per poi conseguire affermata gloria ed esaltazione imperitura. Tale perseveranza e fiducia consegue in se stessa la consolazione e ravviva le motivazioni del conforto e del sollievo. La prospettiva della croce è del resto inevitabile nella comune esperienza di vita di tutti gli uomini, poiché è ineluttabile per tutti essere costretti alle immancabili torture del dolore, delle ingiustizie e della altrui sopraffazioni e vessazioni; le vicende in negativo, il dolore, la pena e la sofferenza sono riservate a tutti gli uomini, indipendentemente da qualsiasi credo o concezione religiosa. Anche se inconsapevolmente o identificandola sotto altri aspetti o con altre denominazioni, qualsiasi persona umana che si rispetti vive quotidianamente l'esperienza della croce e ad essa è asservito senza esenzioni o riserve di sorta. Ma solo chi si radica in Cristo e interpreta il proprio patibolo alla luce di quello del Figlio di Dio morto e risorto gode della possibilità di rinvenire nella croce un'opportunità di successo garantita e una vittoria proporzionata alla lotta e alla sopportazione, poiché è proprio del credente partecipare direttamente alla privilegiata posizione del Cristo che ha vinto la morte dopo esservi stato soggiogato prima nel legno e poi nel sepolcro. |