Omelia (18-03-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Chi opera la verità viene alla luce Nella quarta domenica di quaresima il Vangelo di Giovanni ci offre un piccolo brano del monologo di Gesù dopo l'incontro con Nicodemo (Giov.3,14-21). Nell'itinerario quaresimale l'ascolto di queste parole è un invito a vivere il Battesimo come vita nuova che il Padre dona a chi crede nel Figlio mandato da lui per mostrare quanto egli ami il mondo. Noi siamo talmente abituati a leggere le pagine del Vangelo che rischiamo di lasciare che esse ci scorrano velocemente sotto gli occhi senza che ne percepiamo l'infinita importanza e l'inesauribile bellezza. La Liturgia ci propone di rivivere personalmente l'esperienza di Nicodemo, il suo incontro con Gesù, l'inizio del cammino verso la luce. "C'era tra i Farisei un uomo, di nome Nicodemo, un capo dei Giudei": è presentato così Nicodemo, col suo nome, un uomo, fariseo, capo dei Giudei, più avanti si dirà "vecchio" e Gesù lo riconoscerà "maestro di Israele". Forse la qualifica di questa persona, colta, ricca, fedele alla Legge che maggiormente interessa al Vangelo è "uomo": ha tutto, ma avanti negli anni, gli rimane il vuoto dentro, la sua umanità grida dentro di lui. Che senso ha la vita se rimane, alla fine, questa fragilità? Che cos'è l'uomo? "Costui venne a Lui, di notte": Nella "notte" incontra Gesù: non è tanto per paura, per nascondersi dagli altri, che viene incontro a Gesù di notte. La notte è pure il simbolo della condizione umana, che l'uomo deve avere il coraggio di accettare se non vuole falsificare tutto: solo accettando l'oscurità della notte si fa strada la luce. Nel dialogo, pian piano Nicodemo scompare e Gesù prende la parola: egli cede il posto a Gesù e la notte si rischiara di luce: "Chi fa la verità viene alla luce". La vera notte è la solitudine umana chiamata ad aprirsi all'incontro con il suo amore, vera luce che rischiara la notte. Nell'episodio precedente, quando hanno visto Gesù nel Tempio compiere quel gesto sconvolgente, i Giudei hanno chiesto a Gesù: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?", adesso, un capo dei Giudei, Nicodemo, gli dice: "Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro, nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi se Dio non è con lui". Dunque, Nicodemo, lui solo, ha l'onestà di riconoscere ciò che anche gli altri hanno visto e sanno: ".sappiamo che sei venuto da Dio." Nicodemo è l'uomo che ha il coraggio di non chiudersi di fronte alla verità: hanno chiesto i segni e li hanno visti.Adesso sa che può fidarsi di Gesù: ".sappiamo che sei venuto da Dio come maestro.". E Gesù sa che Nicodemo è aperto ad accogliere la Verità, alla quale il suo cuore aspira ma a cui l'uomo da solo non può arrivare: adesso bisogna che Gesù, lo conduca e Nicodemo si lasci condurre in spazi nuovi, oltre quelli nei quali l'uomo normalmente è rinchiuso. Gesù viene da Dio, ma non come pensa Nicodemo, come un semplice maestro degno di fiducia, fedele interprete della Parola di Dio, non perché la sua dottrina è secondo la Parola di Dio, ma perché egli è "il Figlio unigenito". A Nicodemo, colto, ricco, potente, fedele alla Legge, uomo ormai vissuto, con l'insoddisfazione nel cuore, ancora immerso nella notte della attesa della luce, che ha riconosciuto in Lui il maestro inviato da Dio, Gesù quasi brutalmente rivela: "In verità, in verità ti dico: se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio". Ecco cosa manca a Nicodemo: "vedere il regno di Dio". Ha cominciato a vedere i segni: occorre che arrivi a vedere la realtà, il regno di Dio. Ma per questo occorre "nascere dall'alto". Nicodemo, ancora legato alla esperienza umana normale, interpreta come se si trattasse di "nascere un'altra volta" e dichiara l'impossibilità di una tale rinascita. Questo malinteso permette a Gesù di precisare la novità del suo messaggio: si tratta di essere generati dallo Spirito. Mentre Nicodemo pensa ad un ritorno indietro, Gesù parla di ricevere un dono: si tratta di "entrare nel regno di Dio". Il problema di Nicodemo è il senso dell'uomo, della sua fragilità, del suo limite: Gesù lo sta gradualmente conducendo ad aprirsi all'accoglienza del dono di una vita nuova, il dono dello Spirito. "Ciò che è nato dalla carne, non è che carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito". "Carne" significa il limite, la fragilità dell'uomo: non è con lo sforzo umano che può essere superato il limite. E' il dono dello Spirito che irrompe nella carne e le fa oltrepassare il limite. Gesù adesso non si rivolge più a Nicodemo con il "voi": il suo discorso ormai è pura rivelazione. Gesù non propone un'etica migliore, ma il dono di una vita nuova: è lo Spirito che viene dall'alto e che non annulla, come vorrebbe l'uomo, ma vivifica la fragilità umana. Che cosa desidera l'uomo se non liberarsi dal suo limite e "salire al cielo", avere la pienezza di Dio? E Gesù rivela la via di accesso al cielo che è quella che Lui ha percorso: "Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo". Gesù è il figlio dell'uomo che ha accettato in pieno di discendere per poter essere riempito della vita di Dio e così salire in cielo: ha accettato di essere pienamente uomo per poter essere il Figlio di Dio. Richiamando ciò che Dio ha ordinato a Mosè nel deserto, Gesù proclama: "Così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna". L'uomo sogna sempre un mondo ideale nel quale non ci siano più problemi e sofferenze e lo aspetta da Dio: ma Dio non fa questo, piuttosto offre all'uomo il mezzo, la via, la luce, la certezza che anche in ciò che lo schiaccia, l'uomo è salvato. La croce di Cristo è tutto questo: il segno che ci è dato, la via per entrare nel regno, vederlo, gustare la vita. Nella Croce di Cristo si concentra tutta la fragilità, il limite umano, ogni male e quindi.l'infinito che discende, l'Amore, Dio. Nella Croce di Cristo si concentra tutto l'Amore di Dio. "Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non si perda, ma abbia la vita eterna": è il vertice della rivelazione, che noi non finiremo mai di accogliere, credere, gustare, vivere. E' la rivelazione di quel senso che Nicodemo cercava: il mondo, nella sua fragilità, è amato da Dio perché è frutto del suo amore, della sua volontà di donarsi. E perché il mondo (noi) creda, l'Amore ha raggiunto il vertice nel dono del Figlio: l'incarnazione è la fragilità condivisa da Dio, la debolezza, la solitudine, il dolore, la privazione dell'amore, la maledizione (Gal.3,13), il peccato (2Cor.5,21), la morte.la trasfigurazione all'opposto.ma proprio per questo è il vertice dell'Amore, Dio. Guardare la Croce di Cristo e credere che lì è l'onnipotenza dell'Amore, non scandalizzarci più di un Dio che non cancella la brutalità del nostro male ma scende per portarlo con noi, percorrere fino in fondo l'esperienza umana sapendo che Lui è con noi, credere l'Amore sempre, significa nascere dall'alto, vedere ed entrare nel Regno di Dio dove non c'è condanna ma solo vita nuova, significa fare la verità ed entrare nella luce. |