Omelia (18-03-2012)
mons. Antonio Riboldi
Le braccia aperte del Padre, sempre

Qualche volta, incontrando la gente, ci si rende conto quanto sia difficile per noi povere creature accettare e, ancor più, vivere la legge del perdono. Siamo in una società in cui ogni giorno, ovunque, a cominciare dall'interno delle famiglie, ai singoli cittadini, fino ai rapporti tra gli Stati, nascono motivi di screzio e, senza mai valutarne le conseguenze tragiche, si pensa di risolvere i problemi con la violenza, fino alla guerra.
Fa davvero impressione come in tutto il mondo ci siano armi modernissime, a cominciare dai micidiali caccia da guerra, alle bombe atomiche, pronte a distruggere lo stesso nostro pianeta.
E' vero che, consce di questi rischi, tante nazioni cercano le vie del compromesso nelle varie questioni, ed è un vero bene, ma si rimane comunque sempre con il fiato sospeso. Non si è più Sicuri.
Ma fa ancor più impressione constatare come, ormai troppo spesso, per uno sbaglio umano, una parola detta fuori posto, un errore magari comprensibile, si generino reazioni incontrollate, per la tanta voglia di vendicarsi... come se la vendetta fosse la soluzione giusta e non allarghi invece il campo dell'odio e delle tragedie ed atrocità.
Non sappiamo 'leggere' le tante storie umane, in cui la violenza quotidiana provoca solo distruzione e morte, come del resto abbiamo rimosso i ricordi di guerre, neppure troppo lontane, che distrussero uomini e cose, obbligando poi a ricominciare da capo tutto.
Con la violenza o il litigio prolungato non si risolve nulla. Solo la pace è la medicina per tutto.
E la lezione viene proprio da Dio. Lo offendiamo tante volte, senza neppure pensarci, ma da Lui non arriva nessuna vendetta o castigo. Accetta tutto, anche la morte, per salvarci.
Pensiamo a Gesù che, sulla croce, dopo averci fatto dono della Sua presenza meravigliosa tra di noi, dopo avere seminato un incredibile bene a tanti malati e a tante anime, viene ripagato con la morte in croce. Su quella croce c'era Dio che aveva scelto di insegnare a noi il perdono, non facendo pagare a noi le nostre cattiverie, ma redimendole e trasformandole in amore quando alla fine proprio dalla croce dirà: "Padre, perdona loro non sanno quello che fanno". Incredibile.
Davanti a questo esempio di Dio, che non si vendica assolutamente del male ricevuto, ma dà la vita per farci conoscere la bellezza del perdono, ci sentiamo davvero 'piccola miseria' davanti a Lui e anche tra di noi, assistendo come per poco cancelliamo il dovere di amare e creiamo solchi di rifiuto ed odio, per offese ricevute o anche solo per pregiudizi coltivati o sensazioni non controllate. Troppo spesso non è davvero nostra abitudine saper mettere alle spalle il male che si riceve, per fare strada al perdono. Capita alle volte che noi sacerdoti, a chi si accosta al sacramento del perdono, la confessione, poniamo una domanda: 'E' davvero in pace con tutti, o qualcuno è 'fuori dal suo amore e altri sentimenti vi hanno preso il suo posto?'. Sappiamo tutti, o dovremmo almeno saperlo, che senza un animo in pace, non ci è permesso di accostarci alla Santa Comunione. Essere in comunione con Dio richiede essere in comunione con i fratelli. Ecco perché a volte nelle confessioni è bene chiedere ai penitenti se vi è qualche dissidio non perdonato.
Ricordo una volta fui costretto a negare il perdono ad una persona che si era accostata al sacramento della riconciliazione, perché non volle assolutamente perdonare chi l'aveva offeso.
La reazione fu terribile, da coinvolgere i fedeli presenti nello scandalo.
E' difficile dire "non posso darle l'assoluzioné, perché neppure Dio la può perdonare: 'Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori' preghiamo nel Padre nostro.
Il sacerdote non può negare la Parola e, anche se è difficile, deve aiutare il penitente a camminare nella verità, perché non accada che chi non accetta di perdonare si permetta di accostarsi alla Comunione.
Come è possibile comunicarsi con Chi ama, perdona, si dà tutto, senza seguirne l'esempio?
Dice S. Paolo oggi scrivendo agli Efesini: "Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati; da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo; per grazia infatti siete stati salvati. Con Lui infatti ci ha resuscitati e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà, verso di noi in Cristo Gesù" (Ef. 2, 4-10)
Questo tempo di Quaresima, che ci avvicina sempre di più alla Pasqua, ci invita a considerare il grande dono della conversione e della riconciliazione. Una riconciliazione tramite il sacramento, che ci fa conoscere quale bene sia essere in pace con Dio e con tutti.
Dovremmo ringraziare davvero Dio, che, offeso dai nostri peccati, ci mette a disposizione la sua grazia del perdono. Credo sia difficile e insopportabile, per chi ha ancora conservato la voce della coscienza, che è la voce di Dio che ci avverte sul nostro stato di salute, vivere sapendo che con il peccato si è, come il figlio prodigo della parabola, lasciata la casa di Dio per i capricci del mondo. Sappiamo tutti come ci si sente, se rientriamo in noi stessi (ed è una grande grazia) come si viva male nel mondo, lontano dalla casa del Padre. Si ha l'impressione in un primo tempo di sentirsi finalmente liberi da tutto e da tutti, 'liberi dai doveri di amore', ma lentamente si avverte come il mondo non possa assolutamente farci conoscere un briciolo di quella gioia che vi è nel vivere in grazia. Si comincia a sperimentare inquietudine, insofferenza, un malessere interiore che a volte sfocia nella nausea, nel non senso verso tutto ciò che ci accade.
Ma sappiamo per fede che desiderare di 'tornare a Casa' è una grande Grazia: è l'inizio di un nuovo cammino di speranza, un sentirsi lentamente rinascere.
Forse è un discorso, questo della misericordia, che trova troppo poco posto tra tanta gente.
Ricordo che al tempo dei terroristi, venni per caso invitato a visitare questi fratelli nelle carceri. Mi faceva 'strada' una cara sorella, Suor Tersilla che era davvero uno sprazzo di luce per i detenuti, e con Padre Bachelet, che aveva avuto il fratello ucciso dalle brigate rosse. Aveva saputo superare ogni odio e aveva scelto di visitare proprio chi aveva ucciso, come segno di perdono. La loro visita era sempre una festa per i terroristi. La presenza della Chiesa era un segno tangibile che nel cuore di Dio c'era posto per loro, nonostante tutto, sempre che si riconciliassero con Lui.
Fu un gesto che non fu accettato da tanti, che preferiscono il castigo all'amore. Ed era facile incontrare nelle piazze chi disapprovava. Tanto che un giorno, partecipando con due confratelli, Mons. Magrassi e il vescovo di Novara, chiesi che fare, tanto ero bombardato da critiche. La risposta di Mons. Magrassi fu netta: "Tu in questo momento sei come una punta che tenta di bucare l'indifferenza, o peggio, verso chi ha sbagliato; un buco attraverso cui può passare il giusto sentimento dei cristiani veri, ossia l'amore nonostante tutto e ridonare la speranza che deve nascere dalla nostra presenza fraterna. Se va bene - mi diceva - e riesci a sfondare, poi la via della misericordia diverrà la strada della speranza. Ma se la punta si spezza la pagherai".
E le sue parole si avverarono. Quel buco divenne la strada del volontariato nelle carceri, la strada della speranza che è voglia di aiutare a far sbocciare nuovamente la bellezza della vita, per ogni essere umano, tanto più se ha sbagliato.

FESTA DI S. GIUSEPPE.

Una delle feste che tutti amiamo è quella di S. Giuseppe.
"La festa di oggi, affermava Paolo VI, ci invita alla meditazione su San Giuseppe, il padre legale e putativo di Gesù, nostro Signore... S. Giuseppe è il tipo del Vangelo che Gesù, lasciata la piccola dimora di Nazareth, annuncerà come programma per la redenzione della umanità. S. Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva ad alti destini; è la prova che per essere buoni e veri seguaci di Gesù, non occorrono grandi cose, ma si richiedono solo virtù umane, semplici, vere ed autentiche... Esempio per noi, Giuseppe! Cerchiamo di imitarlo? Inoltre la Chiesa lo invoca per un profondo desiderio di rinverdire la sua esistenza di Virtù evangeliche quali in Giuseppe rifulgono, ed infine protettore lo vuole la Chiesa per l'incrollabile fiducia che, colui al quale Cristo volle affidare la sua fragile infanzia umana, vorrà continuare dal cielo la sua missione tutelare a guida e difesa del corpo mistico di Cristo, sempre debole, sempre insidiato, sempre drammaticamente pericolante" (19.3.1969)
Preghiamo Giuseppe e la Sacra Famiglia con la breve, ma efficace preghiera:
Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l'anima mia. Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi nell'ultima agonia. Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia.