Omelia (18-03-2012)
Ileana Mortari - rito romano
Dio ha mandato il Figlio nel mondo per salvarlo

"Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (vv.14-15)

Questo testo si trova anche nel vangelo (Gv.3,13-17) della festa dell'Esaltazione della Croce (14/9), la cui prima lettura è Numeri 21,4b-9: nel deserto gli ebrei, per l'ennesima volta colpevoli verso Dio, vengono puniti con morsi velenosi di serpenti; Mosè si rivolge a Jahvè che gli dice: "Fai costruire un serpente di rame e innalzalo verso il cielo; chiunque guarderà quel serpente non morirà". Non si trattava di una salvezza dovuta a magia (come accadeva di frequente nel contesto ambientale di allora). Il serpente voluto da Dio voleva essere piuttosto un segno della sua presenza, e il guardarlo descriveva un itinerario di conversione e di fede.

Infatti nella rilettura di Sap. 16, 5-6 quel rettile divenne "il simbolo della salvezza". Dopo la resurrezione di Gesù si capì che l'episodio di Numeri prefigurava la croce di Cristo innalzata tra terra e cielo: guardandola, si ha la vita. Come ricorderà lo stesso evangelista Giovanni, "un altro passo della Scrittura dice: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. " (Giov.19,37); si tratta ancora (come in Numeri) di uno sguardo di conversione e di fede che ottiene la salvezza e la vita eterna.

Osserva Mateos-Barreto: la croce non è per Gesù uno stato passeggero, ma l'inizio dell'effusione di amore e di vita destinata a durare per sempre (cfr. Gv.19, 34; 20, 25.27). «Il cielo» o sfera divina è situato nella croce, in cui il Padre è presente in Gesù e manifesta il suo amore. Da questo consegue che «essere elevato» indica al tempo stesso la morte e l'esaltazione definitiva di Gesù.

In questa bella pagina giovannea si possono cogliere tre grosse novità dell'annuncio cristiano rispetto alle concezioni e aspettative del tempo.

1° - Secondo una corrente di pensiero giudaica, e anche di Giovanni Battista, quando fosse venuto il Messia per stabilire il suo regno, egli avrebbe anzitutto sterminato i malvagi (cfr. Salmi di Salomone 17,6-22 e 1°QM = Rotolo della guerra - Qumran, 1,5-7). Invece il 4° evangelista afferma che "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui" (v.17). L'invio del Figlio ha come unico scopo la salvezza; lo ripeterà Gesù al termine del suo ministero pubblico (cfr. Gv.12,47).

2° - Se per i sinottici "vita eterna" indica una vita futura, successiva alla morte, per Giovanni invece essa è già presente nel credente che accoglie la luce di Gesù: "chiunque crede in lui ha la vita eterna" (v.15); vita eterna allora è la comunione con Dio che è possibile già da subito e che consiste nel nuovo modo di vivere nello Spirito.

3° - Nei vangeli sinottici si parla ripetutamente di un giudizio che avverrà alla fine dei tempi e sarà esercitato dal Figlio dell'Uomo (emblematico è Mt.25, 31-46: il giudizio universale). Invece in Giovanni leggiamo: "Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio." (v.18). Il giudizio dunque non è rimandato alla fine dei tempi, ma si realizza nel presente, è il risultato immediato della presenza del Messia, una presenza che provoca necessariamente una presa di posizione da parte dell'uomo.

Nel v.17 si dice che il Figlio non è venuto per "giudicare" (è la traduzione - migliore di "condannare" - del verbo greco "krìno"), proprio perché il giudizio è l'uomo stesso che lo dà su di sé nella misura in cui, ora che la Luce è venuta nel mondo, accetta o rifiuta di vederla, cioè accetta o rifiuta l'amore apparso in Cristo, accetta o rifiuta di passare dalla morte alla vita definitiva.

Ora, qual è l'alternativa di fronte alla quale tutti siamo richiamati? O accogliere e attuare la verità conosciuta, fosse anche parziale e imperfetta, e quindi vivere secondo la fede, cioè mettere in movimento nella propria vita personale e sociale un dinamismo fondato sulla verità che è l'amore, la realtà che vince la morte. O, al contrario, se si rifiuta la Luce, portare avanti un dinamismo che è il contrario dell'amore, è chiusura, egoismo, e quindi costruire qualcosa che non ha consistenza: questa è la morte, il contrario della vita, del senso, della saldezza.

Questa pagina giovannea è davvero fondamentale per rendersi conto di come purtroppo per tanto tempo ci si sia allontanati dal genuino significato del messaggio cristiano relativo alla salvezza, quando si presentava con accenti imperiosi un Dio giudice terribilmente severo, pronto a condannarti per ogni tuo fallo grande o piccolo; e quando si prospettava, mettendoli sullo stesso piano, la salvezza e la dannazione, il Paradiso e l'Inferno.

v.16 "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna."

Qui si afferma a chiare lettere che il Verbo si è incarnato per SALVARE, e per SALVARE TUTTI, nell'ottica di un amore, che non esclude assolutamente nessuno. E' da notare che, mentre nella seconda parte del 4° vangelo si sottolinea l'amore di Gesù per i discepoli, qui si parla chiaramente di amore per il mondo e questo stesso vocabolo (che designa la totalità degli uomini) è ripetuto ben 4 volte in due versetti (il 16 e il 17).

E la misura di questo amore di Dio per tutti gli uomini è altissima, davvero di molto superiore alla nostra capacità di comprensione. "Se è un grande segno di amore dare la propria vita per chi si ama, è un gesto ancora più grande dare la vita del proprio figlio per chi si ama" (E. Menichelli).

Di fronte ad un amore di tal genere, non ha più senso "aver paura" di Dio e del suo giudizio; occorre piuttosto imparare a vivere nella dimensione dell'amore rivelato dal Figlio, che non giudica, ma dà la salvezza. La fede elimina la possibilità della condanna, perché quanti accolgono il Figlio, vivono nella luce e compiono, naturalmente, opere di verità.

Per la precisione Giovanni dice: "chi fa la verità viene verso la luce"(v.21 a); ora "fare la verità" è un'espressione un po' curiosa, visto che normalmente intendiamo la verità come qualcosa da "conoscere". Ma per Giovanni la verità non è una nozione da apprendere, bensì è "il piano salvifico di Dio da accogliere e costruire" (Maggioni).