Omelia (25-03-2012)
don Alberto Brignoli
Vuoi vedere Gesù? Alza lo sguardo…

Lentamente, ma anche in maniera decisa, il nostro cammino di preparazione alla Pasqua volge al termine. E con esso, pure il nostro sforzo di purificare la fede, in un tentativo mai concluso di ritrovare la genuinità e l'essenzialità del nostro rapporto con Dio, per il quale il tempo di Quaresima è davvero un tempo privilegiato.
Così, nelle due domeniche appena trascorse, la Liturgia della Parola ci ha invitati a tornare ai fondamenti del nostro rapporto con Dio attraverso la purificazione della pratica religiosa (simboleggiata da Gesù con il gesto della cacciata dei mercanti dal tempio) e attraverso la comprensione della folle storia d'amore di Dio nei nostri confronti, narrata lungo il corso dei secoli dalla storia della salvezza del popolo ebreo, e giunta al suo culmine con l'invio nel mondo del suo Figlio unigenito.
Come al termine di ogni cammino che si rispetti e come alla fine di ogni lavoro costato fatica ed impegno, ora avremmo tutto il diritto di voler vedere premiati i nostri sforzi e i nostri sacrifici, prima di avventurarci nel grande mistero della Settimana Santa.
Anche questa domenica c'è qualcosa (stavolta è meglio dire "qualcuno") che, nella Liturgia della Parola, simboleggia il nostro impegno quaresimale. Si tratta di quel gruppo di fedeli ebrei residenti in Grecia che, giungendo a Gerusalemme per la Pasqua, vorrebbe vedere premiato lo sforzo del suo lungo cammino (forse un migliaio di chilometri?) soddisfacendo la curiosità di incontrare quel misterioso e chiacchierato personaggio che sta cambiando le regole della religione giudaica, Gesù di Nazareth. Vanno decisi, a botta sicura, e prendono Filippo, e insieme a lui Andrea, gli unici due discepoli di Gesù dal nome greco, originari di Betsaida, una delle città della Decapoli, territorio in cui si erano rifugiati molti greci: quindi, gente che li può capire, altrimenti avrebbero perso ulteriore tempo nell'esprimersi e spiegarsi agli altri discepoli di lingua ebraica.
E difatti, non chiedono a loro di poter "parlare" con Gesù (magari non si sarebbero nemmeno capiti), e neppure di ottenere da lui delle grazie particolari: "Vogliamo vedere Gesù", tutto qui. I Giudei, concittadini di Gesù, nei capitoli del Vangelo di Giovanni precedenti a questo, cercano di incontrarsi con Gesù per ucciderlo, ancor di più dopo il fattaccio della resurrezione di un morto, l'amico Lazzaro. Questi Greci, invece, stranieri, perfetti sconosciuti, forestieri probabilmente di non così grande fede (se questa coincideva con la pratica religiosa, il tempio lo vedevano una volta l'anno...), dimostrano di avere sete delle cose di Dio, di avere "voglia di vedere Gesù".
Gesù ha una reazione strana, come molte volte nel Vangelo di Giovanni. Invece di concedere un'intervista ai Greci, inizia un discorso particolarmente articolato sull'"ora della sua glorificazione". Considerato che ora il messaggio della salvezza da lui annunciato ha varcato i confini del territorio di Israele ed è arrivato fino in Grecia, è giunta davvero l'ora di manifestarsi al mondo. C'è un breve intermezzo, nel suo articolato discorso, in cui Giovanni riferisce di una voce dal cielo, così come era avvenuto in altri episodi dei Vangeli sinottici (il Battesimo e la Trasfigurazione, ad esempio). Gesù non ha bisogno di questa voce ad ulteriore conferma di ciò che egli è ("Questa voce non è venuta per me, ma per voi", dice ai suoi uditori): gli basta la testimonianza della sua vita, e a questo vuole condurre coloro che lo cercano, oggi come allora.
Chi vuole vedere Gesù deve guardare alle opere che egli compie, e se queste lo portano a credere in lui, deve seguirlo e mettersi al suo servizio: "Dove sono io, là sarà anche il mio servitore". La strada di Gesù conduce senz'altro a un destino di gioia, di luce e di gloria: ma non si tratta di una gloria umana fatta di successi facili, di fama e di acclamazioni come quelle che ascolteremo la prossima domenica accogliendo Gesù trionfalmente in Gerusalemme.
Il destino di gloria a cui Gesù ci invita è quello di un albero che dà frutto a suo tempo, ma che per dare frutto deve fare come il chicco di grano, ossia cadere nel solco della terra e morire per dare vita al nuovo germoglio. Gesù diviene sì "causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono", come ci dice l'autore della lettera agli Ebrei: ma questo avviene attraverso "le forti grida e lacrime nei giorni della sua vita terrena", che certamente hanno "turbato la sua anima", come quella di ogni uomo che vede davanti ai suoi occhi la prospettiva della morte e il silenzio dell'incertezza che la accompagna.
Un Gesù molto poco "divino", nella Liturgia della Parola di oggi: ma è proprio questa sua umanità, condivisa con le sorti dell'umanità intera, che "concluderà l'alleanza nuova" tra Dio e il suo popolo di cui ci parla Geremia nella prima lettura.
Vogliamo allora vedere Gesù? Alziamo lo sguardo, e lo vedremo "innalzato da terra" sul legno della Croce. Al legno della Croce "attirerà tutti a sé". A quell'albero piantato sul Golgota attirerà le mani supplicanti di quell'umanità che agli inizi della storia della salvezza aveva teso le mani ad un altro albero, quello della disobbedienza.
Il frutto di quell'albero mangiando il quale l'umanità decretò la propria condanna, lascia oggi il posto ad un Pane spezzato, frutto di quell'albero germogliato da un chicco di frumento caduto in terra e morto per la nostra salvezza.
L'ultima mossa, questa volta, non sarà più di Signora Morte, ma del Signore della Vita.