Omelia (25-12-2003)
don Fulvio Bertellini
Rinascere come figli

Flash sulle letture:

"Un bambino è nato per noi / ci è stato dato un figlio": originariamente l'oracolo si riferiva alla nascita di un erede al trono, che in un'epoca di difficoltà e contrasti diventa segno di speranza: Dio non ha abbandonato il suo popolo. Anche noi sperimentiamo nelle nostre famiglie come la nascita di un bambino sia per tutti motivo di gioia e di rinnovamento: per i genitori, per i nonni, per tutti gli amici... la stessa gioia ci è proposta facendo memoria della nascita di Cristo. E' una sfida impegnativa: sapremo rallegrarci della nascita di Cristo, come se fosse nato un bambino in casa nostra, come se avessimo vinto alla lotteria, come se ci fosse arrivato un aumento insperato di stipendio? Come potrà celebrare il Natale chi è solo, chi soffre in famiglia, chi non ha segni di speranza, ma solo motivi di preoccupazione? Eppure è proprio in queste circostanze che possiamo riscoprire la gioia più pura e autentica del Natale.

"Ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani, e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo...": la gioia del Natale suppone un atteggiamento adeguato. Non la può capire chi è distratto dalle preoccupazioni, dagli affanni, chi cerca solo evasione. La via per sperimentarla è vivere nell'essenzialità (sobrietà), nella ricerca di buone relazioni con i fratelli (giustizia), nella ricerca di un contatto autentico con Dio (pietà).

"Questo per voi il segno: troverete un bambino...": il segno è povero e poco riconoscibile. La sfolgorante di apparizione degli angeli conduce alla semplicità di un bimbo in una mangiatoia. Il Natale ci conduce a rivalutare nella nostra vita alcune realtà che rischiano di passare sottogamba, e sono invece segno della presenza di Dio, e impegno per la nostra vita.

Una croce nel presepe

Mi è arrivato un augurio via posta elettronica, con allegata un'immagine: un dipinto della natività. Maria, Giuseppe, il bambino steso a terra, nella povertà di una capanna. E sulla parete scura della capanna, un crocifisso. Al principio non si nota. Me ne sono accorto solo schiarendo l'immagine per il foglietto del ritiro di Natale. Razionalmente parlando, è un'assurdità, un anacronismo. I crocifissi non erano ancora stati inventati. Ma il pittore ha voluto esprimere che quel bambino è destinato alla croce. Il mistero del Natale è mistero di umiliazione, che porterà fino alla morte violenta, per il rifiuto degli uomini.

Nascere e soffrire

Apparentemente, il mistero del Natale è solo quello della nascita. La tradizione della Chiesa parla della nascita verginale di Gesù come di un parto indolore, senza sangue, con riferimento alla perfetta disponibilità e accoglienza di Maria nei confronti di questo evento. Maria senza peccato, non subisce le conseguenze del peccato, per le quali anche il fatto splendido della nascita è connotato dal dolore. Per noi la nascita resta un fatto doloroso, nonostante le moderne tecniche anestetiche.

Filo diretto con la Pasqua

Lo ricorda anche il Vangelo di Giovanni: "La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo".
Quelle parole sono riferite alla Pasqua, mistero di morte e risurrezione. Il bambino, nato senza dolore, non ci salva senza la sofferenza della croce. Una linea misteriosa unisce Natale e Pasqua, e unisce nascita e sofferenza di Cristo, c le unisce alla nostra nascita e alla nostra sofferenza.

La gioia autentica

Ma perché queste digressioni angoscianti in un giorno di festa e di gioia, e che per di più sembrano non avere a che fare con la Parola di Dio? Appunto perché la nostra gioia sia piena, e non una bolla di sapone. Da anni viviamo una falsa gioia del Natale, che svapora non appena a Santo Stefano o più tardi si smonta il cenone, o si calzano gli scarponi da sci. E dilegua definitivamente quando passa la Befana e si torna al lavoro. La falsa gioia del Natale non lascia tracce, perché non coglie l'aspetto pasquale della festa: il bambino nasce, si umilia e muore perché anche noi possiamo morire e rinascere come persone nuove.

Rinati in Cristo - Cristo che nasce in noi

Dopo anni che sono prete, comincio a capire solo ora la frase dell'Apostolo: "figlioli miei, che io dinuovo partorisco nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi!". La missione di evangelizzare è definita da Paolo come un vero e proprio parto, non fisico, ma spirituale, che comporta un'autentica sofferenza, e per di più si prolunga nel tempo. Vuol dire per lui incontrare le persone, pregare per loro, mantenere i contatti, soffrire delle loro difficoltà, non abbbandonarle neanche quando tradiscono la sua fiducia, e si mettono nelle mani del primo arrivato. Aggiungiamo anche il rimprovero, l'accusa, la parola dura che spinge alla conversione. Generare alla fede si rivela come un processo mai concluso pienamente, che solo dopo un lungo travaglio arriva alla pienezza della gioia.

Dalla parte dei figli

Paolo non era sposato, anzi rivendicava con forza la sua condizione di verginità, consacrata al servizio del Vangelo. Eppure si sente genitore, padre e madre insieme. Noi invece ci troviamo dall'altra parte: dalla parte dei figli. Figli spirituali, che forse fanno fatica a venire alla luce. L'evangelista Giovanni nel Prologo ci reca questo annuncio grandioso: "a quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio". Ma quando saremo veramente e pienamente rinati come figli di Dio? C'è chi compie questo passaggio a vent'anni, chi a trenta, chi a quarant'anni. E c'è chi si ferma. E soprattutto per costoro il Natale è un invito a compiere definitivamente il passaggio alla condizione dei figli di Dio, dei discepoli autentici, coloro che hanno Cristo dentro, e possono trasmetterlo agli altri.