Omelia (25-03-2012)
Ileana Mortari - rito romano
Attirerò tutti a me

La pericope si colloca subito dopo l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. L'autore ci informa che tra coloro che erano saliti alla capitale per la festa di Pasqua c'erano dei Greci, i quali chiedono a Filippo di "vedere" Gesù.
"Vedere" (greco "idéin") in Giovanni ha un senso molto ricco: è un andare oltre le apparenze per raggiungere il mistero che esse nascondono; allora "vedere" significa non solo incontrare il Messia, ma soprattutto riconoscerlo nella sua vera identità e credere in Lui. Il loro desiderio è sincero, fermo e profondo: "VOGLIAMO vedere Gesù". Filippo, insieme ad Andrea, riferisce la domanda al Maestro; questi non pare rispondere all'interrogativo; ma, a ben vedere, Egli in realtà risponde, anzi va al cuore della richiesta, dal momento che in poche parole rivela se stesso invitando a considerare il mistero della Croce. E lo fa ben quattro volte: con la parabola del chicco di grano (12,24), con il detto di sequela rivolto ai discepoli (12,25-26), con la descrizione del dibattito che avviene nel suo animo (12,27-28), con la solenne proclamazione conclusiva (12,32: "Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me"). Il che significa che non c'è altro modo per parlare di Gesù se non la croce.

v.23 "È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato".
"Sia glorificato" è una forma verbale al passivo, che si ha quando si pone come soggetto dell'azione la persona o la cosa che nella realtà subisce l'azione stessa (es. "il pane viene mangiato"); il complemento d'agente è colui che compie l'azione, pur non essendo il soggetto ("il pane viene mangiato dal prigioniero").
Ora, nei vangeli troviamo circa un centinaio di volte questo procedimento: una forma verbale passiva priva del complemento d'agente: "chiedete, e vi sarà dato" (non si specifica da chi = complemento d'agente; "non giudicate per non essere giudicati"; e in questo cap.12° di Giovanni: "E' venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato". In ognuna di queste espressioni il complemento d'agente sottinteso, ma non nominato, è DIO.

Questo perché, come noto, nel mondo ebraico si evitava il più possibile di nominare Dio. Anzi, per osservare scrupolosamente il 2° comandamento ("Non nominare il nome di Dio invano"; cfr. Es.20,7 e Dt.5,11), già da prima dell'era cristiana si era proibito di pronunciare il tetragramma (le 4 lettere ebraiche del nome di Jahvè: JHWH) e lo si sostituiva con sinonimi o perifrasi tipo "i cieli", "la Potenza", "il Nome", etc.

Nelle espressioni sopra ricordate si mette il verbo al passivo e si sottintende il complemento d'agente per non nominare Dio, ma l'uditore o il lettore capiscono ugualmente che si tratta di Dio; per questo è detto "passivo teologico" o "divino". Così, quando Gesù dice al paralitico: "I tuoi peccati ti sono rimessi" (Lc.5,20), bisogna intendere: "I tuoi peccati ti sono rimessi da Dio", cioè "Dio ti ha perdonato i tuoi peccati."
Il v.23 vuol dunque significare che sarà Dio a glorificare Gesù.

v.24 : "se il chicco di grano non muore....
Se nei sinottici il seme rappresenta la Parola o il Regno di Dio, in Giovanni invece il seme è Gesù stesso e attraverso questa piccola parabola egli intende illustrare il significato della sua morte. Il Figlio dell'uomo è come il chicco di frumento, va sotto terra e muore, ma proprio per questo porta frutto. Infatti, come avviene per il chicco che solo spaccandosi e morendo può liberare tutta la sua vitalità, così Gesù morendo mostrerà tutto il suo amore che dona vita.

v.24 b: "il chicco.....produce molto frutto"

Quali frutti? La glorificazione del Figlio (v.23), il giudizio (v.31) e il raduno degli eletti (v.32). Sono tre motivi che la tradizione sinottica applica al Figlio dell'uomo e al suo ritorno nella parusia: Giovanni anticipa tutto questo al momento della morte-resurrezione, che diventa così il momento centrale di tutta la storia della salvezza.

Gesù prega il Padre e questi gli risponde dal cielo: "L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!" (v.28 b). Il passato si riferisce alla gloria che il Padre ha dato a Gesù mediante i segni (1,14; 2,11, etc.) e la stessa rivelazione. La futura glorificazione è quella che avverrà con la morte-resurrezione-dono dello Spirito, in cui Gesù attirerà tutti a sé. Nella gloria terrena si riverbera già quella futura, e quella futura è un compimento della gloria già rivelatasi nel Logos incarnato, in quanto la sua azione salvifica diventa così efficace e universale.

v.32: "E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me." Se Gesù viene inchiodato al patibolo dalla violenza omicida di chi si sentiva minacciato, quella sospensione alla croce diventa un vero innalzamento," cioè un porre ben in vista colui che invece è per tutti salvezza e benedizione.

Osserva Bruno Maggioni, in Era veramente un uomo, pag.153 e sgg.:
L'essere "innalzato" è la condizione perché il Crocefisso (e non solo il Risorto!) possa attrarre a sé. Come potrebbe il Crocefisso attrarre, se non fosse in alto e ben visibile?
"Attrarre" in greco ("elko") significa "attrarre con forza", come una calamita, non però con una violenza che incombe dall'esterno, bensì con un'attrazione interiore, affascinando. La croce attrae mostrandosi. E questo dice un metodo. Ciò che attira in questo modo è solitamente la bellezza o l'amore o lo splendore di una grande verità o una novità attesa e che sorprende. Il Crocefisso innalzato è la rivelazione delle insospettate profondità, della bellezza e della novità del volto di Dio: un volto che ha i tratti del dono di sé e della gratuità e fedeltà dell'amore. Un Dio che appare "capovolto": non l'uomo muore per Dio, ma Dio per l'uomo. Un capovolgimento che lascia incantati. Tanto più che il Cristo "innalzato" svela anche un altro capovolgimento: l'amore, che tante volte pare sconfitto (come, appunto, sulla croce), è invece vittorioso, è l'unica forza che neppure la morte riesce a sconfiggere..............
............La forza di attrazione del Crocefisso raggiunge ogni uomo. "Tutti" dice immediatamente l'universalità più completa, un tema al quale il vangelo di Giovanni è particolarmente sensibile. In Giov.11,52 si legge che Gesù doveva "morire.....non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi". Nell'allegoria del pastore Gesù parla di "altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare" (Giov.10,16). In 12, 20-22 - il nostro passo, appunto - si racconta che alcuni greci chiedono di poter vedere Gesù. E in 19,37, a conclusione del racconto della crocefissione, Giovanni cita una profezia di Zaccaria: "Guarderanno a colui che hanno trafitto" (Zac.12,10). Tutti questi passi legano l'universalità al Crocefisso. E' il Cristo in croce che attrae e la sua attrazione non ha confini.

Forza che attrae, il Crocefisso innalzato è anche il punto dell'incontro: "Attirerò tutti verso di me". La croce è il punto dove gli uomini dispersi e lontani - dispersi fra loro perché lontani da Dio - si incontrano. Leggendo i vangeli si ha l'impressione che la croce disperde (anche i discepoli sono fuggiti!) e invece, una volta innalzata e compresa, la croce riunisce. Si tratta di unità degli uomini fra loro e con Cristo. Ma è il "con Cristo" la forza che costruisce il "fra loro". Gli uomini dispersi si ritrovano insieme perché ciascuno guarda nella stessa direzione, attratti tutti dalla stessa Persona ("verso di me"). E' così che Gesù fa la Chiesa.>