Omelia (25-12-2003) |
don Fulvio Bertellini |
Rinascere come figli Flash sulle letture: "Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme": immagine surreale: i muri crollati che cantano di gioia! Nel sesto secolo a.C il popolo di Israele sperimentò la distruzione di Gerusalemme, l'amarezza dell'esilio, la rinascita di una comunità in terra straniera, la gioia del ritorno. Questo è il clima spirituale in cui si collocano queste profezie. Le rovine della città non sono più ricordo della distruzione, ma si aprono ad una speranza nuova. E' forte anche per la nostra Chiesa vivere nel rimpianto, nella rassegnazione, nel ricordo dei bei tempi andati. Il Natale non toglie i segnali negativi, non ci fa' chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà e ai problemi: ma in questa storia inserisce una visuale di speranza. E anche le rovine possono cantare... "...dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli...": notiamo che si tratta di una tematica propriamente pasquale: purificazione dei peccati (Passione) e sedere alla destra di Dio (risurrezione). E' decisivo, per una buona celebrazione del Natale, recuperare la sua dimensione "scandalosa", il suo legame con la Pasqua. Quel bambino viene per risanare (mette a nudo la nostra condizione malata), viene per essere rifiutato, viene per essere crocifisso, viene per condurci alla Risurrezione, ma passando per la Passione. Una croce nel presepe Mi è arrivato un augurio via posta elettronica, con allegata un'immagine: un dipinto della natività. Maria, Giuseppe, il bambino steso a terra, nella povertà di una capanna. E sulla parete scura della capanna, un crocifisso. Al principio non si nota. Me ne sono accorto solo schiarendo l'immagine per il foglietto del ritiro di Natale. Razionalmente parlando, è un'assurdità, un anacronismo. I crocifissi non erano ancora stati inventati. Ma il pittore ha voluto esprimere che quel bambino è destinato alla croce. Il mistero del Natale è mistero di umiliazione, che porterà fino alla morte violenta, per il rifiuto degli uomini. Nascere e soffrire Apparentemente, il mistero del Natale è solo quello della nascita. La tradizione della Chiesa parla della nascita verginale di Gesù come di un parto indolore, senza sangue, con riferimento alla perfetta disponibilità e accoglienza di Maria nei confronti di questo evento. Maria senza peccato, non subisce le conseguenze del peccato, per le quali anche il fatto splendido della nascita è connotato dal dolore. Per noi la nascita resta un fatto doloroso, nonostante le moderne tecniche anestetiche. Filo diretto con la Pasqua Lo ricorda anche il Vangelo di Giovanni: "La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo". Quelle parole sono riferite alla Pasqua, mistero di morte e risurrezione. Il bambino, nato senza dolore, non ci salva senza la sofferenza della croce. Una linea misteriosa unisce Natale e Pasqua, e unisce nascita e sofferenza di Cristo, c le unisce alla nostra nascita e alla nostra sofferenza. La gioia autentica Ma perché queste digressioni angoscianti in un giorno di festa e di gioia, e che per di più sembrano non avere a che fare con la Parola di Dio? Appunto perché la nostra gioia sia piena, e non una bolla di sapone. Da anni viviamo una falsa gioia del Natale, che svapora non appena a Santo Stefano o più tardi si smonta il cenone, o si calzano gli scarponi da sci. E dilegua definitivamente quando passa la Befana e si torna al lavoro. La falsa gioia del Natale non lascia tracce, perché non coglie l'aspetto pasquale della festa: il bambino nasce, si umilia e muore perché anche noi possiamo morire e rinascere come persone nuove. Rinati in Cristo - Cristo che nasce in noi Dopo anni che sono prete, comincio a capire solo ora la frase dell'Apostolo: "figlioli miei, che io dinuovo partorisco nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi!". La missione di evangelizzare è definita da Paolo come un vero e proprio parto, non fisico, ma spirituale, che comporta un'autentica sofferenza, e per di più si prolunga nel tempo. Vuol dire per lui incontrare le persone, pregare per loro, mantenere i contatti, soffrire delle loro difficoltà, non abbbandonarle neanche quando tradiscono la sua fiducia, e si mettono nelle mani del primo arrivato. Aggiungiamo anche il rimprovero, l'accusa, la parola dura che spinge alla conversione. Generare alla fede si rivela come un processo mai concluso pienamente, che solo dopo un lungo travaglio arriva alla pienezza della gioia. Dalla parte dei figli Paolo non era sposato, anzi rivendicava con forza la sua condizione di verginità, consacrata al servizio del Vangelo. Eppure si sente genitore, padre e madre insieme. Noi invece ci troviamo dall'altra parte: dalla parte dei figli. Figli spirituali, che forse fanno fatica a venire alla luce. L'evangelista Giovanni nel Prologo ci reca questo annuncio grandioso: "a quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio". Ma quando saremo veramente e pienamente rinati come figli di Dio? C'è chi compie questo passaggio a vent'anni, chi a trenta, chi a quarant'anni. E c'è chi si ferma. E soprattutto per costoro il Natale è un invito a compiere definitivamente il passaggio alla condizione dei figli di Dio, dei discepoli autentici, coloro che hanno Cristo dentro, e possono trasmetterlo agli altri. |