Omelia (25-03-2012)
padre Ermes Ronchi
Morire a se stessi moltiplica la vita

Vogliamo vedere Gesù. Gran­de domanda dei cercatori di sempre, domanda che sento mia. La risposta di Gesù do­na occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, due imma­gini come sintesi ardente dell'evento Gesù.
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, pro­duce molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perché può le­gittimare una visione dolori­stica e infelice della religio­ne.
Un verbo balza subito in evi­denza per la sua presa emo­tiva: morire, non morire. I­potesi o necessità, pare o­scurare tutto il resto, mentre invece è l'inganno di una let­tura superficiale. L'azione principale, lo scopo verso cui tutto converge, il verbo che regge l'intera costruzione è «produrre»: il chicco produ­ce molto frutto. L'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono.
Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: nessun segno di vita, un gu­scio spento e inerte, che in realtà è un forziere, un pic­colo vulcano di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma ma rinasce in for­ma di germe, non uno che si sacrifica per l'altro - seme e germe non sono due cose di­verse, sono la stessa cosa ­ma tutto trasformato in più vita: la gemma si muta in fio­re, il fiore in frutto, il frutto in seme. Nel ciclo vitale come in quello spirituale «la vita non è tolta ma trasformata» (Liturgia dei defunti), non perdita ma espansione.
Ogni uomo e donna sono chicco di grano, seminato nei solchi della storia, della fa­miglia, dell'ambiente di la­voro e chiamato al molto frutto. Se sei generoso di te, di tempo cuore intelligenza; se ti dedichi, come un atleta, uno scienziato o un inna­morato al tuo scopo, allora produci molto frutto. Se sei generoso, non perdi ma mol­tiplichi la vita.
La seconda icona è la croce, l'immagine più pura e più al­ta che Dio ha dato di se stes­so. «Per sapere chi sia Dio de­vo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce» (Karl Rah­ner). Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Ma dalla morte risorge come un germe di vita indistrutti­bile, e ci trascina fuori, in alto, con sé. Gesù è così: un chicco di gra­no, che si consuma e fiorisce; una croce, dove già respira la risurrezione. Io sono cristia­no per attrazione: attirerò tutti a me. E la mia fede è contemplazione del volto del Dio crocifisso.
«La Croce non ci fu data per capirla ma perché ci aggrap­passimo ad essa» (Bonhoef­­fer): attratto da qualcosa che non capisco ma che mi se­duce, mi aggrappo alla sua Croce, cammino dietro a Cri­sto, morente in eterno, in e­terno risorgente.