Omelia (25-03-2012)
don Maurizio Prandi
Lasciarsi scrivere

Ritorna, in questa quinta domenica di quaresima, la parola Alleanza. La prima lettura di oggi infatti parla di una alleanza nuova che Dio vuole stringere con il suo popolo. La prima cosa che mi colpisce è che questa è una esigenza di Dio o per lo meno a me pare così. Dio non può fare a meno di questa relazione con il suo popolo, che già si è allontanato una volta, che già si è dimenticato, che già ha rotto una prima alleanza. Dio sembra quasi fare ammenda per un suo errore quando dice che nella precedente alleanza aveva preso per mano il suo popolo e si rende conto che prendere per mano non è sufficiente, è necessario prendere per il cuore. Mi sembra davvero bellissima la prima lettura che la chiesa ci consegna questa domenica e nella sua semplicità, anche illuminante, provo a condividere l'dea che mi sono fatto: un Dio che prende per mano un popolo e dona una legge scritta su tavole di pietra è un Dio che rimane all'esterno. Trovo una conferma di questo nell'espressione: hanno infranto l'Alleanza benché fossi il loro Signore... Parafraso: ero io che comandavo, ero io che davo gli ordini, ero io il capo e loro non mi hanno obbedito. La relazione con chi si pone come capo è sempre una relazione difficile. Le cose cambiano perché Dio stesso parla della necessità di una nuova alleanza dove Egli non sarà più il nostro capo, colui che comanda, ma semplicemente sarà il nostro Dio e noi il suo popolo (v. 33)
Che bello! Dio parla il linguaggio dell'appartenenza reciproca. Don G. Nicolini scrive a questo proposito una cosa bellissima: Sembra quasi che Dio voglia porre una differenza nel suo modo di essere con noi, non più secondo un dominio, un comando, ma secondo un'intimità. Sarà una situazione di straordinaria bellezza, dove ognuno avrà una sua relazione ricca e piena con Dio, senza "dipendenze" da altri, ma in una condizione di piena comunione fraterna, dove, comunicando, non si batterà più l'aria riempendola di luoghi comuni e cose scontate, ma si comunicherà sull'essenziale della fede, per essere partecipi dello stesso Signore (v.34), "dal più piccolo al più grande" (questa è un'altra perla di bellezza, perché non dice "dal più grande al più piccolo"!). La nostra esperienza di fede, che è sempre esperienza pasquale (fatta cioè di tante morti e altrettante resurrezioni) sarà immersa totalmente nella misericordia di Dio: perdonerò la loro iniquità, non ricorderò il loro peccato. Ognuno di noi può conoscere Dio nella misura in cui si abbandona alla Sua misericordia, ossia si riconosce bisognoso di amore, vicinanza, perdono. E' un cammino bello questo, perché è un cammino per cuori poveri, umili, mendicanti, solamente un cuore povero può aprirsi a Dio, accoglierlo, riceverlo, lasciarsi scrivere sopra da Lui. C'è un punto in comune, secondo me, tra le letture di questa domenica che sintetizzo così: nel fallimento, la salvezza. Il brano di Geremia infatti si colloco nel "disastro generale" di Gerusalemme, quando la città viene distrutta. In questo momento di profonda crisi Geremia dice che c'è una possibilità nuova per vivere, una opportunità nuova per conoscere il volto di Dio. E' necessario fallire per conoscere la bontà e la misericordia di Dio. Dio stesso desidera qualcosa di diverso, di più profondo, è necessaria una maggiore intimità, è necessario per lui entrare nel cuore ed è necessario per noi (lo ripeto), lasciarsi scrivere nel cuore.
Se volete, anche la seconda lettura parla di un fallimento (agli occhi degli uomini): quello di Gesù che fa della sua vita terrena un grido al Padre, una supplica (chi è disperato supplica...), un pianto, un patire. Tutto questo a me pare invece di una bellezza straordinaria: la lettera agli Ebrei mi racconta di un Dio vicino, dipinge il volto di un Dio che una volta di più è amore. In poche righe la seconda lettura ci regala il volto di un Dio umanissimo, perché non tutto nella sua vita è stato splendente come nel giorno della Trasfigurazione. Non possiamo non sentirlo alla nostra portata, perché anche la nostra relazione con il Padre è spesso grido, lacrima, supplica. Ringraziamo l'anonimo autore della lettera agli Ebrei perché ci dice che per Gesù, più della sua stessa vita conta l'obbedienza al progetto del Padre, la fede (per il suo pieno abbandono a Lui), l'amore ad ogni donna e uomo che provano a camminare e a crescere (divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono...). Dio Padre ascolta il grido di Gesù e nel grido di Gesù quello di ogni persona che si rivolge a Lui e lo libera dai lacci della morte: ancora una volta, nel fallimento, la salvezza, che è quel frutto che la vita di Gesù porta, proprio perché è una vita donata ci dice il vangelo.
Il primo cuore che si è lasciato scrivere da Dio allora è quello di Gesù. Trovo bella l'intuizione della comunità di S. Egidio che in un commento alla Parola di Dio di questa domenica scrive: in Gesù si compie questa nuova alleanza, perché lui stesso rievocherà, nell'Ultima Cena, la profezia di Geremia, quando, parlando del suo sangue versato dice: questo è il calice della nuova ed eterna alleanza. Una alleanza non più scritta su tavole di pietra, ma nel cuore stesso degli uomini. Il primo cuore su cui essa è scritta è quello stesso di Gesù: sulla croce, squarciato dalla lancia, quel cuore effonde tutto il suo sangue fino all'ultima goccia.
Il brano di vangelo ci chiede, a mio avviso, di sostare su quella richiesta che i greci fanno a Filippo: Vogliamo vedere Gesù! Intuisco che è una richiesta sbagliata, perché il cristiano non è l'uomo della visione, e quindi delle certezza, ma è l'uomo dell'ascolto, e quindi della fiducia; ma trovo che in quella richiesta ci sia il desiderio legittimo di un incontro, al quale, forse inconsciamente, tutti aspiriamo, un incontro che tutti desideriamo fare: quello con Colui che salva la nostra vita dandole un senso e una direzione. Qui a Cuba ascoltiamo questa pagina di vangelo in un momento importantissimo: la visita di Papa Benedetto XVI°. E' il Vicario di Cristo, non è quindi il cuore e il centro della Chiesa perché cuore e centro della Chiesa è il Signore Gesù, ma è colui che viene a confermare tutti noi nella fede in Lui, è colui che viene per invitarci ad aprire la porta e a lasciarci scrivere sul cuore: vogliamo vederlo e ascoltarlo. Ma abbiamo anche un sogno che dico con le parole di una donna della comunità di Punta Felipe: Verrà anche da noi il papa? Lì per lì ho pensato: ma cosa pensano questi? Ma non si rendono conto... e poi mi sono detto: ma perché non sognare che nel suo venire a Cuba il papa possa vedere Gesù in questa terra, in questo popolo, in questa gente. Perché non sognare che possa vedere Gesù in Lizmary, 8 anni, che proprio ieri, entrando in chiesa e vedendo la foto grande del papa mi chiede: senti, questo è il signore che è venuto a liberare i carcerati? Vorrei che liberasse anche mio papà, che è in carcere... (tanti sanno molte cose del papa, ma quasi nessuno sa che proprio perché lui viene a Cuba già 3000 carcerati sono stati liberati e questo Lizmary lo sapeva). Mi fermo a questo sogno, con la consapevolezza che potrebbe vedere Gesù in tantissime altre persone... e questo sogno mi apre al ringraziamento, per poter io vedere, contemplare Gesù in così tanti fratelli e sorelle, tutti quelle che Lui mi dona di incontrare.