Omelia (01-04-2012) |
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Vangelo lunghissimo e doloroso, quello che abbiamo appena ascoltato; il nostro cuore e la nostra testa non ce la fanno ad accogliere altre parole. Questo non è il momento per grandi discorsi, ma è tempo di silenzio, per ripercorrere con la mente tutto quello che abbiamo ascoltato, così da custodirlo bene nell'anima e farlo radicare profondamente in noi. Per questo, voglio proporvi di richiamare solo alcune immagini, che il racconto dell'evangelista Marco ha suscitato. Sono immagini semplici, che hanno uno stesso filo conduttore: le mani. Le mani dei protagonisti dei diversi episodi che, scena dopo scena, hanno scandito le ultime ore della vita di Gesù. Per prime, ci sono le mani delicate e profumate della donna che rompe il vasetto di alabastro per versare l'olio di bellezza sui capelli di Gesù. È un gesto gentile, lieve, quasi una coccola, che però suscita il malumore di alcuni tra i presenti. Il Rabbi non si lascia impressionare dai commenti aspri della gente: sorride alla donna e si lascia avvolgere dal profumo intenso del nardo. È come un sorso di amicizia e di bellezza, che il Maestro e Signore può ricevere prima di essere arrestato. Pochi giorni dopo questo episodio, incontriamo le mani affaccendate ed allegre degli Apostoli, che preparano la sala della festa e la tavola per cena tradizionale. Noi, ora, sappiamo già che quella che stanno preparando è l'ultima cena di Gesù, ma per i suoi amici è solo una festa che li riempie di gioia e quindi si danno da fare con il cuore lieto. Sono belle queste mani: forse un po' ruvide e poco curate, ma si impegnano volentieri a rendere accogliente la sala e curata la tavola. Questo sarà l'ultimo momento sereno per il Maestro Gesù, insieme ai suoi discepoli. Infatti, ecco farsi avanti mani violente e armate di spade e bastoni: sono i soldati e la folla che vanno all'orto degli ulivi per arrestarlo. Sono mani che hanno voglia di colpire, di fare male. Sono pronte ad accusare e a consegnare un innocente alla morte. Sono mani che si agitano tutte insieme, spingono via gli Apostoli, afferrano in maniera brusca e spintonano il giovane Rabbi, che li stupisce con la sua calma. Purtroppo altre mani si fanno avanti, quando Gesù è nel Sinedrio, di fronte ai capi dei sacerdoti: il suo silenzio irrita gli accusatori, ed ecco mani pronte a colpire, a schiaffeggiare, a dare pugni... Gesti simili li compiono poco dopo anche i soldati romani, che portano il prigioniero nel pretorio e lo flagellano, lo coronano di spine, lo colpiscono sulla testa con una canna e lo prendono in giro... Nel frattempo, non possiamo fare a meno di ricordare anche le mani di Pietro, che mescolato tra i servi, si scalda vicino al fuoco, nel cortile della casa del Sommo Sacerdote. Nel chiarore della fiamma, le mani di una serva indicano Pietro per accusare, per attirare l'attenzione degli altri verso quel Galileo che è di sicuro un discepolo del Nazareno. E qui, ci sembra proprio di vederle, le mani di Pietro, che tremano di paura e di vergogna: paura di essere scoperto, accusato, condannato... Alla paura si mescola la vergogna, quando il gallo canta e l'apostolo ricorda le parole del suo Rabbi: "Prima che il gallo abbia cantato due volte, tu mi rinnegherai tre volte." Le mani di Pietro ora nascondono il suo volto, mentre piange, riconoscendo la sua debolezza che l'ha portato a rinnegare il suo stesso Maestro. In mezzo a tanto dolore, ecco un gesto diverso: i soldati obbligano un contadino, di Cirene, a caricarsi della croce di Gesù. Mani stanche, di chi ha lavorato tutto il giorno, che ora stringono la croce e la portano al posto del condannato. Simone di Cirene non ha niente a che vedere con quanto è successo nel corso della giornata, ma le sue mani portano il peso della croce, con generosità, anche se certamente con fatica. Forse inizialmente avrà anche protestato per la prepotenza dei soldati che lo trascinano a compiere un incarico così sgradevole; ma poi lascia che la pietà si faccia strada dentro di lui, per quell'uomo mite e maltrattato che sta andando a morire. Con la compassione, aumenta anche lo slancio per trasportare il legno pesante, come un ultimo dono per il condannato. Si arriva al Golgota, Gesù è crocifisso insieme ad altri due uomini e noi, che ascoltiamo il racconto rapido di Marco, rimaniamo dolorosamente colpiti dalle mani dei soldati che, dopo aver inchiodato i condannati ciascuno alla propria croce, ora giocano, per tirare a sorte chi debba prendersi la tunica e il mantello di Gesù. Mani indifferenti alla sofferenza e alla morte, incuranti di quanto sta accadendo intorno. Per ultime, quando ormai ci sentiamo con l'anima gelata per il dolore della morte del nostro amato Signore, incontriamo le mani premurose e coraggiose di Giuseppe di Arimatea: che rischia in prima persona, per andare da Pilato a domandare il corpo di Gesù, che compra di tasca sua il lenzuolo per la sepoltura del Maestro e poi mette a disposizione la propria tomba. Ecco: tutto è compiuto, Gesù ha dato la vita per amore ed entriamo con Lui in questa grande settimana, in cui ci concentriamo su questo dono d'amore, così da prepararci bene, bene, bene, all'annuncio della Resurrezione. Ma oggi, in questa domenica di Passione, fermiamoci ancora un momento, abbassiamo gli occhi e fissiamo lo sguardo sulle nostre mani. Se guardo davanti a me, vedo qui mani macchiate di penna... anche da un evidenziatore, in effetti... Ci sono dei graffi, su una mano... e lì c'è una crosticina che è stata già staccata un paio di volte e torna a riformarsi... Laggiù ci sono alcune mani con le unghie mangiate ed accanto vedo mani che hanno bisogno di essere lavate... Questo è quello che si può vedere con una semplice occhiata, uno sguardo superficiale. Ma proviamo ad usare gli occhi dell'anima e a guardare con serietà e attenzione: le nostre, che mani sono? Che mani vogliamo che siano? Speriamo che non siano mani violente, come la folla al Getsemani; mai, in nessuna occasione, le nostre mani siano aggressive, né in famiglia, né con gli amici. E neppure che siano come quelle della serva: che non ci capiti di additare gli altri per prenderli in giro, per metterli in ridicolo. Speriamo poi che le nostre non siano mani indifferenti, di fronte al dolore degli altri, alla solitudine, alla sofferenza, alla tristezza; speriamo che le nostre mani non siano come quelle dei soldati che giocano a morra o a dadi, senza preoccuparsi di ciò che accade intorno. No, no davvero! Piuttosto, preghiamo il Signore perché le nostre mani non siano neppure timide, vergognose, paurose, come quelle di Pietro, che non ha il coraggio di testimoniare fino in fondo, che si lascia schiacciare dai commenti della gente. Auguriamoci, di avere mani amorevoli, come quelle della donna che rompe il vaso di profumo, per essere anche noi sempre pronti a compiere gesti gentili: non servono grandi atti eroici, perché basta raccogliere una carta da terra, aprire una porta con garbo; spostare una sedia senza trascinarla; riporre uno zaino con ordine, senza lasciarlo in mezzo al soggiorno... Possiamo rendere le nostre mani servizievoli e allegre, come gli apostoli nel cenacolo, così da preparare piccole sorprese per chi ci vive accanto: scrivere un biglietto gentile, confezionare un piccolo dono, apparecchiare la tavola con cura, innaffiare una piantina... Chiediamo a Dio Padre il dono di mani generose, che anche quando sono stanche, non si arrendono, non rifiutano di aiutare, di sollevare il peso della croce, come fa il buon cireneo: mani che confortano chi è triste, che intervengono per mettere pace, per separare chi litiga, per condividere una fatica, per portare un peso... Cerchiamo di avere sempre mani premurose e coraggiose, come quelle di Giuseppe di Arimatea: mani che sanno asciugare lacrime, mettere un cerotto, fare una carezza, scambiare un segno di pace vero e sincero, capaci di fare un bel segno di Croce sulla nostra persona, mani libere di aprirsi con fede per pregare il Padre Nostro... Quante possibilità riusciamo a vedere, solo guardando queste nostre mani! Decidiamo ora, nel silenzio del cuore, in che modo vogliamo usarle queste mani, nella settimana che ci attende. Così il giorno di Pasqua ciascuno potrà guardare con semplice gioia le proprie mani e presentarle con fiducia al Signore Risorto, perché Egli le ricolmi di tutti i suoi doni! Commento a cura di Daniela De Simeis |