Omelia (01-04-2012) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di don Nazzareno Marconi La liturgia della domenica delle Palme ci propone quest'anno la passione di Cristo secondo Marco. Questo racconto è a tutti gli effetti il culmine del suo vangelo. La passione è narrata in un racconto coerente, costruito con solidità, che non trova un equivalente per nessun altro periodo della vita di Gesù. E' soprattutto significativa la concordanza forte tra i 4 evangelisti, che testimonia come questo racconto sia molto antico, è un nucleo antico della predicazione apostolica che forse è trasmesso da Marco nella sua forma più nativa. Marco probabilmente lo possedeva già strutturato ed in un greco sobrio e corretto. Infatti quando lo specialista legge il suo racconto nota con chiarezza che c'è una differenza chiara rispetto al resto del suo vangelo. Non abbiamo più il tono rude e misterioso di Marco, spesso infarcito di semitismi e di passaggi concitati simili alla relazione di un testimone oculare. Troviamo invece un racconto semplice, scarno ed unitario, fiducioso che i fatti hanno sufficiente eloquenza per presentarsi da soli. Tuttavia in alcuni passaggi troviamo aggiunte caratterizzate da uno stile più vivo e concreto, come l'episodio del giovinetto che fugge via nudo (Mc 14,51s) o i nomi dei figli di Simone di Cirene (Mc 15,21), sono segni di un intervento diretto dell'evangelista, che si caratterizza con la vivezza del testimone oculare. Queste aggiunte al racconto tradizionale già diffuso a Roma, dove Marco scrive, non è improbabile che siano ricordi diretti di S. Pietro, il grande maestro del nostro evangelista. Il risultato è che Marco colpisce il suo lettore, sia con la cruda relazione dei fatti, che con la vivezza partecipativa di alcuni passaggi, egli vuole scuoterci mettendoci di fronte allo scandalo della croce: la morte in croce si rivela scandalosa, ma al tempo stesso mette in luce la grandezza divina di Gesù. Per far questo Marco spesso ricorda che gli avvenimenti della passione di Gesù avverano quello che era stato scritto di Lui nell'AT (Mc 14,21.27.49; 15,28). In modo particolare ricorda i possibili paralleli tra la passione di Gesù e la Profezia sul Messia Sofferente fatta dal profeta Isaia (Mc 14,65; 15,15-20 e Is 50,6; Mc 15,27 e Is 53,12). In questo modo sottolinea che, anche se Gesù appare in totale balia degli uomini, dietro le quinte dell'azione, all'insaputa dei protagonisti, si sta svolgendo un dramma che coinvolge tutto l'universo e tutta la storia e la cui regia è saldamente nelle mani di Dio. Così la passione di Gesù è il punto in cui culmina tutta la storia della nostra salvezza, voluta da Dio. Essa è anche il punto d'arrivo del vangelo di Marco, che con tre solenni predizioni della stessa passione ci aveva ripetutamente orientato a questo (Mc 8,31ss; 9,30ss; 10,32ss). In Marco il mistero della Passione si impone in noi e ci impressiona come dall'esterno. Il risultato è la richiesta cara che rivolge al suo lettore di un atto di fede, di sottomissione al mistero (Mc 15,39). Il racconto del calvario costituisce l'acme della narrazione e potremmo intitolarlo: "Dalle tenebre nasce la luce". Il tutto si svolge attorno a 6 quadri fondamentali: Il Cireneo (15,21) la crocifissione (22-27) le offese a Gesù (28-32) le tenebre (33-36) la morte di Gesù e le sue ripercussioni (37-39) la menzione delle pie donne (40-41) La menzione del Cireneo e delle pie donne alla fine, hanno la chiara funzione, secondo lo stile di Marco, di circondare i fatti con il rimando a dei testimoni oculari rintracciabili per la gente che lo ascolta. Tutto ciò che viene narrato in questa cornice si presenta dunque non come frutto di una fervida fantasia, ma come una relazione di quanto accaduto. Marco riorganizza i racconti e le testimonianze in base ai temi del processo a Gesù, ma in ordine inverso: infatti la sezione delle offese si rifà ai temi del processo Giudaico centrato attorno al titolo di: Gesù Messia. La crocifissione invece si rifà ai temi del processo Romano, centrato sul titolo: Gesù re dei Giudei. Tornano significativamente i titoli tipici del suo vangelo: Messia e Figlio di David. Marco fa celebrare nuovamente il processo in modo simbolico. Il primo gruppo di ingiuriatori, come i falsi testimoni del processo Giudaico, accusano Gesù riguardo al tempio nuovo da ricostruire. Il lettore è invitato a porsi questa domanda: Gesù sta morendo, sta perdendo tutto, sta fallendo? Oppure sta ricostruendo nel suo corpo il nuovo tempio, il nuovo grande segno della presenza di Dio nel mondo? La sua morte in croce è un fallimento o il sacrificio di consacrazione di un nuovo tempio spirituale, grazie al quale la presenza di Dio nel mondo diventa innegabilmente più forte e costante? La seconda serie di ingiuriatori si richiamano alla domanda del Sommo Sacerdote: se Gesù sia realmente il messia e la loro obiezione alla situazione in cui di fatto si trova Gesù appare logica. Ciò che si mostra come illogico ed incomprensibile è il piano di Dio. Marco vuole che i suoi lettori restino nelle tenebre come tutto il mondo di allora nei confronti della grande domanda: Dio è con Gesù o no? Quando giunge il momento del Giudizio di Dio la risposta sembra andare in direzione di una condanna senza appello per Gesù. Il clima è oppressivo, il grido di Gesù e le tenebre sembrano annunciare che Dio sia lontano, che si disinteressi di tutto quanto sta accadendo. Sembra che Dio non abbandoni loro ed il loro tempio, ma proprio Gesù e le sue pretese. E' però in questa fedeltà di Gesù sino alla fine, nella pienezza del suo dono al Padre fin nel momento più tremendo, che si comincia a rivelare il significato vero di quanto sta accadendo. Il salmo del giusto provato fino alla fine, il salmo 22, che Gesù recita in croce e che inizia con le parole del suo grido: Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato... mostra che Gesù è veramente il Figlio di Dio. Questo salmo infatti continua, aprendosi alla fine ad una grande visione di speranza, che viene confermata dalle parole del centurione: Costui veramente era figlio di Dio. Con la morte di Gesù inizia a svelarsi il mistero, sembra che tutto sia finito, mentre Gesù dice: tutto è compiuto. Iniziano subito i segni di questo compimento: il centurione, la più alta autorità presente, il rappresentante del potere, sancisce il riconoscimento della dignità e dell'autorità di Gesù: Costui era veramente il figlio di Dio. Un secondo segno, che apre verso il compimento e non la fine, è la rottura del velo del tempio, segno chiaro che Dio ha abbandonato il vecchio tempio per prendere possesso del nuovo tempio spirituale consacrato da Cristo con la sua offerta di amore sulla croce. E' un perfetto e paradossale rovesciamento finale: Dio non è con i giudei, ma con Gesù. Il messaggio globale del testo Un primo elemento simbolico che attraversa il testo della crocifissione e ne offre una lettura unitaria è costituito dall'immagine del ''vedere''. Già in Mc 14,62 Gesù parlando della sua passione e conseguente glorificazione che avrebbe mostrato la sua vera natura di figlio di Dio, aveva detto ai giudei: E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo. A questo sembrano riferirsi i farisei quando pretendono di Vederlo scendere dalla croce (Mc 15,32). E diventa a questo punto molto significativo che il centurione dopo aver VISTO come era morto Gesù, cominciasse a credere che era figlio di Dio. Ma in realtà cosa vuol dire questa affermazione per Marco? Il sinedrio aveva giudicato blasfema l'affermazione di Gesù che si proclamava il Cristo, il Figlio di Dio benedetto, non tanto per il suo contenuto messianico, quanto per il modo in cui Gesù intendeva l'essere del messia Figlio di Dio. Questa affermazione, come quella di Figlio dell'uomo, erano infatti intese solitamente in modo simbolico, mentre Gesù mostra di intenderle il modo estremamente realista, una affermazione di una pienezza inaudita. Gesù è realmente Figlio di Dio in modo unico, in Lui Dio Padre è presente nel mondo ed attraverso il suo corpo resuscitato questa presenza supera i limiti del tempo e dello spazio. A questo tema della nuova presenza di Dio nel mondo attraverso Gesù si collega il tema già accennato del nuovo tempio che permette di comprendere alla fine la morte di Gesù come un sacrificio e non come uno scandalo. Nel mondo antico quando veniva consacrato un nuovo tempio e Dio ne prendeva possesso ciò era sancito da un solennissimo sacrificio di consacrazione. La logica era quella che il sacrificio rinsaldava la comunione tra Dio ed il popolo, comunione che veniva poi conservata dall'esistenza del nuovo santuario. Il velo del tempio che si squarcia indica, nel racconto Marciano della passione, che il tema del nuovo tempio annunciato già più volte nel corso del vangelo e causa di condanna per Gesù secondo i falsi testimoni e le ingiurie sotto la croce, ha raggiunto il suo compimento. L'antico ordine di cose, che legava la comunione con Dio al vecchio tempio, portando all'uccisione di Gesù, ha decretato la sua definitiva fine. D'altra parte l'offerta che Gesù, vero uomo, fa di sé al Padre fino all'ultimo, costituisce una base di comunione nuova e fortissima tra Dio e l'umanità. La morte di Gesù in croce è un reale sacrificio di comunione tra Dio e l'umanità, e come tale può costituire la base per l'inaugurazione di un nuovo tempio, non fatto da mano d'uomo, il tempio costituito dal corpo resuscitato di Cristo. Sul calvario non si chiude la storia di Gesù, ma si apre la storia della definitiva salvezza evocando le parole sul nuovo tempio con cui si era aperto il racconto della passione, che mostrano come calvario e resurrezione siano intimamente legate: Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d'uomo. |