Omelia (06-04-2012)
don Maurizio Prandi
Partecipare

In questo giorno ci siamo fatti custodire dal silenzio.
Il fatto che il governo cubano abbia concesso, su richiesta del Papa, questa giornata come festiva, ha aiutato qualcuno ad entrare in chiesa e, spinto dalla curiosità, a porre qualche domanda sul significato di ciò che oggi la chiesa vive e celebra. E' un giorno dedicato quasi totalmente all'adorazione del Santissimo collocato nel monumento (qui chiamano così l'altare della reposizione) che nella parrocchia di Manacas i giovani hanno preparato rappresentando un pozzo, luogo di incontri significativi nella sacra Scrittura. E' il loro modo di augurare a tutti di poter fare un incontro amoroso con Dio. L'amore fino alla fine, fino al punto più alto che abbiamo contemplato ieri nel vangelo della lavanda dei piedi, l'amore fino alla consegna del proprio spirito, della propria vita che contempliamo oggi, guardando alla Croce. Un amore silenzioso, come quello del servo sofferente della prima lettura. Maltrattato si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come pecora muta di fronte ai suoi tosatori e non aprì la sua bocca. Un amore silenzioso come quello di Gesù che di fronte a Pilato si zittisce e non risponde più; un amore discreto, che non fa rumore; un amore che consegnando una madre al discepolo e il discepolo alla madre ci ricorda che la cura è un dono e un compito per ciascuno di noi; un amore che ci dice tutto il suo bisogno ma nulla pretende (Ho sete... non datemi da bere) che silenziosamente scende dalla Croce per impregnare tutta l'umanità: Reclinando il capo, consegnò lo spirito.

Ci siamo soffermati in modo particolare sulla prima lettura, che meriterebbe un commento per ogni versetto; una cosa che ci ha colpito è questa: Il mio servo avrà successo Chi è questo servo? Di chi si sta parlando? Leggendo un bel commento fatto dalle Famiglie della Visitazione ho trovato queste parole che mi piace condividere con voi: E' bene lasciare aperta questa domanda, per tenere largo il campo di applicazione; l'uomo dei dolori certo è Gesù, ma è anche qualunque uomo che soffre... è lo stesso del quale si dice di lui non avevamo alcuna stima, ossia non contava niente per noi... da Nazareth può venire qualcosa di buono? Certamente è Gesù, ripeto, ma è anche tutte le persone della mia vita, della nostra vita, tanti casi di sofferenza e di dolore che mi lasciano a bocca aperta per la loro capacità di affidarsi. Ecco allora la domanda: ma in che cosa consiste il successo? Questo verbo (avere successo), in ebraico può anche significare altre cose: capire, comprendere, stare insieme per capire; ecco allora il successo di Dio in Gesù servo: il capire, il comprendere, lo stare insieme all'uomo per conoscere fino in fondo il suo sentire. Credo che solo a questo prezzo Dio può dire Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo; il successo di Dio non è il vincere o il convincere, il successo di Dio è il suo partecipare, il suo immergersi nella storia dell'uomo, in particolare nella sua sofferenza, nella sua umiliazione. Di fronte a tutto questo anche i grandi della terra, anche i re si tappano la bocca (v. 15), come dire che Dio, nel suo decidersi per la piccolezza, schiaccia la grandezza così come la intendiamo noi uomini.

La prima lettura ci dice altre cose belle: ad esempio che l'immersione del Servo nel dolore porta un beneficio per le moltitudini e viene fatto un elenco: il popolo iniquo al v. 8, gli empi al v. 9, il ricco, i potenti, i peccatori più avanti... mi sembra di leggere qui, in controluce, qualcosa che il papa nell'omelia del Giovedì Santo l'anno scorso ci ricordava, e cioè che la vita di Gesù è data per beneficiare: il fratello che soffre, che ha fame e sete, che è straniero, nudo, ammalato, in carcere... quindi noi, di conseguenza sapremo essere attenti a tutti impegnandoci, in modo concreto, per tutti coloro che hanno bisogno.