Omelia (08-04-2012) |
don Roberto Rossi |
Pasqua di Risurrezione: Mi ami tu? Gesù disse a Simon Pietro: - Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di questi altri? Simone disse: - Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene. Gesù replicò: - Abbi cura dei miei agnelli! Poi gli disse una seconda volta: - Simone, figlio di Giovanni, mi ami davvero? Simone gli disse: - Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene. Gesù replicò: - Abbi cura delle mie pecore. Una terza volta Gesù disse: - Simone figlio di Giovanni, mi ami davvero? Pietro fu addolorato che Gesù gli dicesse per la terza volta "Mi ami?". Rispose: - Signore, tu sai tutto. Tu sai che io ti amo. Gesù gli disse: - Abbi cura delle mie pecore. (Vangelo di Giovanni, cap. 21) Ci auguriamo di lasciarci avvolgere dall'amore di Gesù Cristo che ci fa risorgere a vita nuova, oggi! Con la risurrezione di Cristo, Figlio di Dio, una speranza nuova è entrata definitivamente nel cuore della storia. Il messaggio della risurrezione è l'unico che ogni uomo e ogni donna, di ogni latitudine e longitudine del pianeta, si attendono; è il fuoco che cova sotto la cenere della distrazione, la ragione ultima di una fede spesso oscura e tentennante, l'apertura della nostra volontà ad un progetto di cambiamento. Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo d'essere circondati da "cristiani anonimi", credenti non praticanti, Gesù sì, la Chiesa no... A quella signora avrei voluto dire che anche la fede che cova sotto la cenere, lo stoppino fumigante come lo avrebbe definito Gesù, ha una incredibile forza eversiva. È la speranza ad essere eversiva. Perché Cristo è risorto. È vero, noi, il popolo che cammina tra i viottoli impervi della storia, non lo abbiamo visto risorgere, ma neppure lo hanno visto coloro scelti da Dio come testimoni: hanno visto una tomba vuota. È da questa tomba vuota che si genera la nostra speranza. Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!» Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti (Gv 20,1-9). Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"» (Mc 16,6-7 ). La speranza è una virtù che nasce dalla nostra fragilità. È tensione a ricostruire, come hanno fatto Pietro, Giovanni, Maria di Magdala, gli apostoli e i discepoli, un sogno infranto. L'attesa feconda dell'incontro con Gesù che "ci precede in Galilea". Perché egli ci precede sempre. Chi ci separerà dall'amore di Cristo?, si chiede san Paolo. Se voi siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo seduto alla destra di Dio... (Col 3,1). Mi piace immaginare "lassù" come il luogo non solo simbolico, sul quale, confessiamolo, si sbizzarrisce spesso a briglia sciolta la nostra immaginazione, ma come un luogo reale e antropologico in cui non ci saranno più crocifissi e crocifissori, vittime e carnefici, ingiustizie e guerre. In questo senso la morte di Gesù continua ad alimentare la speranza in questo mondo rinnovato. In questo senso, è la vita stessa di Gesù che dà significato alla sua morte, così come la nostra morte non potrà che essere solidale con il modello etico della nostra esistenza. Questo vorrà dire per noi, per le nostre famiglie, essere testimoni credibili. Non è cosa di poco conto. Eppure, forse oggi, giorno del passaggio dalla morte alla vita, il nostro cuore è ancora sepolto in quell'antro buio, chiuso dalla nostra stessa paura che attende ancora, come la pietra, di essere rimossa o spezzata. Ma l'orizzonte che intravediamo è quel "lassù" - in cui il Cristo regna accanto a Dio - e che deve essere inteso come un "qui e ora" se non vogliamo trasformare la nostra religiosità in devozione privata, in pura alienazione. Questo orizzonte ci obbliga a mettere in conto qualche rischio, ad abbassare la guardia quando sarebbe più ragionevole stare coperti, a percorrere ad un tempo le strade apparentemente contraddittorie dell'annuncio e del silenzio - quando tutti parlano di tutto, sarebbe meglio lasciar parlare il nostro silenzio - e a liberare la fantasia e il sogno, proprio come i primi discepoli che apparivano ai più ubriachi di vino nuovo. E proporre gesti concreti di riconciliazione e di perdono, di misericordia vera, non a parole che non costano nulla, a partire dal rapporto di coppia e di famiglia. Prendere il passo di chi non crede più, di chi fa fatica, della coppia alla quale è stata negata l'Eucaristia perché convivente, di chi dice che Pasqua è "un giorno come un altro"... Che siano queste "le cose di lassù"? Se è così potremo finalmente cantare con il Salmista: La destra del Signore si è alzata, la destra del Signore ha fatto meraviglie. Non morirò, resterò in vita. E annunzierò le opere del Signore |