Omelia (15-04-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Accogliere, aderire e vivere Seppure Tommaso viene comunemente tacciato di incredulità e di omissione di fede, non si può imputare questa colpa a lui soltanto. Anche in altri apostoli si riscontra lo stesso atteggiamento di reticenza alla notizia della Resurrezione del Signore. Maria di Magdala, non appena giunta al sepolcro, vedendo la tomba vuota e la pietra ribaltata, pensa ad un trasferimento del cadavere e non già alla risurrezione di Gesù. Pietro e l'apostolo che Gesù amava, correndo al sepolcro, vi entrano, vedono le bende per terra, il sudario avvolto in un angolo a parte e poi... Il discepolo prediletto dopo aver visto crede. Così avviene durante le apparizioni di Gesù ai suoi: essi tardano a concepire che egli possa essere risorto e in un caso lo credono addirittura un fantasma. Lui deve mostrare le mani, i piedi, segni tangibili della sua presenza reale e in un'altra circostanza deve anche consumare una porzione di pesce arrostito davanti a loro, sempre ai fini di farsi riconoscere come il Risorto. Non si può quindi colpevolizzare il solo Tommaso per non aver creduto senza avere prove incontrovertibili come i segni dei chiodi e il tatto del costato. Certo, Tommaso ha una responsabilità di colpa maggiore a motivo della sua pretesa di ricorrere al tatto delle mani e del costato che in tutti gli altri non si vede, ma la sua incredulità non è differente poi da quella di tutti i suoi compagni. Occorre quindi individuare la ragione di questa refrattarietà alla fede da parte dei discepoli. Essa si può riscontrare nella mancata comprensione delle Scritture. I discepoli non avevano infatti compreso né assimilato quanto esse avevano profetizzato del Cristo, cioè che egli doveva subire dolori, umiliazioni, essere ucciso e poi risuscitare. E in effetti la lacuna del primo cristianesimo è proprio quella di non aver saputo legare, appunto in forza delle Scritture, il legame fra la morte e la risurrezione di Cristo: come scrive Ratzinger, una volta morto Gesù sulla croce, i discepoli probabilmente restarono delusi e demoralizzati per aver assistito alla sconfitta e al fallimento del loro Signore. Avevano sperato in un Dio potente, che avrebbe "risollevato le sorti d'Israele e che non avrebbe conosciuto avversari né sconfitte e invece si trovavano di fronte uno sconfitto, un deperito umiliato dai nemici. Come poter concepire un Re che si lascia crocifiggere senza reagire? Solo dopo la risurrezione di Cristo verrà un po' alla volta compreso il valore della croce e la sua necessità per la risurrezione e solo molto dopo si concepirà la croce come il luogo della vera regalità di Gesù Cristo. Ciò avverrà appunto perché finalmente si interpreteranno adeguatamente le Scritture e si comprenderà in esse quanto si riferisce a lui a partire da Mosè e dai profeti. Appunto con le Scritture Gesù, in incognito, aprirà gli occhi agli increduli discepoli sulla strada di Emmaus. I discepoli si erano lasciati sorprendere dalla tendenza razionalistica di concepire la verità solo in forza del dato empirico e tangibile, per cui si crede vero e certo solo quello che ci consta ai sensi e proprio questo li aveva portati a misconoscere i contenuti della Scrittura relativi al Cristo. Una pretesa materialistica che non risparmia neppure i cosiddetti credenti dei nostri giorni: tante volte si è disposti a credere solo in conseguenza di un evento miracoloso o di un fatto straordinario. Quando invece dovrebbe concepirsi l'esatto contrario: è in conseguenza della fede che avvengono (quando siano reali) miracoli e guarigioni e non si può avere la pretesa di un Dio che Bonheffer definiva il nostro "tappabuchi", incaricato solamente di intervenire sui nostri problemi immediati. Oppure, come avviene a proposito di certi libri sedicenti scientifici quali "La scienza non ha bisogno di Dio", si tende a giustificare con il solo caso o con "l'errore" l'origine e l'evoluzione del cosmo, tendendo ad escludere ogni sorta di trascendenza della vita. Ma è davvero certo che la sperimentazione e la razionalità siano così esaurienti? E' possibile concludere che esse siano in grado di risolvere ogni dubbio e di soddisfare ogni esigenza anche materiale? Anche fra gli scienziati più illustri e rinomati c'è chi afferma che la scienza non è realmente tale se non ha l'umiltà di ammettere le proprie limitazioni nel comprendere determinati fenomeni. Seppure non è possibile dimostrare razionalmente l'esistenza di Dio, non vi è scienziato o ragionatore che abbia mostrato validi argomenti a sostegno della sua inesistenza. Al contrario, non sono pochi coloro che mentre hanno tentato di smentire Dio a tutti i costi, sono arrivati finalmente a professarlo nella fede! Come dice Zichichi "Non esiste alcuna scoperta scientifica che possa essere usata al fine di mettere in dubbio o di negare l'esistenza di Dio. Piuttosto, la scoperta delle prime Leggi Fondamentali della Natura nasce da un atto di fede in Colui che ha fatto il mondo". Chi poi si ostina nelle proprie intenzioni di screditamento del divino e del trascendente in nome della presunta "ragione matura" non si accorge di coltivare in fin dei conti un culto religioso pari a quello che vorrebbe scardinare. L'olimpo delle certezze prettamente umane è fallace e illusorio quanto proficuo e fecondo è il mondo della fede nel Trascendente. Ma la fede deve dal canto suo escludere ogni titubanza e ogni obiezione di fronte a quanto ci viene proposto come il Mistero inafferrabile e insondabile. Non vanno fatte obiezioni né poste condizioni ed è vano e insulso recalcitrare di fronte a quanto ci viene donato come cosa rivelata. Occorre semplicemente accogliere, aderire e... vivere il Mistero. La fede non vede nella ragione una temibile avversaria. L'una e l'altra sono compagne di viaggio del credente, ma la ciascuna deve occupare il posto che le spetta nella carrozza, senza contese o rivalità. Proprio la Resurrezione di Cristo chiama in causa la nostra fede incondizionata, umile e disinvolta che ci conduce a credere nel Risorto, ad accoglierlo nella nostra vita per aderire a lui e vivere di lui. |