Omelia (15-04-2012)
Paolo Curtaz
Come Tommaso

È risorto!
La notizia ha attraversato i secoli, è arrivato fino a noi, oggi.
Milioni di uomini e donne hanno scoperto la semplice verità: è inutile cercare il crocefisso, non è qui, è risorto. Non rianimato, non vivo nella nostra memoria: Gesù di Nazareth è risorto da morte e vive in eterno.
La sua tomba, preziosamente conservata a Gerusalemme, richiama centinaia di migliaia di persone, ogni anno, uomini e donne che, più o meno consapevolmente, affrontano un viaggio, nel passato pericoloso e lunghissimo, per vedere una tomba.
Vuota.
Ma, certo, la cosa ci può lasciare indifferenti o pieni di dubbi.
Specialmente in questi fragili tempi, siamo consapevoli che la fede nel risorto richiede un salto di qualità: altro è credere che un buon uomo, un profeta di nome Gesù, ci ha parlato di Dio in modo innovativo. Altro professarlo risorto e presente, manifestazione stessa del Signore.
Non ditelo a Tommaso.

Tommaso, che ci crede anche se non ci mette il naso
Tommaso è deluso, amareggiato, sconfitto.
Il suo terremoto ha un nome: crocifissione.
Lì, sul Golgota, ha perso tutto: la fede, la speranza, il futuro, Dio.
Ha vagato per giorni, come gli altri, fuggendo per la paura di essere trovato e ucciso.
Umiliato e sconvolto, si è trovato al Cenacolo con gli apostoli che gli hanno raccontato di avere visto Gesù.
E, lì, Tommaso si è indurito.
Giovanni non ne parla, tutela della privacy, ma so bene cosa ha detto agli altri.
Tu Pietro? Tu Andrea?... e tu Giacomo? Voi mi dite che lui è vivo?
Siamo scappati tutti, come conigli; siamo stati deboli, non gli abbiamo creduto!
Eppure, lui ce l'aveva detto, ci aveva avvisati. Lo sapevamo che poteva finire così, e non gli siamo stati vicini, non ne siamo stati capaci. Ora, proprio voi, venite a dirmi di averlo visto, vivo? No, non è possibile... come faccio a credervi?

Tommaso è uno dei tanti scandalizzati dall'incoerenza di noi discepoli.
Eppure resta, non se ne va, stizzito. E fa bene. Perché torna proprio per lui, il Signore.
E l'incontro è un fiume di emozioni. Gesù lo guarda, gli mostra le mani, ora parla.
Tommaso, so che hai molto sofferto. Anch'io, guarda.
E Tommaso crolla. Anche Dio ha sofferto, come lui.

Senza vedere
Siamo chiamati a credere senza vedere. Siamo beati se crediamo senza vedere.
Ma non come dei creduloni ingenui e storditi.
La fede è proprio la fiducia in qualcosa che non vediamo, ma che sperimentiamo credibile.
Il problema, semmai, è chi ce ne parla, sapere se merita o meno fiducia.
Gesù risorto appare agli apostoli e dona loro la pace, lo Spirito e il perdono dei peccati.
Solo attraverso lo Spirito possiamo sperimentare la pace del cuore di chi si sa riconciliato e diventa dispensatore di perdono. Incontrare Gesù risorto è un evento dell'anima, che parte dalla curiosità, si nutre di intelligenza e approda alla fede.
La curiosità inizia nell'incontro con persone (sempre troppo poche!) che vivono nella pace del cuore, riconciliati con loro stessi e scoprire che sono discepoli del risorto.
Anche noi, come loro, possiamo inseguire Gesù, salvo poi scoprire di cercare coloro che ci cerca.
Non solo: Giovanni, nella seconda lettura, ribadisce cosa è essenziale nei discepoli: amare.
Che sia questo il problema?
Che sia proprio l'assenza di cristiani pacificati, perdonati e colmi d'amore a far nascere tanti dubbi?

Luca racconta
La prima comunità in Gerusalemme attira ammirazione e curiosità: in un mondo di squali i cristiani si vogliono bene, in un mondo in cui regna l'inganno e la bramosia del denaro (già allora?) i discepoli si aiutano nei bisogni concreti, in un mondo di pavidi, gli apostoli professano con forza la loro verità.
Certo, gli esegeti ci dicono che quella di Luca è più una catechesi che una descrizione, ma tanto basta per capire che, forse, i nostri percorsi devono cambiare.
Proprio perché fatichiamo nel vedere comunità di persone che non giudicano ma che accolgono, che non vivono come gli altri, usandosi per avere dei benefici e che proclamano Cristo con convinzione e passione, i dubbi crescono e le nostre comunità vacillano.
Che fare?
Il rischio è di fare ciò che fanno in molti: andarsene, rassegnarsi, spegnersi.
Oppure.

Mille libri
Oppure scrivere mille altri vangeli, mille altre storie, mille altre meraviglie, come suggerisce Giovanni. Oppure fare come Tommaso che, pur deluso, non se ne va, ma resta e aspetta.
E fa bene ad aspettare, perché il Signore torna.

Beati noi che crediamo senza avere visto.
Senza avere visto Cristo o gli apostoli. Senza vedere, a volte, coerenza a passione nelle comunità ma, piuttosto, abitudine e affaticamento.
Beati noi che non ce ne andiamo, che non ci sentiamo migliori, che soffriamo per la Chiesa che amiamo. Beati noi che vogliamo cambiare le cose che non funzionano a partire dai noi stessi.

Come Tommaso, vedremo i segni del risorto anche nelle piaghe.

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