Omelia (15-04-2012)
don Roberto Rossi
La fede nell'amore e nella misericordia

La pagina del Vangelo di san Giovanni di questa domenica è ricca di misericordia e di bontà divina. Vi si narra che Gesù, dopo la Risurrezione, visitò i suoi discepoli, varcando le porte chiuse del Cenacolo. Sant'Agostino spiega che "le porte chiuse non hanno impedito l'entrata di quel corpo in cui abitava la divinità. Colui che nascendo aveva lasciata intatta la verginità della madre poté entrare nel cenacolo a porte chiuse"; e san Gregorio Magno aggiunge che il nostro Redentore si è presentato, dopo la sua Risurrezione, con un corpo di natura incorruttibile e palpabile, ma in uno stato di gloria. Gesù mostra i segni della passione, fino a concedere all'incredulo Tommaso di toccarli. Come è possibile, però, che un discepolo possa dubitare? In realtà, la condiscendenza divina ci permette di trarre profitto anche dall'incredulità di Tommaso oltre che dai discepoli credenti. Infatti, toccando le ferite del Signore, il discepolo esitante guarisce non solo la propria, ma anche la nostra diffidenza. La visita del Risorto non si limita allo spazio del Cenacolo, ma va oltre, affinché tutti possano ricevere il dono della pace e della vita con il "Soffio creatore". Infatti, per due volte Gesù disse ai discepoli: "Pace a voi!", e aggiunse: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Detto questo, soffiò su di loro, dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". È questa la missione della Chiesa perennemente assistita dallo Spirito Santo: portare a tutti il lieto annuncio, la gioiosa realtà dell'Amore misericordioso di Dio, "perché - come dice san Giovanni - crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome". Notissima è la scena di Tommaso incredulo, avvenuta otto giorni dopo la Pasqua. In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò!". Da queste parole emerge la convinzione che Gesù sia ormai riconoscibile non tanto dal viso quanto dalle piaghe. Tommaso ritiene che segni qualificanti dell'identità di Gesù siano ora soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela fino a che punto Egli ci ha amati. In questo l'Apostolo non si sbaglia. Come sappiamo, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente". Tommaso si inginocchia ed esprime la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: "Mio Signore e mio Dio!". L'evangelista prosegue con un'ultima parola di Gesù a Tommaso: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno". Questa frase si può anche mettere al presente: "Beati quelli che non vedono eppure credono". In ogni caso, qui Gesù enuncia un principio fondamentale per i cristiani che verranno dopo Tommaso, quindi per tutti noi. La Lettera agli Ebrei, al cap. 11, richiamando tutta la serie degli antichi Patriarchi biblici, che credettero in Dio senza vedere il compimento delle sue promesse, definisce la fede come "fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono". Il caso dell'apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante le difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui.