Omelia (28-12-2003) |
don Elio Dotto |
Il silenzio del figlio e il silenzio della madre Certo sorprende il silenzio del fanciullo Gesù, che «rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero» (cfr Lc 2,41-52). Perché Gesù non dice niente a Maria e Giuseppe? Perché non informa i suoi genitori, e li lascia invece nell'ansia? E perché risponde così duramente alla domanda di sua madre? Dunque rimaniamo sorpresi davanti ad un simile atteggiamento di Gesù. Esso, infatti, assomiglia troppo all'imprudenza di tanti ragazzi del nostro tempo, che spesso stanno in silenzio davanti ai genitori, e rispondono malamente alle domande che a loro vengono rivolte: in qualche modo, il fanciullo Gesù sembra complice di un simile cattivo comportamento! Ma davvero è cattivo questo silenzio dei figli davanti ai genitori? A noi certo sembrerebbe di sì: noi pensiamo infatti che possa esserci armonia in famiglia soltanto quando genitori e figli si dicono tutto. «Con mia figlia parlo di tutto» – dicono orgogliose certe madri: come se bastassero le parole per risolvere i problemi che ogni giorno si presentano. E invece le parole non sempre bastano: anzi, a volte le parole nascondono una reciproca complicità che in ultimo si rivela dannosa. Ci sono infatti figlie che parlano di tutto con le loro madri per tenersele buone, ed avere sempre approvazione; come ci sono figli che dialogano volentieri con i loro padri per averli sempre dallo loro parte. In tal modo le molte parole confondono facilmente la verità con l'inganno. Non così, invece, avveniva tra Gesù e i suoi genitori. Essi non confondevano la verità con l'inganno, ma sempre da capo erano in attesa di quella verità che viene dall'alto – da Dio – e che non può essere espressa dalle semplici parole umane. Fu appunto per questo motivo che Gesù non disse niente quel giorno a Maria e Giuseppe: egli doveva occuparsi delle cose del Padre suo – cioè proprio di quella verità che viene da Dio – e dunque non aveva parole per spiegare una simile occupazione. Ma anche i suoi genitori rimasero senza parole quando intuirono le intenzioni vere del figlio: e soprattutto Maria «serbava tutte queste cose nel suo cuore» senza più aver bisogno di spiegazioni ulteriori. Accadde così alla santa famiglia di Nazareth quello che accade sempre ad ogni famiglia umana nel momento in cui i silenzi sono più lunghi delle parole. Certo, simili situazioni non sono facili, al punto che lo sconforto è sempre in agguato: il silenzio, infatti, può mettere ansia. Ma il silenzio può pure ricordare – ai genitori come ai figli – che non bastano le parole per volersi bene, e che forse bisogna anche stare zitti – qualche volta – per lasciare spazio ad una speranza che è più grande dello stesso affetto famigliare. Dunque, se ancora ci accadrà in famiglia di affrontare il silenzio, facciamo come Maria, e mettiamoci in attesa: le incomprensioni del momento passeranno, e forse comprenderemo verità più grandi di quelle che possiamo esprimere con le parole. |