Omelia (22-04-2012) |
don Luca Orlando Russo |
Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Se c'è un brano nel quale è chiaro il perché Gesù dopo la sua risurrezione si fa vedere ai suoi discepoli, è proprio quello che ci viene offerto dalla liturgia di questa terza domenica di Pasqua. I discepoli, infatti, credevano di conoscere Dio. Educati nella fede sin dall'infanzia, alla scuola della tradizione dei padri, essi conoscevano a memoria le sacre Scritture e gli insegnamenti dei saggi d'Israele... Ma la morte di Gesù smentì ogni loro convinzione, al punto di dover riconoscere che di Dio, fino a quel momento, non avevano compreso assolutamente nulla. Già nelle parole dei due di Emmaus (il brano che precede quello di oggi) è chiaro che chi aveva seguito Gesù era convinto che Gesù era il Figlio di Dio, il Messia atteso, il consacrato di Dio, che avrebbe riportato il regno di Dio in mezzo agli uomini. Ma il suo arresto nel Getsemani aveva convinto i discepoli ad abbandonarlo, Pietro non riconosceva più il suo maestro e Giuda si era perfino spinto a consegnarlo alle autorità, forse sperando che davanti a loro Gesù avrebbe alla fine rivelato la sua identità. Gli eventi tragici della passione e della morte facevano di Gesù un maledetto, abbandonato da Dio. Sulla croce, appeso a quel legno non sarebbe mai potuto finire il Figlio di Dio. Era ora di riprendersi da quella brutta storia, avevano riposto nell'uomo sbagliato le loro attese e ora non restava altro che trovare la forza di ricominciare, ritornare a vivere dopo una profondissima delusione. Ma, quando già qualcuno aveva trovato il coraggio di ritornare alla propria vita, il fantasma dell'eroe che miseramente aveva finito i suoi giorni, ricompare sulla scena. Che fatica per Gesù convincerli che non era un fantasma, ma un uomo, in carne ed ossa, ritornato alla vita o, se vogliamo dirla tutta, un uomo che aveva attraversato la morte con l'unica forza che nemmeno la morte può distruggere, la forza dell'amore che proprio nel suo morire aveva dimostrato tutta la sua vitalità. Cose da pazzi! Sì, sembra una follia e così appare ancora oggi. La follia di un amore che si perde continuamente a servizio della vita e si leva dalla morte solo per continuare a morire per amore, per essere per sempre servo per amore. Poveri discepoli: il maledetto, appeso al legno della croce, mostrava di essere più vivo che mai e non c'era possibilità di errore. Le ferite sono le sue, quelle di chi ama fino alla morte ed è pronto a morire fino a quando l'ultimo uomo della terra non è convinto che la croce è la rivelazione massima e definitiva dell'amore e che Dio ha il volto di Cristo Crocifisso. Buona domenica e buona settimana! |