Omelia (29-04-2012) |
don Raffaello Ciccone |
Commento su Atti 20, 7-12; Prima Timoteo 4, 12-16; Giovanni 10, 27-30 Lettura degli Atti degli Apostoli. 20, 7-12 L'episodio, raccontato negli Atti degli apostoli, per sé, è simile a molti altri appuntamenti che Paolo sviluppa nella comunità cristiane. Qui, però, acquista un particolare significato per il segno che viene offerto, poiché porta soccorso ad un ragazzo di questa comunità che, incidentalmente, ha perso l'equilibrio e, cadendo da una finestra del terzo piano, è morto. La lettura di questo brano si inserisce nelle novità che Gesù porta: la Parola di Dio, l'Eucarestia, la forza della fede, il segno della risurrezione che, in quell'occasione, si è manifestata, addirittura, per l'intervento di un apostolo, su un ragazzo morto. Paolo ha abbandonato Efeso, si mette in viaggio per la Macedonia, si ferma nelle varie comunità per alcuni mesi; poi, per complotti contro di lui e la sua predicazione, riprende la strada del ritorno e giunge a Troade. Lo accompagnano sette personaggi (20,4) che probabilmente sono i delegati delle Chiese dell'Asia per la raccolta-colletta in aiuto alla comunità di Gerusalemme in difficoltà. E' stata una iniziativa di Paolo, apprezzata dalle diverse nuove comunità visitate dall'apostolo, su cui Paolo ha riflettuto molto: su questo impegno di solidarietà Paolo ha scritto molto nella II lettera ai Corinzi. Dal racconto si scopre che anche Luca, autore degli "Atti degli apostoli" è testimone dei fatti avvenuti. "Ci eravamo riuniti a spezzare il pane, nel primo giorno della settimana", al tramonto (E', quindi, un sabato sera, all'inizio della settimana ebraica). Al piano superiore, la piccola comunità si trova a pregare e a celebrare l'Eucaristia che fa memoria della passione e insieme della risurrezione di Gesù, avvenuta esattamente il giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana. Si ricordano il "Discorso" e la "Conversazione". Si intravede lo schema della riunione: il tempo della riflessione (o liturgia della Parola che corrisponde a un lungo discorso tenuto da Paolo alla piccola comunità, insieme con un tempo di riflessione e di spiegazione), l'Eucaristia e quindi il pasto comunitario: praticamente ci si richiama alla liturgia familiare della cena pasquale ebraica. In questa riunione un ragazzo, di nome Fortunato ("Eutico"), probabilmente stordito dalle tante lampade accese in quella stanza, addormentandosi, cade da una finestra e muore. L'episodio fa riferimento a due risurrezioni, nel Primo Testamento, operate da Elia (1 Re 17,17-24) e da Eliseo (2 Re 4,30-37) e all'episodio della risurrezione della figlia del capo della sinagoga Giairo, operata da Gesù (Mc 5,35-43). Tutto il testo ha molti riferimenti simbolici: le tenebre e le lampade accese, la vita e la morte. Vince tuttavia la Parola di vita e il segno della risurrezione. Prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo4, 12-16 Questa lettera è indirizzata ad un discepolo di Paolo, Timoteo, responsabile della comunità di Efeso, che è soggetta a crisi ed ha difficoltà anche perché la città, famosa e ricca, è un crocevia di persone e di idee. In tale realtà si sta costituendo, lentamente, un pensiero nuovo, attraverso l'esperienza di Gesù, la sua Parola e il rapporto con il Padre. E' molto facile, però, l'innesto e l'inquinamento di riflessioni, sensibilità e atteggiamenti che vengono da una rilettura ebraica della fede o da abitudini e mentalità pagane. Timoteo viene fortemente incoraggiato ad una fermezza che manifesti una lucidità coraggiosa che sostenga la fede della comunità. Circolano, infatti, e lo saranno in maniera vistosa alcuni decenni dopo, nella Chiesa, insegnamenti di "spiriti ingannatori" che diffondono pratiche scorrette che Gesù non aveva mai proposto: vietare il matrimonio o astenersi da alcuni cibi (4,3). La matrice, con alcuni addentellati pagani, svilupperà correnti eretiche nelle Comunità Cristiane con questi stessi contenuti che passarono sotto il nome di "Encratismo". Gli errori sul valore del corpo e il disprezzo della materia derivano dal disprezzo della materia e quindi anche del corpo umano e conducono a pratiche e comportamenti contrari all'insegnamento che Gesù aveva dato, e contrasta anche a quel patrimonio ebraico prezioso che fa riferimento alla creazione del mondo da parte di Dio, che ha fatto buone e belle tutte le cose. E quindi, Timoteo, come collaboratore nella missione, deve insegnare, con intelligenza e con responsabilità, la fede vera e deve essere guardato con rispetto, soprattutto per una condotta esemplare di vita che diventi esempio a tutti. Si parla di giovane età. Per il compito che deve sviluppare, le comunità ancorate, fortemente ancora all'ebraismo, sono abituate ad avete, come depositari della fede, gli "anziani". Così la giovane età di Timoteo può portare qualche difficoltà nell'accoglienza del suo insegnamento. Paolo è già intervenuto per sostenere il prestigio di Timoteo, in età assai più giovane, quando lo aveva scelto come collaboratore (1 Cor 16,10-11). In quel tempo, soprattutto per il ruolo che ha nella comunità, 35 o 40 anni sono ancora pochi. Timoteo deve sostituire con il suo esempio e con una condotta esemplare ciò che manca alla sua età. Si parla di "Lettura, esortazione e insegnamento". Normalmente, dopo la lettura pubblica, si aggiungono spiegazioni morali e dottrinali così come si usava nella sinagoga (At 13,14-16). Viene ricordato, quindi, il dono di Dio ("carisma"), conferito con l'imposizione delle mani e che già nel Primo Testamento veniva usato come azione simbolica per trasmettere poteri o cariche. Per le prime comunità cristiane è l'espressione simbolica dell'inserimento in un ufficio: i sette diaconi (Atti 6,6), Paolo e Barnaba (Atti 13,3). Sta maturando, probabilmente, il significato del sacramento del sacerdozio. Si trovano alcuni elementi formali, compreso la presenza "dei presbiteri" insieme, che ci indicano segni e responsabilità precise. Timoteo, infine, deve ricordare che in lui esiste un dono spirituale su indicazione di "una parola profetica". Questa Parola potrebbe significare il suggerimento di persone fidate, dato a Paolo, sulla scelta di Timòteo come collaboratore (1.18). In questo caso, Paolo parla come di una vocazione. L'imposizione delle mani, fin dagli inizi, deve essere accompagnata con la preghiera per il compito di guidare la comunità. Timoteo deve rinnovare la sua fiducia nella grazia per svolgere la sua missione Lettura del Vangelo secondo Giovanni 10, 27-30 Il Vangelo di Giovanni ci ripropone, oggi, una parte della discussione che avviene con Gesù nel tempio tra i responsabili religiosi e Gesù. Il tema fondamentale che viene posto con molta chiarezza è quello della messianicità. "Fino a quando non ci lascerai vivere? Se sei tu il Messia, diccelo apertamente"(Giovanni 10,24).. Siamo d'inverno e ci si ricollega alla festa della Dedicazione che si celebra il mese di dicembre, istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.C. per l'inaugurazione del tempio che era stato profanato da Antioco Epifane IV nel 171 a.C. La festa si svolge come quella delle Capanne (settembre-ottobre), a volte addirittura confuse tra loro. Detta "Dedicazione", in ebraico Hanukkah, è la "festa delle Luminarie" e per otto giorni si accendono dei candelabri che illuminano tutta la città. Sembra che, per le due ricorrenze, si leggessero le stesse letture bibliche e, in particolare, nel sabato più vicino alla Dedicazione, viene proclamato il testo di Ezechiele 34 con la celebre profezia del Messia, il vero pastore suscitato da Dio. Da qui il richiamo al Messia in questa festa, la grande attesa e quindi la domanda posta a Gesù (Gv 10,24) il quale risponde con il riferimento al gregge e al pastore. I capi religiosi "circondano Gesù" (e già questa parola indica pericolo e assedio). E se chiedono a Gesù se è il Messia, ma non hanno intenzione di accettarlo o almeno di interrogarlo per capire. Hanno ormai fatto un giudizio e vogliono una prova pubblica per poterlo condannare. Gesù non si presta al gioco, inizialmente, dicendo che non possono comprendere perché non fanno parte delle sue pecore. Ma qualche versetto precedente, nella discussione su Abramo, Gesù aveva detto: "Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate poiché non siete da Dio" (Gv 8,47). E' grave la denuncia che Gesù sta facendo: i capi religiosi, le persone incaricate di far conoscere al popolo la volontà di Dio, sono quelli che, quando Dio parla, non ascoltano la sua voce. Gesù dice, "«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco». Conoscere significa sviluppare un rapporto di grande confidenza e di grande intimità "«ed esse mi seguono»". 1. Ascoltare la voce di Gesù significa voler capire, prima di tutto, cogliere il significato e le prospettive che Gesù desidera offrire. 2. Ascoltare ha anche il significato di accettare di vivere e quindi orientare la propria vita su di Lui, ("seguirlo"), impegnandosi sulle stesse scelte e prospettive a cui Gesù stesso si dedica. 3. Accettare le sue scelte che si aprono su orizzonti impensabili poiché non si pongono nella soggezione del tempo, ma sono nella prospettiva della "vita eterna". E qui, per sé, non si parla della vita futura, ma di una vita già presente, indistruttibile, che pur passando attraverso esperienze di vita e anche di morte, questa vita non si interrompe ma fiorisce in una dimensione sempre nuova, completa e definitiva. 4. Seguirlo è fare le stesse scelte di Gesù ma è anche condividere il suo destino e il suo progetto. 5. Rileggere i tempi in cui viviamo per scoprire i ladri ed i briganti prima di Gesù (Gv 10,8) e il lupo che "rapisce e disperde il gregge"(10,12). È questo l'impegno che Gesù si assume fino alla morte perché il gregge resti nella fedeltà con il Padre, non si disorienti e non si scoraggi. 6. Gesù è attorniato dai capi del tempio e parla di "altre pecore "che non provengono da questo recinto" (10,16). Così il suo gregge supera il perimetro del Tempio di Gerusalemme e si allarga in una prospettiva universale, dove la parola delle scelte di Gesù diventano fondamentali per un nuovo popolo. 7. Certamente tutto questo provocherà disagio, rischi e paura; tuttavia Gesù garantisce la sua presenza, la sua forza, la sua fedeltà. L'immagine, molto bella, "che nessuno le strapperà dalle mie mani" ci dimostra un lottatore che si gioca tutto con fedeltà gratuita e continuamente piena. Nella memoria ebraica c'è la lotta di Sansone (Gdc14,6), la forza di Davide e dei grandi combattenti-eroi d'Israele. Gesù stesso, a sua volta, garantisce la forza di Dio che è Padre: "Nessuno le strapperà dalle mani del Padre". 8. Il progetto di questo popolo nuovo, fondato sulla fedeltà a Gesù, è il nuovo progetto e il Padre apre nel cammino del suo popolo. Qui non si parla più di Mosé né della Prima Alleanza, ma di una nuova presenza ed una nuova parola che fondano un patto nuovo che si allarga su un popolo nuovo. Il richiamo al Padre è anche indicazione della pienezza di creazione, l'opera iniziale di Dio che si schiude sempre più sul mondo. Come garanzia non vengono promessi tanto l'efficienza, la ricchezza, o il benessere. A garanzia c'è il volto di Gesù che offre la sua vita. Il campo resta comunque sempre aperto. Non ci sono esclusioni, non ci sono selezioni. La Porta (Gv 10,9) che è Gesù, resta sempre aperta. Egli continua nel tempo a parlare e ad essere ascoltato da chi lo desidera e lo cerca. 9. Il cammino nel tempo non fa dimenticare difficoltà e rischi di una dispersione che moltiplica le sofferenze e lacera spesso la speranza. Ma il volto di Gesù è il volto del crocifisso e del risorto. 10. Giovanni scrive questi testi per una comunità che incontra grandi difficoltà ad inserirsi nella dimensione quotidiana dell'impero romano, già fatta segno di alcune persecuzioni parziali, spesso guardata con diffidenza e con disagio, spesso rifiutata. Giovanni però sta dicendo, in un momento in cui la comunità cristiana ha visto crollare il Tempio di Gerusalemme, che Gesù è il nuovo santuario del nuovo popolo. Il Padre continua ad operare ed è presente come lo stesso Gesù (Gv5,17). Il popolo, che crede in Gesù, sa di poterci contare. 11. Alla fine Gesù si decide per la sua rivelazione piena che suona come bestemmia. Siamo nel tempio di Gerusalemme, nel luogo più santo e Gesù proclama. "«Io e il Padre siamo uno»". E' molto complesso cogliere il significato di questa affermazione che sarà utilizzata, insieme ad altre, nella riflessione teologica sulla Trinità. Ma i suoi interlocutori hanno nelle orecchie il testo di Zaccaria (14,9): "Il Signore sarà re di tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome". 12. Il futuro della Chiesa, dice Giovanni, è garantito a chi segue la sua voce. Il Padre si gioca tutto con il Figlio e il Figlio si gioca tutto come pastore. Sono parole dette alla vigilia della morte e della dispersione, all'inizio della contestazione contro l'azione degli apostoli, alla vigilia delle persecuzioni, nella diffidenza di chi porta un messaggio totalmente nuovo e, tutto sommato, pericoloso. Sarebbe interessante, però oggi, che la comunità cristiana si facesse carico di riflettere su quali messaggi pericolosi Gesù si è giocato e, nella sua storia, la Chiesa e noi nella storia. Lungo i secoli non siamo stati continuamente fedeli, coinvolti, dalle tentazioni di prestigio, e di potere, di associazioni potenti. La Chiesa è sempre stata, come ogni persona, tentata di non ascoltare la voce del Signore Gesù e tuttavia, per fortuna, essa ha mantenuto intatto il coraggio di continuare a leggere la Scrittura e il Vangelo, in particolare, ed ha accettato perciò il giudizio che nasce dall'ascoltare la Parola di Gesù. Troviamo tutti le stesse difficoltà e le stesse fragilità e, tuttavia, dovremmo ripensare seriamente a quali sono le scelte, pericolose anche in questa nostra cultura, di Gesù. Quale ricchezza, quale attenzione, quali fragilità accettiamo di guarire, quale rispetto per ogni persona, superando gli orgogli di nazioni o di civiltà, quale criterio di pace, quali responsabilità sul mondo, quale novità? Il popolo di Dio è più credente quando frequenta il culto o è più vicino a Dio quando accetta, credente o meno, di tradurre la voce di Gesù nella storia? Non si tratta qui, a scanso di equivoci, di parlare di contrapposizioni come spesso facciamo: "o... o..." ma si tratta di rileggere le priorità e di intravedere le concatenazioni e le precedenze. E aprendo gli occhi, scopriamo che il gregge di Gesù, spesso, o anche solo a volte, a secondo della nostra profondità di sguardo, sa aprirsi dove non ci saremmo mai aspettati. Ancora avvengono miracoli o, nel linguaggio di Giovanni, "i segni". E, quando ci rendiamo conto, dovremmo ringraziare il Signore e costruire via via insieme, senza smettere di interrogarci sulle scelte pericolose di Gesù. |