Omelia (29-04-2012)
mons. Gianfranco Poma
Il Buon Pastore da' la propria vita per le pecore

In questa domenica del Buon Pastore, giorno di preghiera per le vocazioni, è importante che la nostra attenzione si fissi sui testi biblici come tali, prima di trarne delle applicazioni pure legittime. Il Buon Pastore, l'unico, è Gesù: è Lui che ha dato la propria vita per le sue pecore e il suo nome è il solo che porta la salvezza all'umanità intera. I ministri del Vangelo operano perché il suo Nome sia conosciuto nel mondo come l'unica fonte di salvezza e amano perché il suo Amore sia la forza che trasforma il mondo.
Molto bene richiama il Papa nel suo messaggio che tutto ha origine dall'infinito Amore che Dio ha per ogni sua creatura. Ogni vocazione è una particolare esperienza di Amore: da Lui tutto inizia, dall'infinito Amore del Padre che dona tutto al Figlio che, condividendo tutto dell'uomo, non trattiene nulla per sé, ma riversa tutto nel mondo, facendo dell'amore per il mondo la via per rispondere all'Amore del Padre. Così, la vocazione fondamentale è quella di Gesù, il Figlio Amato, chiamato a ri-amare il Padre e a donare amore a tutti i fratelli e le sorelle: in Gesù, nella sua relazione con il Padre, nella "sua discesa sino alla morte e alla morte di croce" e nella sua "esaltazione", c'è tutto l'infinito dell'Amore accolto e ridonato, che, nel cammino della storia, continua a distendersi perché gradualmente il mondo, lasciandosi afferrare dall'Amore, continui a vivere della vita di Dio. E' Lui, Gesù, la fonte da cui sgorga l'amore per il mondo: i ministri del Vangelo, il "lieto annuncio dell'Amore", sono soltanto la via, il canale, attraverso il quale il suo Amore arriva a tutti gli uomini. Noi, ciascuno di noi, secondo la propria chiamata, siamo solamente i testimoni, che partecipano e comunicano il suo Amore: senza di Lui, noi non sappiamo amare. E la nostra testimonianza rimane sempre fragile, inadeguata: ma è Lui vivo, il Buon Pastore. Non per nulla leggiamo queste pagine del Vangelo di Giovanni nel tempo pasquale: "Io sono...". Egli, adesso, risorto, vivo della pienezza della Vita, può entrare in relazione con noi e renderci partecipi della sua vita nuova.
"Io sono il Buon Pastore": inizia così il brano che oggi leggiamo, Giov.10,11-18. Sullo sfondo è ben presente tutto il messaggio biblico, nel quale è frequente la metafora del pastore e delle pecore: Dio è il pastore che ha guidato il suo popolo attraverso il deserto (Sal.77,21;78,52).
I profeti hanno rivolto forti critiche a coloro che avendo l'autorità, invece di essere strumento della preocupazione di Dio per il suo popolo, lo hanno sfruttato: è proprio il cap.34 di Ezechiele che ispira in modo particolare la parola di Gesù.
"Io sono il Buon Pastore": Gesù proclama con forza che in Lui si compie la speranza del popolo di avere un pastore fedele a Dio. E immediatamente dice il motivo di questa affermazione: "il Buon Pastore dà la propria vita per le pecore". Gesù è il Buon Pastore perché "ha dato" la propria vita, ha dato tutto di sé per le sue pecore. Per cinque volte ritorna in questi pochi versetti il verbo (tithemi) che noi traduciamo con "dare", ma che è ricco di sfumature. Giovanni usa questo verbo nella lavanda dei piedi, quando Gesù depone la sua veste come segno della sua ormai prossima morte (Giov.13,4). E certamente Giovanni pensa a Davide che non teme di "mettere a rischio" la propria vita per salvare le sue pecore (1Sam.17,35): Gesù non cerca la morte, Lui che molte volte si è sottratto a coloro che volevano lapidarlo (8,59; 10,39), ma non ha esitatato a presentarsi a coloro che venivano per arrestarlo, dicendo: "Sono io", per proteggere i suoi discepoli. Il Buon Pastore non cerca nessun vantaggio per sé, agisce nel più puro disinteresse, ama le sue pecore e per questo dà la sua vita, la espone al rischio, la dona perché esse vivano.
La logica opposta è quella del mercenario: "non essendo pastore le pecore non sono le sue". Il mercenario non solo non è il proprietario delle pecore, ma non le sente sue, non è in sintonia con loro. "Vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde": tutto questo, conclude Giovanni, "perché è mercenario e non gli importa delle pecore". Il mercenario vede, pensa a se stesso, abbandona e il gregge si disperde. Il Buon Pastore vede, dona la vita, ama e unisce: questo è Gesù.
Certo Giovanni ha di fronte a sé la comunità chiamata a credere e a gustare l'Amore del Buon Pastore e che nello stesso tempo sperimenta le resistenze, gli ostacoli alla fede, la presenza di mercenari: ma proprio questo è il cammino credente, "la luce risplende nelle tenebre..."
Giovanni ribadisce con forza: su tutte le resistenze del mondo, dentro le tenebre più oscure, dentro l'odio più cieco, irrompe l'Amore del Buon Pastore, ormai inarrestabile, nel profondo del cuore di ogni uomo. Ed è questa la nostra testimonianza: anche nel nostro cuore freddo, anche nelle nostre resistenze e nel nostro egoismo Lui è presente, Lui ci ama. S.Paolo grida: "L'Amore di Cristo ci spinge, dentro; e noi siamo ambasciatori per Lui e andiamo nel mondo ad implorare: lasciate che Dio entri in relazione con voi" (2 Cor.5,21).
"Io sono il Buon Pastore". Gesù è il pastore "buono" (in greco: kalos, bello), perché realizza pienamente il suo ruolo, di mantenere in una vita bella le sue pecore e di difenderle da ogni pericolo. Gesù "Buon Pastore" non ha come suo scopo quello di competere con altri pastori nel momento del mercato delle pecore, ma di essere in relazione personale con ognuna di esse: egli conosce loro e loro conoscono Lui. "Io conosco le mie e le mie conoscono me, come conosce me il Padre e io conosco il Padre": Gesù, il Buon Pastore, è il centro della circolazione di amore, che diventa relazione personale, vita, conoscenza, esperienza, che dal Padre è donata al Figlio e da Lui è comunicata a chi, credendo, si lascia attirare dall'Amore. "Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente" (1 Giov.3,1).
Il cerchio dell'Amore non ha confini, deve allargarsi sempre di più: "Io ho altre pecore...anche quelle io devo guidare..." Per Ezechiele si trattava di ristabilire l'unità di un Israele diviso dopo lo scisma. Lo sguardo di Gesù è rivolto a tutti i figli di Dio dispersi nel mondo intero (Giov.11,52): a tutti è rivolto l'Amore senza limite del Padre, perché tutti sono alla ricerca del senso della vita.
"Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore": è il preludio della preghiera di Gesù: "Che siano una cosa sola, come noi siamo uno, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Giov.17,21). In Gesù, nel dono totale della sua vita, si realizza il progetto di Dio sul mondo: l'unità, la comunione. Solo l'Amore spogliato di Gesù può fare del mondo, delle pecore sperdute, comunque e dovunque siano, una comunione: non si tratta di uniformare, di appiattire, di riunire dentro confini definiti di una Chiesa, tutta l'umanità. Si tratta di annunciare l'Amore con cui Gesù ha donato al mondo l'Amore del Padre, di chiedere agli uomini di aprire il proprio cuore a Lui solo, perché il loro cuore si apra agli altri, divenuti ormai fratelli e sorelle. Noi, tutti noi, con la nostra particolare vocazione, siamo solo annunciatori del "suo" Amore.