Omelia (29-04-2012)
Marco Pedron
Pastori di pecore

Il vangelo di oggi si trova nel capitolo 10 di Gv. In questo capitolo ci sono 2 immagini di come i primi cristiani sentivano, percepivano, la presenza del Signore Risorto nella loro vita di tutti i giorni: la porta e il pastore.

La porta è un'immagine maschile perché è il padre che ti invita a guardare dentro di te, a prendere coscienza di chi sei, del tuo compito nel mondo, della tua missione e strada. E' il padre che ti butta fuori e che ti dice: "Ragazzo, adesso sei grande e devi fare la tua strada. Questa casa ti ha accudito ma adesso devi farti la tua perché questa è la nostra casa e non la tua" (la madre direbbe invece: "Stai qui al sicuro in casa con me che il mondo è pericoloso").
Il pastore è un'immagine femminile perché il pastore c'è sempre. Lui veglia, lui ti protegge, lui ti custodisce, lui ti alimenta portando le sue pecore al pascolo nei prati. E se qualcuno si allontana, lui se la va a riprendere. Il pastore è l'accoglienza, l'amore, la cura: come la madre che c'è sempre per il suo piccolo. Il pastore è la presenza: "Sappi che io ci sarò sempre per te. Io non ti abbandonerò. Io sarò con te nella buona e nella cattiva sorte". "Non ti dirò sempre sì; ma sarò sempre con te": questo è l'amore. Da una persona così noi sappiamo che possiamo sempre ritornare.

Il Signore è una porta (10, 1-10): ti porta dentro. La porta ti porta dentro. La porta ti porta dentro di te a conoscerti, a sapere chi sei, cos'hai dentro, quali forze ti abitano, quali mali, demoni, si nascondo e quali perle, ricchezze e risorse hai. Se non passi quella porta vivi nell'inconsapevolezza; vivi una vita in automatico pensando di essere tu a dirigerla, a scegliere, a fare, e invece sono le tue forze interne che agiscono per te.
Il re aveva il suo buffone. Il buffone era proprio stupido: l'unica cosa che sapeva fare era far ridere. Un giorno il re gli disse: "Conosci la storia?". "No!". "Conosci la geografia?". "No". "Conosci la letteratura?". "No!". "Conosci la finanza?". "No". Allora il re, ridendo, gli disse: "Toh, prendi queste orecchie di asino. Non ho mai trovato nessuno più stupido di te". Il buffone le prese e continuò a far ridere il suo re, poi prima di andarsene gli disse: "Re, chi è lei?". "Come chi sono io? Io sono il re!". "No sire, quello è il ruolo. Le ho chiesto, chi è lei?". Il re non seppe cosa rispondergli. Allora il buffone gli disse: "Le riconsegno le sue orecchie, perché uno che non conosce se stesso, è davvero stupido".
Avete presente quando si è in treno: tu sali sopra, ti metti lì tranquillo, comodo, e pensi di viaggiare. In realtà non sei tu che viaggi, che fai la strada. La strada è già decisa; il binario è quello, nient'altro che quello e sempre quello.
Chi non si conosce si è perso. Una persona che non sa chi è, come può realizzarsi? Come possono avverarsi i miei sogni, i miei bisogni, se neppure li conosco? Come posso trovare la mia strada se non so quale strada voglio fare? Tu sei il tuo migliore amico se ti conosci e il tuo peggior nemico se non sai chi sei.

La porta, però, ti conduce anche fuori: il Signore ti invita ad uscire dai tuoi nidi, dalle tue tane, dalle tue sicurezze, per andare nel mondo, imparare e metterti in gioco.
Uscire vuol dire incontrare il diverso da me. Ci sono tanti modi di vivere e di pensare: che non sono come i miei (a volte diversi, a volte opposti), con modi e stili di vita nuovi. Allora il confronto tra il mio modo di vivere, pensare, amare, credere e quello degli altri mi mette in discussione, mi mette in crisi. Perché mi accorgo che il mio non è l'unico modo per vivere, pensare, amare, credere; gli altri hanno verità che io non ho, gli altri sanno cose che io non so, gli altri fanno le mie stesse cose in modi molto diversi. Il confronto con l'esterno mi mette in gioco: "Tu la fai così", ma non è l'unico modo.
C'erano due vecchiette, Elisabeth e Mary, che dicevano che solo loro sarebbero andate in paradiso. Un giorno, un giornalista, incuriosito dalla cosa, andò a intervistare una delle due, Elizabeth. Le disse: "Ma proprio nessuno a parte lei e Mary andrà in paradiso?". "No, nessuno!". "Ma neanche Madre Teresa, Papa Wojtyla". "No!". "Solo lei e la sua amica Mary?". "Beh, adesso che mi ci fa pensare, non so se ci andrà la mia amica Mary".
Ai ragazzi dico: "Girate il mondo, guardate, conoscete, sperimentate, non abbiate paura di scoprire. Leggete cose diverse, nuove, lasciatevi provocare, allargate le vostre visioni. Che non vi capiti di scambiare la vostra vasca da bagno per il mare.

Pastore e porta: sono i due assi della vita. Casa e strada. Dentro e fuori.
Quando si fa l'uscita con i ragazzi ai campiscuola: "C'è tutto nello zaino? Panini? Acqua? Ne avete a sufficienza d'acqua? Cioccolata? Capellino? Kway? Maglietta di ricambio? Felpa se fa freddo? Scarpe da ginnastica (c'è anche chi è andato in uscita con gli stivali, quelli proprio da acqua!)? Avete i calzini (c'è chi è venuto via senza calzini, e non vi dico il dramma poi a camminare)?". Bene, se avete tutto, adesso si parte, in marcia!
Una madre e un padre sono così: pastore e porta. La prima fase della vita è quella dell'accumulo, dell'imparare, delle scorte: se un figlio ha fatto "scorta" di amore, coccole, fiducia, se ha scoperto quali sono le sue ricchezze, le sue forze, le sue capacità; se ha imparato a relazionarsi, parlare, difendersi, allora è pronto: può andare nel mondo. Il viaggio sarà meraviglioso: non privo di pericoli, rischi, ma avrà tutte le capacità di affrontarlo. Quando la vita gli dirà: "E' ora di andare, di uscire", lui, pieno di scorte (sicurezza, fiducia in sé, l'aver scoperto le proprie qualità, ecc.) sentirà che potrà farcela.
Ma cosa succede se non ha l'acqua? cosa succede se fa l'escursione con l'infradito? Cosa succede se ha paura di tutto (=non ha sicurezza in sé)? Cosa succede se non sa cosa vuole (=quindi sceglierà a caso)? Cosa succede se nessuno ha avuto stima di lui e quindi neanche lui adesso si ama? Può fare il viaggio? No. Non è che non voglia: non può proprio. Allora diventa impossibile l'escursione, l'andare, il viaggio della vita. Non ha le abilità, le forze, le capacità per compierlo. Non è che non voglia: non può.
Noi abbiamo bisogno di madri-pastori: che ci proteggano, che ci diano tutto l'amore che ci serve, che ci facciano sentire belli, unici, speciali, preziosi, amati e così lo crederemo anche noi! Noi abbiamo bisogno di padri-porte che ci spingano fuori, a confrontarci, a viaggiare, ad uscire, che ad un certo punto ci dicano: "Sei grande, hai le tue forze, adesso devi andare via di qui!".
Gli ebrei hanno una bellissima benedizione. Quando un figlio raggiunge i tredici anni, i genitori gli impongono le mani e dicono: "Ricordati sempre che io sono tuo padre e lei è tua madre". Come dire: "Qui potrai sempre ritornare". Le prime comunità cristiane vivevano Dio così: da Lui si poteva sempre ritornare.

Cosa dice il vangelo del buon pastore? Alcune cose.
1. Offre la vita per le pecore: le pecore sono la sua vita. Cioè: è la cosa più cara che ha ed è disposto a tutto per loro.
Per tuo figlio ("pecora") faresti di tutto. Per ciò che ami fai di tutto.
Angela Cavallo nel 1964 ha alzato una Chevrolet tenendola sollevata per i 5 minuti occorsi ai vicini per arrivare, riuscendo a liberare il figlio incosciente.

2. Le conosce, le chiama per nome. Lui sa il nome delle sue pecore, sa chi sono, sa di che cosa hanno bisogno, sa chi è più forte e sa chi è più debole; sa cosa può fare una e cosa può fare l'altra.
Un figlio un giorno disse alla madre: "Tu hai le preferenze per mio fratello". "E in base a cosa dici questo?". "Perché lui lo tratti diversamente da me!". "E' vero che tratto lui diversamente da te, come tratto te diversamente da lui. Tu non sei lui e lui non è te. Ognuno di voi ha il mio amore in maniera unica".
Non si ama tutti allo stesso modo perché altrimenti ci sarebbe solo una persona.
Ognuno è amato diversamente perché tutti siamo diversi dagli altri.

3. Gli appartengono: lui non le abbandona perché sono tutta la sua ricchezza. La parola partner vuol dire appartenere. Noi abbiamo bisogno di essere di qualcuno, di appartenere. Appartenere vuol dire che siamo cari, legati, a qualcuno.
Negli orfanotrofi, molti anni fa, metà dei bambini, nonostante tutte le cure fisiche, morivano. Perché? Perché nessuno se ne curava, perché nessuno li prendeva in braccio, perché non erano di nessuno.

Ma poiché nessuno di noi è pastore e nessuno di noi ha le pecore, cosa sono queste pecore? E cosa vuol dire essere pastore? Pastore di quali pecore? Chi sono le pecore? E chi è il buon pastore? Chi sono le mie "pecore"?

1. Le mie pecore è ciò che io ho dentro di me. Io sono il pastore; il recinto è la mia vita e dentro ci sono le mie pecore, che sono le mie emozioni, le mie paure, i miei bisogni.
Cosa voglio farne di queste pecore? Il pastore le 1. ama, 2. le conosce, 3. le sente sue. Non importa cos'hanno le pecore; sono le sue pecore. Lui le ama, lui farebbe di tutto per loro.

Dentro di me c'è una "pecora" che ha paura. Non importa cosa sia, il pastore la ama. Mai gli verrebbe in mente di non prendersene cura o di disinteressarsi di lei. E' la sua pecora, è la sua paura.
E anche se ne ha novantanove nel suo recinto ma una non c'è, lui va da quella. E' quella che ha bisogno di lui.
Una donna aveva paura di parlare in pubblico, di uscire con la gente, di dire la sua, ecc. Un giorno poi legge una frase che la scuote dentro: "Se non puoi cambiare la direzione del vento puoi regolare le vele". E così si dice: "Basta! Anche se ho paura, voglio vivere". Ora tutto questo lo fa: magari ha paura ma lo fa. E facendolo, la paura se n'è quasi andata.

Dentro di me c'è la "pecora" paura di soffrire. Che si fa? Per non soffrire si evitano certe situazioni?
C'è una ragazza, figlia unica, che vorrebbe sposarsi con il suo compagno. Ma ha una paura tremenda di soffrire: ha paura che le manchino i suoi genitori, ha paura di vederli tristi perché lei se ne va, ha paura di non farcela senza di loro e soprattutto ha paura di soffrire. Così il tempo passa e non si decide mai.
Poi un giorno si dice: "Adesso basta". Guarda in faccia la sua paura di soffrire, se ne prende cura e va. Le cose non è che non le facciamo perché sono difficili, ma sono difficili perché non le facciamo. Infatti è stato faticoso, ma non poi così tanto.

Dentro di me c'è la "pecora" trauma. Si fa finta di niente? Ci si nasconde? Che si fa? Hai subito abuso da piccolo? Hai un segreto terribile dentro? Si fa finta di niente? Ci si nasconde?
William Mitchell è nato nel 1943 ed è uno dei più grandi motivatori americani. Nel 1971 un camion trasformato in lavanderia cade addosso a William che stava andando in moto. Perde praticamente tutte le dita e il suo corpo è bruciato per il 65%. La sua faccia è irriconoscibile e "mostruosa" (tutt'oggi). Ma lui non si è arreso. I bambini lo chiamavano: "Il mostro". Nel 1975 il suo aereo (perché continuò a guidare aerei!) si schiantò lasciandolo paralizzato dalla vita in giù. Gira il mondo dicendo a tutti: "Non è importante ciò che ti accade, ma ciò che ne fai di ciò che ti accade". E lui di certo parla con ragione di causa. E dice: "Non bisogna mai vergognarsi di nulla perché neppure Dio si vergogna di noi". Le nostre pecore hanno bisogno del "nostro amore".

C'è una "pecora" in me. Qualunque cosa sia io me ne devo prendere cura. Io sono il pastore delle mie pecore. Loro hanno bisogno di me. E' facile amare gli altri quando non si ama se stessi: infatti non si ama nessuno. Come si può amare gli altri se non si ama neppure se stessi?

2. Le "pecore" sono fuori di me. Allora "le pecore" sono persone, in carne ed ossa. Guidare le persone è molto difficile: per molti guidare è dirigere, cioè far fare agli altri ciò che voglio io.
Se ti amo, però, non scelgo la tua strada ma lascio che sia tu a scegliere la tua. Io ti aiuterò solamente a fare chiarezza, lasciando a te la scelta. Sembra facile, ma...
Quando una persona viene e dice: "Io non vengo più a messa perché a me non dice nulla", ovvio che dentro di me, che sono prete, c'è una voce che dice: "No, non farlo!". Ma è "amore" se io utilizzo le mie fini strategie per farla venire? O non la sto utilizzando per le mie idee? Ma le mie idee sono le mie idee e non le sue.
Quand'ero prete da pochi mesi, in confessione, di fronte ad una persona che aveva dei comportamenti che io disapprovavo, per fargli cambiare idea, dissi: "Non credo che a Dio piaccia molto ciò che fai". E lei mi disse: "Forse a Dio non gli piaceranno, ma di certo Lui mi ama. Tu, invece, non sono sicuro". Aveva ragione: cercavo di manipolarla.
Per me guidare le persone è fare esercizio di umiltà: sono qui per te, non per me.
Guidare non vuol dire che tu faccia quello che voglio io, quello che vuole la Chiesa, quello che vuole il buon senso comune, quello che gli altri si aspettano da te. Io sono qui per mostrarti i vantaggi e gli svantaggi delle tue scelte, le conseguenze di ciò che fai, le motivazioni che ti spingono, consce e inconsce, i bisogni, le ferite che ti fanno fare tutto questo, le risorse che hai, ma poi tocca a te scegliere.
Guidare, per me, è fare luce. Dirigere è decidere io per te.
Guidare, per me, è servire: sono a tuo servizio.

Un giorno un re si innamorò di una sua schiava. La tirò fuori dalla condizione di servitù e la portò nel suo palazzo. Avrebbe fatto di tutto per quella donna e le avrebbe dato qualunque cosa lei avesse chiesto. La donna gli voleva bene, gli era molto grata per ciò che lui aveva fatto, ma era innamorata di un altro uomo, un semplice contadino del re. Sapendo ciò che il re aveva fatto per lei non se la sentiva di dirglielo e rimaneva a corte, ma era sempre più triste. Il re allora chiese aiuto al suo consigliere: "Dimmi, che cosa deve fare?". E quello gli rispose: "Mio signore, se la ama, la lasci andare!". Era così difficile per il re, ma se l'amava era l'unica cosa da fare! E così fece.
Il canto degli uccelli ha questa storia: "Una pecora scoprì un buco nel recinto e scivolò via. Era così felice di andarsene. Si allontanò molto e si perse. Si accorse allora di essere inseguita da un lupo. Corse e corse, ma il lupo continuava ad inseguirla e quasi l'aveva presa, se non che un attimo prima arrivò il pastore e la salvò riportandola all'ovile. E nonostante tutti l'incitassero a farlo, il pastore non volle riparare il buco nel recinto".

Anche nella fede si può guidare e si può dirigere. Guidare è mostrare, far vedere chi è Dio. Dirigere è convertire, è pressare perché la gente creda.
Una catechista alle elementari mi diceva: "Se tu non vai in chiesa, Dio piange e si arrabbia. E ricordati che Dio può tutto". E io mi sentivo fregato: io non volevo andare a messa, preferivo giocare a calcio, solo che "se Dio, che può tutto, si arrabbia, allora sono cacchi amari". E così mi sentivo in dovere di andare.

Due uomini, uno vecchio credente e praticante, l'altro giovane e lontano da Dio, andarono un giorno alla fiera delle religioni. Al banco ebreo ricevettero i volantini che dicevano che Dio era compassionevole e che gli ebrei erano il suo popolo eletto. Gli ebrei, però, solo loro erano gli eletti.
Al banco musulmano trovarono che Dio era misericordioso e Maometto il suo unico profeta. La salvezza viene dall'ascoltare l'unico profeta e tutti gli altri sono nemici a cui fare la guerra santa finché non si convertono.
Al banco cristiano scoprirono che Dio è amore e che ha mandato suo Figlio a salvare gli uomini: ma solo quelli in grazia, quelli santi, quelli puri e fedeli. Gli altri sono fuori dalla Chiesa, non si salvano e finiscono tutti all'inferno.
Il vecchio guardò il giovane e gli disse. "Che cosa pensi di Dio?". E il giovane: "E' bigotto, fanatico e crudele".

Pensiero della settimana

"Sii tutto in ogni cosa.
Poni quanto sei nel minimo che fai".
(Giorgio Nardo)