Omelia (13-05-2012) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Atti 10,25-27.34-35.44-48; Salmo 97 (98); Prima Giovanni 4,7-10;Giovanni 15,9-17 L'elemento che accomuna le letture di questa domenica è l'amore di Dio nella sua universalità. Infatti dopo la resurrezione e la formazione delle prime comunità cristiane costituite da Ebrei, i discepoli si interrogarono su come trattare i «diversi», i pagani, coloro cioè che non essendo stati circoncisi non appartenevano alla comunità ebraica ma volevano comunque esserne parte, perché attratti dagli insegnamenti di Gesù e dai diversi modi di pensare e di agire. L'indicazione proveniente da Dio, come riportato negli Atti degli Apostoli, è chiara: Pietro dapprima si meraviglia di essere stato invitato nella casa di un pagano, poi prende coscienza e comprende che attraverso la parola che egli ha sentito in prima persona è invitato a superare le esteriorità e i formalismi, anche quelli della legge ebraica che a lui era stata insegnata ed impregnava tutta la sua cultura e il suo modo di agire. Si può dire che questi eventi, riferiti a Pietro, ma che in quel momento anche gli altri discepoli stavano sperimentando, formalizzino la nascita dei «cristiani», cioè di coloro che sono seguaci di Cristo come portatore di novità e non semplicemente eredi di qualcosa costruito sulla cultura corrente. Nel corso degli eventi raccontati negli Atti e nelle Lettere si capisce come Pietro sia stato il primo ad accogliere i pagani e che poi Paolo li abbia istruiti. Il vero protagonista di questi eventi è Dio, attraverso lo Spirito Santo che discende sulle persone riunite; Pietro riconosce l'evento ed indica come ulteriore segno che questi siano battezzati. Anche nelle parole del Vangelo di Giovanni Dio si rivela protagonista: Egli ci ha amati per primo, senza che fossimo noi a scegliere, in modo autonomo e gratuito. La chiamata a far parte di un nuovo popolo eletto, più ampio di quello ebraico, è quindi gratuita ma individuale, persona per persona: da ognuno quindi è necessaria una risposta non esclusiva né scontata. Questa nuova comunità è tenuta insieme dall'amore. Nella prima lettura lo Spirito di Dio discende sulle persone che iniziano a parlare lingue diverse, si comprendono nel glorificare Dio (questo in pieno contrasto con la confusione delle lingue della torre di Babele); nel Vangelo è Gesù stesso che dà la regola per mantenere unita la comunità: amarsi gli uni gli altri come Lui ha amato, con dimensione smisurata, gratuità e fino all'estremo sacrificio di sé. L'amore è fatto di gesti che rendono vero, «effettivo» e non solo «affettivo» l'amore. Questi gesti sono misurabili: nei comandamenti sono divieti («non»), ma letti in positivo ampliano l'orizzonte e diventano vera espressione di amore: non è più il non nominare il nome di Dio invano, ma la lode; il non rubare, ma il donare e il rispettare l'altro anche attraverso ciò che gli appartiene, e così via. Se infatti si superano le prescrizioni, si va al vero valore che queste identificano, queste non appaiono più semplicemente dei limiti ma favoriscono la costruzione di un nuovo modo di relazionarsi con Dio e gli altri. Gesù non separa infatti legge e amore: invita sì a rimanere nei suoi comandamenti, gli stessi dati da Dio al popolo ebraico attraverso Mosè, ma anche a superare il "minimo" indicato nei comandamenti. I comandamenti, la legge devono essere un mezzo per arrivare all'assoluto, sono un'educazione a ritrovare l'assoluto. L'immagine è paterna, da educatore: similmente a come i genitori educano i figli, così Dio vuole educare i suoi figli, facendo scoprire loro i veri valori. Attraverso il comandamento dell'amore, la comunione nelle comunità e nella Chiesa acquista allora una dimensione vera, concreta. Gesù ci chiama a seguirlo, ma ad essere non servi, bensì amici: un vero leader - un termine a cui gli uomini di oggi non sanno più dare il giusto valore - che ha saputo arrivare all'estremo sacrificio per tutti gli uomini. «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»: l'invito è a provare a seguire Gesù, per fare esperienza di gioia vera, per conoscere un benessere interiore, differente da quello materiale. E' la ricetta della felicità, molto diversa eppure più semplice di quella delle beatitudini: l'amarsi come Dio ci ha amati. Ma quale può essere l'indicazione per chi vive in coppia? Anche gli sposi sono dei chiamati: come per il singolo uomo il battesimo è un modo per rispondere alla chiamata e per mostrare di aver compreso l'amore di Dio, così nella coppia, scelta da Dio per vivere insieme, il matrimonio è il segno di questo stesso amore. La coppia è la palestra per imparare ad amare in modo continuo, gratuito, responsabile; chi ne partecipa in pienezza sa che richiede sacrificio, ma dà gioia. perché l'esperienza di amore che si fa nella coppia è simile all'amore di Dio, che è più ampio e misericordioso. Per la riflessione di coppia e di famiglia: - Fin dalla nascita delle prime comunità si sente la necessità di aprirsi anche ai "pagani". In che modo le nostre comunità si aprono all'accoglienza dei non cristiani e anche dei non credenti? - Che cos'è per noi la gioia? Quando ne facciamo esperienza personale, di coppia, di famiglia? Pensiamo che gioia e felicità siano sinonimi? - Gesù dice "vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga": che cosa significa per la nostra coppia? |