Omelia (06-05-2012)
Gaetano Salvati
La verità dell'uomo

La liturgia della Parola di oggi rivela che il cammino verso l'incontro con il Signore sussiste se il credente risponde al Suo invito, alla Sua chiamata a partecipare alla comunione nel Suo nome. Ciò suppone che la salvezza attuata in Gesù Cristo è un dono elargito ad ogni uomo, che, liberamente, può decidere se aderire o meno.
San Giovanni, nel racconto del Vangelo, riferisce che il Maestro dice ai discepoli: "Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore" (Gv 15,1ss). Una simile affermazione indica che Gesù di Nazaret è l'unico Salvatore dell'umanità, Colui che narra all'uomo la sua verità; ancora, Egli è il rivelatore del Padre: grazie al Figlio, conosciamo chi è Dio, il Padre di tutti. Proseguendo con la descrizione del Vangelo, il Signore esorta ciascuno di noi a rimanere in Lui (v.4). È bello notare che Gesù non si rivolge al singolo credente, ma all'intera comunità. Questo significa che Egli, manifestando il Suo amore all'uomo, suscita la comunione degli uomini, la Chiesa, famiglia raccolta da Dio. L'iniziativa di Dio non ribadisce solamente l'origine ex Alto (dall'Alto) della Chiesa; ma, soprattutto che il Signore rimane sempre fedele all'uomo. Infatti, il Salvatore non dice mai "se non rimango..."; piuttosto: "se voi (noi) non rimanete" alla Sua presenza, si corre il rischio di essere "gettati via come il tralcio" (v.6). Questa continua tensione fra le promesse compiute e la fede ancora da ultimare nel presente della nostra storia, dimostra che la Chiesa, noi comunità pellegrina nel tempo, ha bisogno di continua purificazione e di rinnovamento. A riguardo, il libro degli Atti ci incoraggia ad aprirci alla novità della rivelazione cristiana. La prima lettura, infatti, narra che Paolo "cercava di unirsi ai discepoli" (At 9,26), "ma tutti avevano paura di lui" (v.26). La paura evidenzia che la comunità delle origini ancora doveva iniziare un cammino. L'apostolo Giovanni, nella seconda lettura, rende noto che la paura è indice di una fede ancora balbettante perché rimprovera; mentre Dio è sempre "più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (1Gv 3,20).
Dunque, come faremo a non staccarci mai dalla vite? In che modo riusciremo ad essere Chiesa, perennemente riformata dalla carità? Il Maestro ci esorta ad amarLo, e in Lui, ad amare ogni fratello. Amare Cristo configura una comunità tesa ad imitarLo, cioè a fare memoria della Sua sequela. Quando la comunità fa memoria della pasqua del Signore, celebra i sacramenti, manifesta un nuovo atteggiamento. Questo è possibile perché ogni sacramento, in particolare l'eucaristia, riattualizza il mistero della salvezza e preannuncia nell'esistenza redenta le meraviglie attuate da Dio per l'uomo. Nell'eucaristia, culmine della realtà sacramentale, il cristiano, aiutato da tutta la comunità, riesce ad esprimere nella sua vita, "non con la lingua ma con i fatti e nella verità" (v.18), la storia di Dio. In questo modo, la Chiesa si edifica quale popolo di Dio, segno nel mondo dell'amore verticale. Amen.