Omelia (13-05-2012)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di don Paolo Ricciardi

Piena primavera. Tempo di Prime Comunioni, di feste, di matrimoni. Tempo di fine anno, mentre ormai si pensa all'estate vicina e si cercano i frutti di questo periodo intenso per le nostre comunità. E a volte rimaniamo delusi...
Cosa resterà? Qualche bomboniera avanzata, qualche confetto andato a male? Le foto, i filmini, i regali? Cosa resterà in questo tempo in cui sembra che non si abbia niente e che tutto viene a mancare, sperimentando una crisi che va al di là di quella economica, quale la crisi delle relazioni, dei valori, di identità?
Gesù conosceva bene il nostro cuore, così attaccato a se stesso, alle forme, all'apparenza. E, nei discorsi della cena, invita quei discepoli, pronti ad abbandonarlo, a non lasciarsi abbandonare dall'amore.
Se il tralcio si stacca dalla vite, si secca... si diceva domenica scorsa. Oggi l'immagine della vite cede il passo a ciò che la giustifica in profondità. Cede il passo all'amore, di cui il Padre è la fonte. Egli, infatti, ne è l'attore principale: dal suo amore per il Figlio proviene l'amore del Figlio per i suoi. E tutti ne abbiamo bisogno. È questo, l'amore, a dar senso ad ogni attimo della nostra esistenza.
Perché non è un amore "che è eterno finché dura"; non è un sentimentalismo da motivetti da festival della canzone. È un amore serio. È un amore che sapore di croce. E di Pane. E di Verità. E che ci dà la pienezza della Gioia.
"Liberaci, o Signore, dalle sciocche devozioni dei santi dalla faccia triste", diceva Santa Teresa d'Avila. Come è possibile avere una faccia triste quando Gesù, lo Sposo, ci rivolge un invito per una festa che non avrà mai fine?
Oggi il Signore, in questo splendido tempo di Pasqua, ci scuote di nuovo dal torpore dello spirito, ci sveglia dal letargo dell'anima e ci grida: "Coraggio: rimani in me e sarai felice. Ama e sarai nella gioia! Ama e sarai tu Vangelo vivente!"
Ecco allora che per il cristiano ci sono parole che non possono che essere associate ad altre: è il caso proprio dell'amore e della gioia.
Il cristiano infatti sa che la gioia rimane imprendibile per chi pensa di procurarsela attraverso accorgimenti o iniziative personali, come se bastasse - per esempio - un buon matrimonio o una bella carriera o una comoda casa di campagna. Il cristiano sa che la gioia è vivere l'attimo presente colmandolo di questo amore e, anche se attraverso prove e difficoltà, essere nella gioia. Viene da pensare quello che Angelus Silesius, un grande mistico del XVII secolo, diceva a proposito della rosa: "La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce, / A se stessa non bada, che tu la guardi non chiede". Anche della gioia si potrebbe dire la stessa cosa: è un dono inspiegabile, da accogliere con stupore tutte le volte che se ne percepisce il profumo come di un fiore appena sbocciato.
Per il cristiano questa gioia corrisponde ad una certezza: so di essere amato. So che sono figlio. È di questo che ci vuole rendere persuasi Gesù quando ci dice: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore".
Nel vangelo di Giovanni e nelle sue lettere Dio è presente non tanto come l'onnipotente, sovrano assoluto ed eterno che regge tutto con la sua volontà, ma semplicemente e incontestabilmente come "colui-che-ama".
"So che tu mi ami, sempre, instancabilmente. So che qualunque cosa abbia fatto nella mia vita passata, qualunque possa fare domani, niente potrà essere separato dalla tua bontà, dalla tua misericordia e dal tuo perdono".
E questo amore di Dio genera una gioia altrimenti irraggiungibile anche perché si presenta sotto la forma splendida dell'amicizia. "Non vi chiamo più servi... ma vi ho chiamato amici", dice Gesù.
L'amicizia abolisce le distanze, supera la paura per fare spazio alla confidenza, entra in un rapporto sempre più aperto alla bellezza del donare.
Ma... non bisogna illudersi. Questa gioia ci viene data non perché venga custodita nel proprio intimo come un dono privilegiato ed esclusivo.
Gesù, infatti, pochi versetti più avanti, dice: "Vi ho costituiti perché andiate".
Come è possibile dimorare e partire allo stesso tempo?
Si può capire se si pensa che l'amore è sempre di sua natura in movimento: chi si sente amato, non può installarsi nell'amore, ma sente il bisogno di amare.
"Amor est in via", dicevano certi autori medievali: l'amore è vero quando sta sulla strada, cioè nella ferialità di ogni giorno.
Persino Albert Camus, che aveva tante obiezioni contro il cristianesimo, sentiva come il dare amore fosse il segno di una vita pienamente riuscita. Nel suo Diario ha lasciato questa nota: "Se dovessi scrivere un libro di morale, ci sarebbero cento pagine e novantanove rimarrebbero in bianco. Sull'ultima scriverei: conosco un solo dovere ed è quello di amare".
Camus parla di un dovere come Gesù parla di comandamento, ma il senso è chiaro: amare è un'esigenza profonda dell'animo umano per conseguire quella pienezza di gioia che Gesù ha promesso.
È ciò che sperimenta Pietro quando vede che il dono del Battesimo è voluto da Dio per tutti, senza preferenze di persone.
È ciò che sperimento io, quando mi accorgo che l'Amore mi spinge sempre altrove, senza accontentarmi mai. Finché ci sarà un uomo al mondo che crede di essere orfano, io devo andare, per fargli conoscere il Padre. E farlo sentire amato. E donargli così la pienezza della Gioia, che nessuna cosa al mondo ci può dare e nessuna cosa al mondo ci potrà mai togliere.