Omelia (13-05-2012) |
don Maurizio Prandi |
Custodire il dono Continuiamo nell'ascolto del capitolo 15 del vangelo di Giovanni e oggi scopriamo che l'invito a rimanere nella relazione con la vite che è Gesù, si trasforma in una supplica che lui stesso fa ai suoi discepoli: rimanete nel mio Amore. Ricordo che in un incontro Enzo Bianchi diceva proprio questo: quella di Gesù ai suoi discepoli (e a coloro che ascoltano questo brano di vangelo) è una vera e propria supplica, dove lui domanda perseveranza e fedeltà, domanda di rinnovare la fede ogni giorno. Il frutto buono, (l'essere discepoli), che domenica scorsa Gesù ci invitava a diventare non è questione di una stagione più o meno propizia, dove il raccolto è stato abbondante, ma è questione di tutta la vita. Il discepolato non è questione di eroismo, non si tratta di fare cose straordinarie per essere considerati suoi discepoli, ma di vivere piccole fedeltà capaci di rimanere tutta la vita. Il cristianesimo lo si misura da chi resta fedele, non da chi fa grandi azioni. Sempre Enzo Bianchi diceva in quell'incontro (e mi pare vero...), che la cosa più difficile non è diventare cristiani, ma morire cristiani. Diventare vecchi con la fede, questo è quello che conta!!! Lo scrive anche s. Paolo in una delle sue lettere: è finita la corsa, ho conservato la fede! Siamo al cuore dei discorsi di addio, cioè siamo al cuore del testamento che lascia Gesù. In questo momento così importante, Gesù ripete il comandamento nuovo. Ci sono alcuni particolari che meritano di essere sottolineati e magari anche ripresi durante la settimana. Ci siamo soffermati un poco sulla frase: non vi chiamo più servi, ma amici, perché in una comunità mi hanno domandato se Gesù avesse davvero detto ai discepoli: siete miei servi. No, Gesù non ha mai detto questo... quando parla del servizio pone Dio Padre e se stesso come "modello" del servo e invita i discepoli a fare altrettanto con gli uomini; le parole di Gesù in questo contesto dobbiamo intenderle come una "promozione" ad una vicinanza più forte, come una entrata in un legame differente, una relazione che continua e che il maestro desidera possa essere sempre più stretta ed intima. Nella Bibbia il titolo di servo è qualcosa di sommamente importante perché lì tutti i profeti sono chiamati servi di Dio. Chiamandoli servi Dio voleva dire il grado di massima intimità con Lui (E. Bianchi). Chiamare amici i discepoli è fare e far fare un grandissimo passo in avanti, perché questo titolo nella scrittura viene dato solo a due persone: Abramo e Mosè! Chissà quali sentimenti di gioia nei discepoli a sentire quelle parole! Nelle comunità, aiutati anche dal fatto che lo stesso brano viene proposto dalla liturgia feriale nei giorni precedenti la domenica, ci siamo soffermati tanto sul comandamento nuovo (così lo definisce Gesù in un altro passo del vangelo di Giovanni, all'inizio dei discorsi di addio, al cap. 13, 34 quando Giuda esce) che Gesù da ai suoi discepoli: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi... Come dappertutto c'è tanto bisogno di amore anche qui a Cuba e una delle parole sulle quali il Papa ha insistito di più nella sua recente visita è stata la parola: riconciliazione. Questo vuol dire che ancora siamo distanti dall'essere quella comunità che Gesù vuole, sogna, desidera. Si, perché se c'è bisogno di riconciliazione significa che il comandamento nuovo ancora non è entrato e la comunità non solo non ha un volto, ma anche è priva dei riferimenti necessari per definirsi conforme a quello che Gesù le ha supplicato di vivere: quello che Gesù ci consegna oggi è il comandamento che istituisce la sua comunità e da ai suoi membri la identità di cristiani. E' bello allora sapersi in questo cammino, alla ricerca di un volto, di una identità che non ci possiamo dare da soli ma che riceviamo dalle parole e dall'esempio di Gesù. Una comunità cristiana sa bene che pregare, celebrare l'Eucaristia, celebrare la parola di Dio sono cose importanti, ma sa bene anche che non sono segni sufficienti perché non sono segni evidenti attraverso i quali possiamo dire ai nostri fratelli e sorelle di essere cristiani. Senza l'amore vicendevole così come ce lo ha insegnato Gesù, non si dà nessuna comunità cristiana, perché è l'amore l'unico segno vero della identità di un cristiano; da questo riconosceranno che siete miei discepoli... se uno ama, quello è il segno di riconoscimento, quello che può suscitare nell'altro la consapevolezza e fargli dire: ecco un discepolo di Gesù! Dopo aver riletto il cap. 13 del vangelo di Giovanni ci siamo anche soffermati sulla qualità del comandamento. Intanto la parola stessa, che in greco è entolè ossia proposta, come suggeriscono i biblisti, un input direbbero in inglese (don C. Doglio in Servizio della Parola); Gesù mette dentro di noi qualcosa che ci spinge ad agire, qualcosa di così alto e bello che non può lasciarci indifferenti. Che bello! Non un'imposizione dall'esterno, ma un dono che se accolto in noi trasforma la nostra vita. Poi questo "comandamento" è un comandamento nuovo, e molto semplicemente lo abbiamo tradotto "nuovo" nel senso di ultimo, quello che viene come vertice, come il cuore di un messaggio; "nuovo" nel senso di definitivo (mi piace perché da l'idea di un cammino fatto al termine del quale si prendono decisioni importanti e definitive per sé); "nuovo" nel senso che riassume tutti i comandamenti, "nuovo" perché è un comandamento oltre il quale non ce ne sono altri. Infine ci siamo dati un compito: custodire la proposta definitiva di Gesù in questa settimana... custodire, non osservare, perché non si tratta di eseguire degli ordini, bensì di custodire un dono, conservare una relazione, accogliere e vivere la logica della relazione generosa (Claudio Doglio). |