Omelia (17-06-2012) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
Commento su Marco 4,26-34 Le letture della liturgia di questa undicesima domenica del tempo ordinario ci ricordano che non è l'efficientismo né le protezioni che concorrono a fare grande il Regno di Dio. Il Regno, come il seme, ha solo necessità di essere pianta alla giusta profondità per poter germogliare e, a so tempo, dare frutto. Questo lo sa benissimo anche il seminatore. Seminare è anzitutto donare ciò che ci appartiene, ciò da cui è doloroso distaccarci, "nell'andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare" ( Sal 125). Ma seminare è anche una fatica e una scommessa, poiché significa mettere in discussione le nostre sicurezze, indipendentemente dal volume del seme. Ci sono tre insegnamenti nella semina che ritengo siano utili. Il primo è la spontaneità: nel processo di crescita del seme c'è un un automatismo che sfugge all'azione del contadino, infatti il seme cresce anche quando lui dorme, anche se lui non assiste e controlla la sua crescita. Il secondo insegnamento è legato alla sua crescita che avviene anch'essa senza il nostro intervento, perché è insito nella natura che il Creatore del seme ha posto in lui. Il terzo insegnamento è quello del contrasto: il seme da sempre qualcosa che è più grande e più nutriente di sé. Viviamo in un Tempo in cui i simboli sacri perdono o hanno perso importanza e le istituzioni religiose sono ampiamente contestate, dai più si parla di un'epoca postcristiana. Nonostante ciò: "Non possiamo non sentirci e non dirci cristiani" giacché le norme dell'etica e le concezioni della vita sono legate, per l'occidente, al cristianesimo che che ne dica la costituzione europea, che tenta di contrabbandarle come frutto dell'illuminismo francese, il cui vero frutto è in realtà la ghigliottina. Come possiamo reagire alla eclissi del sacro? Non certamente rifugiandoci nel passato. È più utile e vantaggioso imparare a vivere, oggi, la fede senza tanti simboli religiosi poiché anche un tempo non religioso è un tempo adatto alla fede. Sia Ezechiele, sia il Vangelo sottolineano che lo stile di Dio è uno stile di pazienza di cui la pazienza del contadino è immagine. Il contadino non potendo accorciare i tempi delle stagioni aspetta pazientemente che i frutti del suo lavoro giungano a compimento, aspetta l'ora della carità di Dio, carità di tipo soprannaturale che ha la sua radice nella speranza. Chi ha fede è disposto a viverla anche in assenza di strutture e di supporti, anche se essa non viene presa in considerazione nelle costituzioni e nei codici. La fede vive di umiltà, dell'umiltà di Dio, e quando essa viene meno, se si regge su elementi per lei inutili, ciò che resta in piedi sono strutture morte, che ci trasciniamo dietro e che ci impediscono di camminare con passo leggero verso il Regno. La fede se profonda e vitale, situata nell'intimo del nostro cuore e non solamente nella superficie del nostro intelletto, trova modo di esprimersi nella testimonianza delle nostre azioni e non solamente nelle nostre dichiarazioni, troppo spesso contraddittorie e per tale motivo, futili e dannose, in quanto ci smentiscono. Non sono e non saranno le forze umane a cambiare il mondo. Ciò è evidente anche oggi stesso. L'orgoglio umano, legato al progresso, pensato senza Dio, ci ha regalato una società stanca di vivere e minacciata dagli stessi prodotti della tecnica miracolosa, creatrice solo di idoli che non parlano, non odono. Ritornando alla fede, essa è come l'albero della senape, coi suoi rami offre ospitalità e rifugio a molti uccelli, senza dominarli o impedirne l'accesso se non sono di suo gradimento. Revisione di vita - Siamo pazienti, tra di noi, con i nostri figli? Oppure siamo presi dalla fretta? - Abbiamo fede? - Abbiamo capito che la debolezza dei mezzi umani è una ragione di forza nel Regno di Dio? |