Omelia (20-05-2012)
don Alberto Brignoli
Testimoni del Risorto, uniti nella diversità

E così, la vicenda terrena di Gesù volge al termine. Tutte le cose terminano, e quelle belle pare sempre in maniera repentina. Ma lasciano dentro tanta dolcezza e tanta speranza, rispetto alle cose meno belle che - come anche diciamo - lasciano "l'amaro in bocca".
Una "scomparsa" come quella di Gesù lascia dentro di noi il sapore di cose vere, belle, piene di gioia e di luce; perché non è una scomparsa qualsiasi, è un momento che dà, a chi lo vive con intensità, il senso della pienezza e del compimento. Va tuttavia detto che non è una partenza "semplice": non stiamo salutando una persona che parte per un viaggio e che forse un giorno tornerà, speriamo presto, a salutarci e a condividere con noi un altro pezzo di storia. La partenza di Gesù da questo mondo è impegnativa, e ce l'aveva preannunciata in vari modi, all'interno del Vangelo. Pensiamo anche solo alla parabola dei talenti (o delle mine) che leggiamo sempre verso la conclusione dell'Anno Liturgico: il Signore se ne va, parte, si allontana da noi, per quanto tempo non si sa, ma affida a noi per questo "tempo dell'assenza" un compito non indifferente, quello di fare crescere e far fruttare il Regno di Dio in mezzo a noi. E pure il Vangelo di oggi, che riporta le ultime parole di Gesù secondo il racconto di Marco (e quindi dell'apostolo Pietro), non scherza affatto sul tema: come ultime volontà prima del suo ritorno al Padre, Gesù chiede alla nascente comunità dei discepoli niente di meno che di "andare in tutto il mondo e proclamare il Vangelo ad ogni creatura".
Un compito non di poco conto, e di grande responsabilità, visto che dall'annuncio del Vangelo e dal conseguente Battesimo dipende - sono sempre le parole dell'Evangelista - la salvezza di chi lo accoglie. Per questo, un compito così impegnativo ha bisogno di essere supportato da doni e carismi particolari: quelli descritti da Marco rasentano addirittura il miracolistico. Usciamo pure da un genere letterario dipinto chiaramente a tonalità forti dal redattore finale del testo proprio per suscitare sentimenti grandi e forti in chi leggeva e si sentiva spinto a gesti eroici nei confronti del Vangelo e del Cristo che lo aveva proclamato: nella Liturgia della Parola di oggi troviamo comunque un compito, un impegno forte richiestoci dal Maestro per smettere di "stare a guardare il cielo" e di divenire invece testimoni efficaci della sua Resurrezione.
La definizione di questo compito è affidata alla saggezza delle parole di Paolo, nella sua lettera agli abitanti di Efeso. Il Risorto asceso al cielo affida a noi il compito di "conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace", ci dice Paolo. E questo compito è affidato "a ciascuno di noi... secondo la misura del dono di Cristo" .
Ma come? Il Maestro, nel Vangelo di Marco, ci invita a uscire fuori e ad andare in tutto il mondo; Paolo lascia invece alla sua comunità il compito di conservare l'unità, quasi facendo un invito alla chiusura e all'autoconservazione. Se cerchiamo di scrutare un po' più a fondo queste parole così profonde di Paolo, ci accorgiamo che non sono in contraddizione con l'invito di Gesù ad andare e annunciare il Vangelo ad ogni creatura. L'annuncio del Vangelo, infatti, non può prescindere da un altro compito, che Paolo interpreta comunque come affidato dal Risorto asceso al cielo ai suoi discepoli: non posso cioè annunciare il Vangelo a ogni creatura se non sulla scorta di una testimonianza, quella dell'"unità", quella del "vincolo della pace", quella della "sopportazione a vicenda nell'amore".
Non c'è, in definitiva, miglior annuncio del Vangelo che quello della Carità vissuta tra i credenti in Cristo. Non possiamo pensare di annunciare il Vangelo solo attraverso la sterile proclamazione di fatti e discorsi di ciò che Gesù ha compiuto o insegnato: dobbiamo essere innanzitutto capaci di testimoniarlo con gesti di amore che rendono il Vangelo credibile agli occhi degli uomini già solo per il fatto che ci vogliamo bene. Sembra di sentir riecheggiare le parole di Gesù nel Vangelo della scorsa domenica, quando ci invitava a "amarci gli uni gli altri come lui ha amato noi".
Ora, Paolo chiede a ciascuno di noi di realizzare quest'amore, quest'unità, questo vincolo della pace non attraverso l'unificazione o l'appiattimento delle nostre specificità, ma attraverso la ricchezza dei carismi che ognuno di noi ha ricevuto. A volte si pensa che per mostrare un'immagine di unità e di comunione sia necessario smorzare le nostre specificità, smussare o limitare le nostre legittime e personali aspirazioni e soprattutto zittire il nostro pensiero e il nostro modo di agire per far emergere un discorso unitario in ciò che facciamo e diciamo. Questo, nella vita di ogni giorno avviene spesso in diversi gruppi di persone; tra i sindacati, è necessario che tutti parlino lo stesso linguaggio per ottenere qualcosa, tra i partiti è bene che ci sia un portavoce che dica la posizione ufficiale dei vertici della segreteria, in una fabbrica o in un'impresa è la leadership che determina le scelte cui tutti devono attenersi per ottenere risultati, e così via.
A volte, anche nella Chiesa pensiamo che sia più conveniente esprimere posizioni ufficiali che mettano in secondo piano la libertà di espressione dei singoli con la scusa, spesso plausibile ma a volte un po' meno, di evitare la confusione tra i fedeli, che altrimenti non sanno più verso dove devono andare. L'unità, la pace e l'amore nella Chiesa, ad ogni modo, non si creano con l'appiattimento delle posizioni e dei carismi personali di ognuno, ma con la valorizzazione dei carismi di ogni membro del Corpo Mistico, la cui unità si realizza nell'unione profonda con il Capo, con la radice, con la vite di cui siamo i tralci, per riprendere la similitudine del Vangelo di quindici giorni fa. Non si crea unità attraverso il livellamento del pensiero e delle peculiarità di ogni credente, ma attraverso l'espressione potente, forte, ricca dei carismi di ognuno, che altro non è se non l'espressione della voce dello Spirito in chi ha creduto all'amore di Dio. Ma questa dello Spirito è una voce che avremo modo di ascoltare e di lasciar risuonare domenica prossima.
Oggi, godiamoci la visione del Maestro che torna là da dove è venuto e affida a noi il compito di creare una comunità di credenti in cui ognuno abbia la possibilità di esprimere la propria ricchezza e il proprio carisma per manifestare e annunciare a ogni creatura che laddove c'è unione profonda con il Risorto non ci può essere confusione, smarrimento, sconforto, ma solo "fede", "conoscenza del Figlio di Dio" e piena realizzazione umana.