Omelia (27-05-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Egli vi guiderà alla verità tutta intera Celebriamo la Pentecoste, la "regina festivitatum", come la chiama S.Giovanni Crisostomo: è, infatti, il compimento del progetto di Dio sulla creazione. La creazione è frutto dell'amore di Dio: la sua caratteristica fondamentale non può che essere la fragilità, ma è una fragilità amata. La fragilità non è il termine di tutto, ma è l'Amore: quanto più si fa grande la fragilità e tanto più grande è l'Amore. La Pentecoste è l'Amore che vince la fragilità: Dio nell'incarnazione di Gesù ha partecipato al più completo annullamento di sé, ma proprio per questo la Croce diventa la Gloria. La Croce del Figlio, espressione della sua com-passione senza limite della fragilità del creato, diventa la via attraverso la quale l'infinito Amore del Padre può entrare nella creazione e farla nuova. Giovanni narra così il momento della morte di Gesù: "Gesù disse: ‘Compiuto' e chinato il capo, donò lo Spirito" (Giov.19,30). Così, la morte di Gesù è l'inizio della irruzione dello Spirito di Dio (che è Amore), che riempie l'universo: è la Pentecoste, la vita che sorge dalla morte, l'Amore che riempie ciò che è fragile, lo Spirito di Dio che ricrea l'universo. Tutto è Amore, bellezza: libertà che si offre all'uomo, perché liberamente l'accolga e cominci a vivere non più la vita della creatura ma quella del figlio di Dio. Così la Pentecoste è la festa del "cuore nuovo", realizzazione dell'attesa di Geremia, il profeta dell'interiorità: "Ecco, verranno giorni nei quali concluderò un'alleanza nuova con la casa di Israele e con la casa di Giuda...porrò la mia legge dentro di loro, la sciverò nel loro cuore..." (Ger.31-33) e della promessa di Ezechiele, il profeta della ri-creazione del mondo: "...vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne..." (Ez.36,26). Ancora una volta alcune riflessioni del giovane Montini possono farci gustare la festa che oggi viviamo. "Ciò che nelle altre feste domandavamo, per comprendere l'intenzione divina, al presepio, al Giordano, al Calvario, qui bisogna domandarlo al cuore nostro... Qui vi è anche lo scopo di questo mistero. Delle maggiori altre solennità, una ci dava l'Incarnazione, l'altra la Redenzione, questa ci dà la Santificazione: Dio con noi, Dio per noi, Dio in noi...La Pentecoste perciò che porta la Presenza soprannaturale di Dio nell'anima, dovrebbe essere meglio compresa dalla nostra pietà ed avere nelle nostre preferenze spirituali l'eccellenza che la Liturgia, riflesso fedele del dogma, le riconosce". Se la Pentecoste è la festa del cuore nuovo, il modo più autentico per viverla è quello di gustare la presenza interiore di Dio nel nostro cuore. Dice ancora Montini: "Ora il soprannaturale è nell'anima, sorgente di ispirazione nuova, di accenti incomunicabili, di letizia da concedersi solo agli iniziati alle sue leggi arcane. Dio viene: è l'ineffabile essere che si avvicina. Non è vero che se egli si mosse dalla sua inaccessibile sostanza verso di noi, il nome che gli conviene è "l'Amante"? E che se egli viene, il primo slancio di anima prodotto dalla sua presenza che posandosi in quella la deve aver trasfigurata, rigenerata, sarà come una simpatia, che non posso chiamare altrimenti che Amore?" Il brano del Vangelo di Giovanni che la Liturgia della Pentecoste ci fa leggere (Giov.15,26-27; 16,12-15) è di notevole importanza per la comprensione dell'esperienza cristiana che, oggi, siamo chiamati a vivere. Certo, quando viene composto il quarto Vangelo la comunità credente è interpellata da grandi domande: Gesù è stato condannato dai capi del popolo e dai capi religiosi proprio a motivo della sua parola e dalla sua testimonianza portata sino alla morte. Gesù è un illuso, un fallito, oppure è davvero il Figlio di Dio? Ma chi può rispondere a questa domanda? E i discepoli che continuano a sentirsi tali, come lo devono considerare: come un maestro che porta a livelli altissimi gli antichi precetti morali, oppure come il Figlio che dona al mondo la vita di Dio? Il Vangelo di Giovanni riporta i discepoli a quella sera nella quale Gesù ai discepoli tristi perché parla del suo prossimo ritorno al Padre, apre il cuore e li introduce nella intimità che lo lega al Padre, intimità nella quale la morte lo introdurrà pienamente. "Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito che procede dal Padre..." "Io vi manderò...": Gesù con estrema chiarezza afferma che la sua morte non è la fine ma il suo personale essere nuovo nel Padre, dal quale egli manda lo Spirito che procede dal Padre. Il Vangelo di Giovanni è preoccupato di affermare anche a proposito dello Spirito la personalità divina: lo Spirito è la presenza di Dio in noi, che fa in modo che l'esperienza che Gesù offre ai suoi discepoli non si riduca alla sola psicologia o alla sola intelligenza umana. Gesù parla di "Paraclito" e precisa "Spirito della verità": "Paraclito" significa "chiamato a difendere", "avvocato", "consolatore", ed è lo "Spirito della verità". E' lui, mandato da Gesù risorto e vivo della vita del Padre, il Dio in noi, che attesta che Gesù è veramente il Figlio che rivela il volto paterno di Dio. E' lo Spirito della verità che crea in noi la "sintonia" con Gesù, con il Figlio che non è un fallito, un illuso, ma è colui che conosce intimamente Dio e lo rivela. Il Paraclito attesta la verità di Gesù, lo difende dalla condanna del mondo ed è il "difensore di Dio": Dio è davvero il Padre nel quale Gesù abbandona totalmente se stesso. Dio è l'infinito mistero d'Amore che incarnandosi nella fragilità del creato, lo rinnova. L'esperienza interiore dello Spirito ci fa gustare l'Amore che è Dio e ci dà la certezza che Gesù è la via vera per entrare nella pienezza della vita. Nella seconda parte del brano che la Liturgia ci presenta (Giov.16, 12-15), Gesù afferma ancora la centralità della sua presenza nella storia: la pienezza della rivelazione di Dio è in Lui. Nella fragilità della sua carne si è riversata l'inesauribilità del mistero di Dio: Dio è nella carne ma la carne non esaurisce il mistero di Dio. Ed è ancora lo Spirito della verità che attinge dalla pienezza inesauribile del Cristo nella continua novità della storia. L'esperienza cristiana non è la relazione con il Gesù della storia, ma con il mistero del Cristo vivo, incarnato nella storia ma vivo nel Padre: l'esperienza cristiana è la vita nello Spirito che in modo sempre nuovo, rende l'umanità e il mondo intero partecipe dell'inesauribilità di Dio, che con Gesù si è reso partecipe della carne del mondo. E questa è la Pentecoste che noi viviamo: Dio è con noi, Dio è per noi, Dio è in noi, e noi lo gustiamo. Gesù mediante lo Spirito è veramente la via che ci introduce nella pienezza del gusto della vita. |