Omelia (10-06-2012) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
In memoria di me Aveva detto ai suoi: "...Fate questo in memoria di me...." (Lc 22,19); una memoria che non è semplicemente ricordo iscritto nella mente, ma potenza dell'amore riconoscente e fedele che rende vivo e attuale sempre il dono che Cristo fa di sè. Era quel giovedì che precedeva la sua morte e Gesù aveva consumato la sua ultima cena pasquale coi discepoli. In quella sera, l'unica della Storia che sia stata testimone dell'incredibile gesto d'amore del Figlio di Dio, questi si dava per sempre in cibo agli uomini attraverso il pane trasformato nella sua carne e il calice del vino che diventava sangue versato non per pochi amici ma per tutti: per quella sterminata folla di uomini e donne di ogni tempo e di ogni cultura che si sarebbero affacciati alla vita portando in sè, anche se inconsapevolmente, l'immagine del Padre. Abbiamo ricordato, o meglio, abbiamo celebrato solennemente questo evento che alimenta e sostiene tutta la storia umana nel giovedì che precede la Pasqua. Ora, il lungo tempo di Pasqua è concluso e ci troviamo nuovamente a vivere il cosidetto Tempo Ordinario e, tra le prime solennità che in esso la Chiesa ci fa celebrare e vivere, c'è proprio questa del Corpo e Sangue di Cristo: il dono dell'Eucaristia, Cristo che si fa pane per alimentare tutta la nostra vita e che ci offre ancora nel vino il suo sangue, versato incessantamente per la redenzione di tutti, e di ognuno in particolare. Questo dono di sé nell'Eucaristia è un momento centrale nella vita del Cristo ed è, allo stesso tempo, un evento fondamentale nella vita della comunità cristiana e in quella di ogni singolo credente. Un evento fondamentale, tanto che la sua narrazione la ritroviamo in tutti e quattro i Vangeli anche se, nel racconto di Giovanni, esso è adombrato in quel gesto stupendo della lavanda dei piedi (Gv 13,1-35), segno e rivelazione dell'Amore infinito che si piega nel servizio; infatti il lavare i piedi significa purificazione dal peccato che intralcia il cammino dell'uomo verso Dio; così, Lui stesso, nel Figlio Gesù, chinandosi in questo gesto, rende liberi i nostri passi e ci dice che ognuno di noi, se appartiene a Cristo, deve mettersi anch'egli al servizio degli altri, un servizio che è testimonianza di fede e di amore. Oggi la liturgia offre alla nostra considerazione il racconto dell'isituzione dell'eucaristia, tratto dal vangelo di Marco, che così recita: Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Gesù è a Gerusalemme coi suoi e ripete quel rito antico che ricordava la notte della liberazione del popolo eletto dalla schiavitù; c'è la sala per la grande cena, "una grande sala con i tappeti, già pronta, al piano superiore", precisa l'Evangelista, c'è il pane azzimo e ci sono i calici per la benedizione, tutto come prescritto dal rituale; ma in quei gesti solenni e familiari, sta per irrompere qualcosa di nuovo, di unico e sconvolgente, allorché il Maestro, mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per voi e per tutti.». Non conosciamo la reazione dei discepoli, forse non capirono pienamente il significato di quelle parole e di quel porgere il boccone di pane col quale Gesù diceva che al di là delle apparenze, in esso, come nel calice c'era proprio lui, prossimo a morire, lui che i suoi avrebbero abbandonato, sgomenti per la drammaticità degli eventi, lui il loro Maestro, il Cristo, che dopo la resurrezione avrebbero riconosciuto come loro Dio e Signore. Quell'ultima cena era permeata di fraternità e comunione, una cena che rievocava un sacrificio antico e anticipava il nuovo sacrificio che sigillava l'Alleanza ultima, definitiva e totale tra Dio e l'uomo ricomprato col sangue del Figlio: Gesù di Nazareth, il Cristo. Un gesto unico e nuovo, che emerge dalla fedeltà all'antico rito che celebrava l'Alleanza, come recita il passo dell'Esodo, ricordato nella prima lettura che così recita: "Mosè si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocàusti e di sacrificare giovenchì come sacrifici di comunione, per il Signore.Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!». Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!»." E quel gesto profetico ritorna nell'ultima cena di Gesù coi suoi: il segno inconfondibile del nuovo patto d'amore, patto di comunione che innesta l'uomo in Cristo e ne fa', allo stesso tempo, testimone e annunciatore della salvezza: un profeta del Regno. Fermiamoci ancora a considerare le parole di Gesù in quell'ultima Cena di Pasqua: "«Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per voi e per tutti. In verità vi dico che lo non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio»". Son poche parole ma contengono la vocazione vera di ogni uomo chiamato alla comunione con Dio nel Figlio Gesù; parole che contengono, allo stesso tempo, il progetto di una missione cui lo stesso Cristo ci invia per allargare sino ai confini della terra il regno di Dio. T. Radcliffe, un domenicano di nostri giorni, nota che nel testo di Marco c'è una sottile differenza tra i termini 'pané e 'vino'; infatti il pane è dato ai discepoli, a quella piccola comunità raccolta nel cenacolo per celebrare la Pasqua; ma del calice è detto che è versato per tutti e quella specificazione "tutti" apre le porte del cenacolo per inviare i Dodici e, dopo di loro, ogni fedele, verso ogni uomo che sia ancora in attesa di luce, di verità di pace e di salvezza. E' il desiderio struggente del Maestro che dice: «In verità vi dico che lo non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.» Dunque celebrando, contemplando, adorando, consumando il Pane e il Vino, accogliamo e facciamo nostro il desiderio del Cristo perché si formi un solo gregge sotto un solo Pastore. Parlando di sè come il buon pastore, Gesù aveva detto: "Io do la vita per le mie pecore.Ed ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anch'esse io devo guidare, e ascolteranno la mia voce, e sarnno un solo gregge ed un solo pastore..." (Gv 10,16). Ora spetta a noi, suoi discepoli, a noi che ci nutriamo dell'Eucarestia, far giungere la voce della Verità che salva a quanti sono ancora lontani da Cristo, l'unico redentore dell'uomo, la Via sicura per la salvezza, il Figlio nel quale anche noi siamo figli dell'unico Dio e Padre. Sr Maria Giuseppina Pisano o.p. mrita.pisano@virgilio.it |