Omelia (27-05-2012)
don Maurizio Prandi
Consumarsi, amando

E' una bella solennità quella che celebriamo in questa domenica: una festa dell'universalità, e come domenica scorsa possiamo dire che è una festa missionaria.

L'universalità emerge prepotentemente dalla prima lettura, grazie alla forza dell'annuncio. Lo immagino così l'annuncio dei discepoli quel giorno: attento e rispettoso di chi avevano di fronte e quindi così delicato, così semplice, così disinteressato che tutti, ma proprio tutti lo hanno potuto comprendere. Ognuno di noi nonostante la nostra provenienza (tutte le nazioni della terra) e la provenienza di costoro (Galilea), comprende, nella propria lingua, l'annuncio delle meraviglie di Dio. Mi pare bellissimo il messaggio che giunge dalla liturgia: aprirsi allo Spirito significa poter comunicare le grandi azioni di Dio nelle lingue di tutti gli uomini. La chiesa raggiunge l'altro nella sua capacità di ascolto, nella sua cultura e nei suoi linguaggi (Comunità di Bose). Questo punto lo sento molto delicato: la chiesa può essere missionaria a condizione di mettersi in ascolto della realtà, del popolo, della cultura alla quale vuole dirigersi. Lo Spirito può scendere ed io posso annunciare se prima, come gli apostoli quel giorno, sono riunito nello stesso (luogo non c'è nella versione in greco di Luca) insieme ai fratelli e alle sorelle alle quali il Signore mi chiede di portare la sua Parola. E allora può capitare di scoprire qualcosa di davvero bello e consolante: che, (come dicevo già le domeniche scorse), il Signore, con il suo Spirito mi ha preceduto. Il più delle volte, mi dicevano don Marino e don Federico nei primi tempi della missione nella Diocesi di S. Clara, non andiamo in una comunità di nostra iniziativa, ma perché un gruppo di persone ha il desiderio di ascoltare la Parola di Dio: Perché andate soltanto nella comunità del Triangulo? Venite anche da noi a Maboa. Trovo davvero bello vedere come Qualcuno ha già mosso la terra nella quale gettare il seme della Parola. E allora impari che con i missionari locali si va nelle case, si incontrano le persone e le si invita all'incontro di preghiera, che è il momento nel quale ci trova tutti insieme, riuniti nello stesso. Nello stesso cuore, nello stesso desiderio di conoscersi meglio (le nostre storie, le nostre fatiche, il nostro entusiasmo per costruire qualcosa di nuovo), nella stessa sete di ascoltare la parola più bella che ci sia: la Parola di Dio. Il passo successivo è la meraviglia se non del rinnovarsi dello stesso miracolo, almeno della sensazione di vivere qualcosa di molto simile; l'esperienza di una sintonia, del sentirsi dire: padre, era quello che mi ci voleva... Dio parla al mio cuore in una maniera che mi pare di capire...

Se voglio restare fedele a quanto successo quel giorno a Pentecoste, devo vivere così il mio essere membro della chiesa: non imporre il mio linguaggio, un linguaggio a cui l'altro si deve piegare; al contrario aprirmi ai linguaggi e alle capacità comunicative dell'altro. Il testo di Atti è chiaro: non si tratta di parlare una lingua sola o di parlarne molte senza conoscerle o averle studiate; si tratta, molto semplicemente, di capirsi, di intendersi. L'evangelizzazione non consiste in un'uniformità imposta dall'alto (un esempio banale: celebriamo la messa in una comunità essenzialmente missionaria e per dare segno di universalità preghiamo il Padre Nostro in latino con il risultato di confondere quelle povere persone che a malapena lo conoscono nella loro lingua madre) ma nell'essere fedeli al messaggio del Signore fiduciosi che possa essere compreso, proprio come quel giorno a Pentecoste, da ciascuno nella propria lingua, nel proprio mondo culturale.

Mi pare che ancora una volta la liturgia ci invita alla cura delle nostre comunicazioni. Leggevo il testo di Atti e per la prima volta con chiarezza ho notato che i discepoli non escono per annunciare le azioni meravigliose di Dio ma quel fragore, quel vento impetuoso riempì la casa e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Ripeto, da qui non sembra che i discepoli facciano discorsi alla gente, ma fanno dialoghi fra loro, e da questi dialoghi gli altri vengono a sapere le meraviglie di Dio. E' una narrazione l'uno all'altro delle meraviglie di Dio, e questo linguaggio dell'amore reciproco diventa un linguaggio universale che prende il posto della divisione di Babele (famiglie della Visitazione). Sento che la qualità dei nostri dialoghi è molto importante, perché sono capaci di toccare non solo l'altro, ma anche in chi per casualità ci ascolta, registri che lo pongono in sintonia con le grandi opere di Dio.

Un'ultima sottolineatura, che mette in relazione la festa di oggi con il cammino compiuto nella "settimana del cenacolo", in cui abbiamo atteso, come i discepoli il dono dello Spirito. Giovedì scorso, nella preghiera sacerdotale di Gesù abbiamo ascoltato questa frase: perché siano perfetti nell'unità. Leggevo in un commentario che il siano perfetti è lo stesso verbo che Gesù dice sulla croce ed è tradotto: tutto è compiuto. Quindi la perfezione è la consumazione d'amore sulla croce. Mi piace pensare che anche l'evangelista Luca, quando ci dice che il giorno di Pentecoste stava compiendosi, avesse nel cuore e nella mente la stessa idea: Gesù crocifisso, consumato nell'amore per tutti gli uomini, consegna il suo Spirito; di quella "perfezione" partecipa poi tutta la chiesa, che quel giorno nasce per consumarsi a sua volta nell'amore.

In questo giorno chiediamo al Signore che riempia di consolazione cuori e case. Tutti ne abbiamo bisogno.