Omelia (10-06-2012) |
Ileana Mortari - rito romano |
Questo è il mio sangue, versato per molti La terza lettura della solennità del Corpus Domini è tratta dal vangelo di Marco (che viene letto nell'anno liturgico B) e presenta uno dei racconti-testimonianze del Nuovo Testamento relativi all'istituzione dell'Eucarestia. E' questo il principale mistero che, insieme alla Trinità - celebrata la scorsa domenica - distingue il cristianesimo da tutte le altre religioni. Il testo eucaristico più antico è quello di S.Paolo in 1° Corinti 11, 23-26 (del 50-52 d.Cr.): "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me....." La redazione di Marco è del 60-65 d. Cr. e riflette la comprensione della comunità che, dopo l'ascensione di Gesù e il dono dello Spirito, ha obbedito al comando di celebrare la "cena del Signore". Nel brano di oggi il Nazareno incarica due suoi discepoli di preparare la Pasqua; sarà quella l'"Ultima Cena" per antonomasia, l'ultima di tutta una serie di circostanze in cui il Messia si era trovato nella sua vita terrena a condividere il pranzo: con i discepoli, con amici, con persone ragguardevoli, ma anche con poveracci o gente di malaffare. Va ricordato che ogni comunanza di tavola è per il semita un dono di pace e fratellanza; la comunione conviviale è comunione di vita. Già il fatto del mangiare nella Bibbia non significa soltanto un atto vitale, ma contiene un senso religioso, perché il pasto è visto come dono di Dio, Signore della terra, datore di ogni bene. Così il pranzo è considerato come un atto religioso e nei testi più tardivi dell'Antico Testamento assume un significato profetico e messianico (cfr. Isaia 26,6-8 e 55,1-3); il pasto materiale è poi anche espressione dell'abbondanza del dono per eccellenza di Jahvè: la sapienza divina, di cui pure gli uomini sono resi partecipi. Nel tempo di Gesù, infine, si aspettava il banchetto escatologico (cioè degli ultimi tempi, al termine della storia), come espressione della salvezza definitiva. Ora, con la comunanza di tavola (da cui nessuno era escluso!) Gesù esprimeva l'interesse e l'amore misericordioso di Dio per gli uomini e spesso e volentieri utilizzava questo momento per impartire fondamentali insegnamenti sul Regno. Anche l'Ultima Cena fa parte di questa consuetudine, ma si distingue dagli altri momenti simili perché è la cena pasquale ebraica e anche l'ultimo atto, il "testamento" di Gesù, prima della sua passione e morte. La Pasqua era per gli ebrei la festa più importante dell'anno, che ricordava le grandi opere compiute da Jahvè per liberare il suo popolo dall'Egitto; era un memoriale dell'Esodo e dell'alleanza stabilita da Dio con il suo popolo per mezzo di Mosè. Nel corso di quest'ultima cena pasquale Gesù compie dei gesti e pronuncia delle parole non previste dal rito tradizionale. Benedice il pane, lo spezza e lo dà agli apostoli, dicendo "Questo è il mio corpo"; poi rende grazie sul calice, lo dà da bere e dice "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti" (l'espressione "per molti" è un semitismo che significa "per tutti, che sono una moltitudine"). Ma che cosa avranno capito gli apostoli di queste parole del Signore? Probabilmente le percepirono come espressione insolita del Maestro, come un gesto profetico e simbolico, nella linea ad esempio di Geremia ed Ezechiele, che accompagnavano le loro azioni simboliche con la parola che ne rivelava il senso. L'espressione "sangue dell'alleanza" rimandava immediatamente al racconto di Esodo 24 (la 1° lettura di oggi): Mosè, dopo aver letto il testo della Legge, fa offrire olocausti e giovenchi come "sacrifici di comunione, per il Signore"; quindi versa metà del sangue sull'altare e con l'altra metà asperge il popolo; il sangue dei sacrifici è segno del patto bilaterale stabilito con Jahvè: Dio garantisce guida e protezione nel cammino verso la Terra Promessa e gli Israeliti si impegnano ad osservare la Legge. Ma il sangue dei sacrifici aveva nell'ebraismo anche altri significati: secondo Esodo 29,15-26 possedeva un potere santificatore nella consacrazione dei sacerdoti e degli altari e secondo Levitico 17,11 serviva per l'espiazione dei peccati, significato questo molto accentuato dal giudaismo recente e ben noto al tempo di Gesù. Ebbene: con i suoi gesti e le sue parole il Figlio di Dio profetizza, cioè anticipa quello che doveva avvenire. Egli sapeva bene di andare incontro alla morte: più volte era stato accusato di magia, esorcismi, bestemmie, trasgressioni del sabato (che secondo il diritto giudaico comportavano la pena capitale) e da tempo i capi giudaici volevano toglierlo di mezzo a causa delle sue azioni e dei suoi discorsi. Ora, nelle parole pronunciate nell'Ultima Cena Gesù interpreta e dà un senso alla morte che ormai sente imminente, rileggendo il suo destino sulla falsariga del profeta-servo perseguitato, del giusto e del martire, la cui morte, secondo la mentalità giudaica del tempo, aveva un'efficacia espiatrice e di riconciliazione. Per questo parla del "sangue dell'alleanza versato per tutti". Per questo aveva detto già prima: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Marco 10,45). Come si legge nella Lettera agli Ebrei (cap.9), i sacerdoti israeliti entravano nel Tempio ed offrivano il sangue delle vittime per sé e per i peccati del popolo; "Cristo, invece, ........non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna" (v.11) E, come aveva fatto nei tre anni del suo ministero, anche in questo momento conviviale il Maestro impartisce un fondamentale insegnamento sul Regno. Nella certezza che Dio (il quale mai abbandona il giusto) non lo lascerà in balia della morte, Egli afferma che berrà ancora del frutto della vite, quello "nuovo", nel regno di Dio (v.25) e spalanca così ai suoi discepoli la prospettiva luminosa della vittoria definitiva di Dio sul male e sulla morte. Nell'attesa di questo banchetto escatologico, cui tutti giungeremo, Gesù non ci ha lasciato soli: ci ha fatto il dono immenso di Sé e della comunione col Suo corpo e il Suo sangue, che si rinnova in ogni celebrazione eucaristica. |