Omelia (17-06-2012)
padre Gian Franco Scarpitta
Seminatori della Parola accanto a Dio e al suo Cristo

Le parabole di Gesù intorno al Regno sono sempre allusive al protagonismo di Dio nella vita dell'uomo e nella storia. E' Dio il vero fautore del Regno perché egli regna da sempre e soprattutto perché realizza la propria regalità nelle parole e nelle opere di misericordia del suo Cristo. Nell'Incarnazione di Dio in Cristo il Regno di Dio è venuto infatti definitivamente fra gli uomini, anche se il suo compimento si realizzerà nei tempi ultimi.
Nelle parabole odierne, che Charles Dodd definisce "Parabole della crescita", Dio appunto perché fautore del Regno viene identificato come il Seminatore; il seme è la sua Parola che dovrebbe trovare terreno fertile in ciascuno di noi, nella nostra vita e nella storia, essa è soprattutto la Parola fatta Carne, il Cristo. Cristo Figlio di Dio è il seme, cioè la Parola divina che si insinua nella nostra vita, per trasformarla secondo il suo progetto d'amore, proprio come il seme che, caduto e disperso fra le zolle di terra, si dipana misteriosamente mutando la sterra prima incolta e abbandonata in un campo fruttuoso di raccolti: il seme cresce un po' alla volta, viene alimentato dalla terra e dal clima appropriato della stagione, si tramuta prima in piccole spighe finché il terreno non diventa grano pronto per la mietitura. Così pure avviene in ordine alla Parola, soprattutto quando essa sia Parola Incarnata, il Cristo: in un altro racconto parabolico il seme caduto nel terreno necessita anche di morire per recare frutto (Gv 12, 20 - 21), cioè di perdersi nell'oscurità della terra, di rendersi irriconoscibile alla nostra vista e di confondersi con il pietrisco per essere svilito, ma per poi dare vita all'atteso, copioso, raccolto. Parimenti, il Cristo Verbo di Dio è morto osteggiato e messo al bando da tutti, confuso con uno dei tanti malfattori, anzi preferito ad un assassino, ma con la sua risurrezione ha recato i suoi copiosi frutti di gioia, di redenzione e di salvezza. Come un granellino di senape, Gesù si è fatto piccolo, povero e indifeso, condividendo la condizione dei deboli e dei reietti e per questo è stato esaltato con un nome al di sopra di ogni altro nome (Fil 2, 9). Una volta morto e sepolto, Gesù ha apportato la crescita del Regno che aveva già diffuso in germe con le sue parole e con le sue opere: per mezzo delle sue apparizioni da Risorto, nell'Ascensione al Cielo e nella realizzazione della promessa del dono dello Spirito a Pentecoste e nella continuità del suo annuncio per mezzo della Chiesa, Cristo fa crescere costantemente il seme del Regno e ne dispiega i fruttuosi raccolti per ogni dove.il Regno di Dio va sempre affermandosi e sviluppandosi nel presente della Chiesa e giungerà al suo apice definitvo quqnado la storia avrà il suo epilogo, al suo ritorno visibile glorioso.
Il Padre è l'agricoltore, il Verbo è la semente, il terreno è l'uomo. Ma in questo processo il terreno non è affatto passivo. La qualità del raccolto dipende infatti dalla buona predisposizione della terra, insomma dalla fertilità del terreno profondo e insondabile che è il cuore dell'uomo. Come ben si esprime un famoso paradigma della Scrittura, la Parola ha sempre la sua efficacia come la pioggia che discende dal cielo (Is 55, 10 - 11): essa ha in sé qualità per irrigare e predisporre alla crescita, ma se il terreno è arido e refrattario, non potrà che apportarvi pochi frutti. Il terreno dell'uomo si predispone sulla base della volontà e della predisposizione dell'uomo stesso, che di fronte alla Parola non deve mai mostrarsi sospettoso o diffidente, ma considerarla come un Dono, aprendosi deliberatamente con fiducia e lasciandosi formare da essa; ad essa dovrà poi conformarsi e su di essa dovrà poi impostare la propria vita.

Fermo restando che il primo seminatore è Dio, io ritengo che la prima delle due parabole richiamino pertanto anche la buona disposizione e l'intraprendenza dell'uomo. Il paragone infatti è evidente: "Così è il Regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno". L'uomo è infatti collaboratore di Dio nel diffondere la sua Parola, vivendola innanzitutto egli stesso, assimilandola e rendendola suo particolare criterio di vita. Particolarmente il cristiano, in forza del Battesimo che lo ha innestato in Cristo conformandolo in tutto a lui anche nella missione, collabora con Dio nell'essere seminatore con la particolare virtù di saper aspettare con fede i risultati del suo lavoro e affidando questi non già alle proprie capacità o alle sue singolari prerogative o ai propri talenti (anche quelli indubbiamente) ma contando esclusivamente nei tempi e nelle procedure di Dio. Anche l'uomo semina sul suo terreno e su quello degli altri, ma non prima che abbia sparso concime su quanto Dio ha seminato in lui. L'uomo raccoglierà quanto sarà stato in grado di seminare, tuttavia non senza la falce di Dio.
Come afferma infatti la Parabola, noi non conosciamo né saremo mai in grado di conoscere tempi e modalità con cui Dio fa crescere il suo seme, non ci è dato sapere quali procedimenti, tempi, sentieri Dio metta in atto per far crescere la propria semente, non sapremo mai quanti passi sono necessari fino al conseguimento dell'obiettivo. Nessuno può illudersi di pronosticare futuri risultati o di anticipare eventi e soluzioni. Occorre semplicemente lasciare fare a Dio, le cui vie e i cui sentieri sono differenti dai nostri (Is 55, 5) e saper attendere nell'umiltà, nella fede e nella speranza. La fede è infatti la prospettiva dell'accoglienza del Dono della Parola di Cristo e la condizione per perseverare in essa soprattutto quando essa si attua nella vita per mezzo della carità concreta. Essa è la condizione per la quale accogliamo il dono lasciando che solo Dio sappia come esso si sviluppi in nioi e prenda forma attorno a noi, vuol dire insomm a accettare l'opera di Dio con estrema libertà e gratuità. La fede però non è ddata senza la previa capacitàdi essere umili: nell'umiltà riconosciamo che nulla ci appartiene e che tutto è di Dio, anche la possibilità di farci lavorare nel suo terreno e questo ci rende in grado non di cercare strumenti appropriati, ma di lasciare che Lui stesso ce li fornisca. La speranza, che poggia sulla fede, ci dispone a quelli che sono i programmi e i tempi di Dio, i quali differiscono notevolmente dai nostri ma conducono a risultati che sono davvero i nostri. In questo prezioso trittico di virtù l'uomo semina la Parola facedndosi collaboratore di Cristo per la realizzazione del Regno e saggiando il Regno a sua volta e alla pari dell'agricoltore egli pianta lasciando che Dio faccia crescere. Come dirà poi Paolo, "Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere" (1Cor 3, 6).
Affidarci a Dio nell'essere seminatori nel suo nome comporta certamente l'essere piccoli e crescere progressivamente, senza bruciare le tappe. Chi si trova oggi a godere di una buona posizione di successo o a fare l'inventario delle copiose risorse acquisite ha dovuto iniziare con poco, affrontare le dure lotte e gli immancabili sacrifici che ogni traguardo comporta. Nessuno che abbia realizzato la propria fortuna o portato a termine un progetto senza prima iniziare dal poco è destinato a veder perdurare le proprie risorse: non potrà che capitolare.
Il verso successo, in ogni caso e in tutti i campi, inizia con una serie di fallimenti, di frustrazioni e di incomprensioni altrui, conosce insidie a volte precostituite, richiede costanza, fiducia e persistenza nella prova e nella tentazione di voler abbandonare. Ma quando finalmente l'obiettivo è raggiunto, ebbene i risultati sono paragonabili alla pianta che è scaturita da un insignificante granellino di senapa: ora è talmente grande da torreggiare su tutta la flora antistante e da diventare sede di numerosi nidi di uccelli. Prendere parte attiva alla novità del Regno realizzata da Cristo vuol dire seguire le sue orme instancabilmente e conseguire i medesimi premi di gloria anche se la tappa necessaria e inevitabile è sempre la croce.
Configurarsi a Cristo e immedesimarsi nella fede e nella speranza nella novità del Regno di Dio che nelle parabole esprime una realtà profonda di vita, ecco il destino del seminatore di Dio, il quale non può non essere instancabile e determinato sulle stesse orme del Crocifisso Risorto.