Omelia (10-06-2012) |
don Alberto Brignoli |
"E uscirono verso il monte degli Ulivi" "Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi": con le parole di questa lapidaria frase si è conclusa la lettura del Vangelo di quest'oggi che ci ha riportati al momento fondante del Mistero che celebriamo nella Liturgia. È una frase che all'apparenza pare avere come unico significato quello di dare un'indicazione di spazi e di tempi, come un corridoio che unisce le sale in cui sono esposte due rappresentazioni della vita di Cristo tra esse collegate ma comunque ben distinte: quella dell'intimità del Maestro con i suoi discepoli durante la Cena Pasquale e quella del buio del Getsemani nella quale il Maestro, lasciato solo dalla maggior parte dei suoi seguaci, sperimenta la lontananza pure dal Padre. In realtà, questa frase non ha un significato solo strumentale, come potrebbe sembrare. Tant'è vero che oggi, a distanza di vari secoli, nella stragrande maggioranza delle nostre comunità parrocchiali, dopo aver celebrato il Pane spezzato sull'altare e il Vino versato e distribuito per la salvezza del mondo, usciamo fuori con inni e canti e accompagniamo, come allora i discepoli, il Corpo del Signore. Lo accompagniamo fra le strade dei nostri paesi e delle nostre città, tra quelle strade e quei marciapiedi che sono il "monte degli Ulivi" di oggi, quel Getsemani di angosce, di enormi sofferenze, ma anche di grandi sacrifici accettati con l'intento di costruire speranza, di ridonare vita, di annunciare resurrezione. La celebrazione del Mistero Eucaristico, condiviso con i fratelli più cari, con le persone più vicine a noi, acquista il suo pieno significato in quel camminare di Dio in mezzo a noi e di noi insieme con Dio, fatto appunto di canti e inni, di preghiere e di suppliche, di richieste e di promesse di fede, che ci riporta in continuazione nel Getsemani dell'oggi. Una processione eucaristica, quindi, non è più - come poteva essere nel passato e come la vediamo ancora oggi celebrata nelle sue forme più rappresentative e coreografiche - il tributo d'onore al Corpo e al Sangue di Cristo al quale ci sottomettiamo come Signore e Dio delle nostre città, ammesso che questo sia ancora condivisibile dai più; si tratta invece, a mio avviso, del gesto umile e carico di significato umano di un Dio che esce (almeno una volta l'anno) dal tabernacolo della sua gloria per farsi pellegrino sulle strade dell'umanità. La processione del Corpus Domini, allora, è tanto più significativa non quanto più è solenne, ma quanto più impregnata di umanità e di condivisione con quanto gli uomini e le donne del nostro tempo vivono sulle strade che oggi percorriamo tenendo tra le nostre mani un ostensorio. Il camminare di Dio con noi "verso il monte degli Ulivi", verso il luogo non più storico, "una tantum", ma quotidiano delle storie di passione, morte e risurrezione dell'umanità, acquista tutto il suo valore (ed è ben necessario che venga perpetuato negli anni) nella misura in cui corrisponde al camminare nostro con Dio, ossia al nostro impegno di rendere visibile e concreto il suo Corpo con gesti che parlino veramente di lui e di ciò che nella messa celebriamo. A me pare spesso di assistere ad un forte scollamento tra quanto celebriamo nell'Eucaristia domenicale che apre e chiude la nostra settimana e quanto invece viviamo durante i giorni feriali che vi si trovano in mezzo; soprattutto quando viviamo la messa domenicale come l'assolvimento di un precetto celebrato il quale ci si sente a posto per darci poi appuntamento alla domenica successiva. È vero che non dobbiamo prendere per assolute e vere tutte le affermazioni o le critiche che ci vengono rivolte; però ci deve far riflettere che ci sia gente che afferma di non partecipare più alla messa domenicale perché vede le incoerenze quotidiane di noi che vi partecipiamo, magari anche facendo la comunione con assoluta naturalità. Ripeto: non sono affermazioni categoricamente assolute, e spesso suonano anche da mera giustificazione alla propria pigrizia religiosa, ma è altrettanto fuori di dubbio che al nostro "stare bene" con Gesù nel cenacolo non sempre corrisponde un nostro camminare con fede e con coerenti opere di carità cristiana tra le strade della nostra città. Gli esempi di cristiani che fanno la comunione ogni domenica e poi si comportano in maniera disonesta sbandierando la propria cattolicità, si sprecano e sono sotto gli occhi di tutti. Torniamo invece allo spirito dell'Ultima Cena, che si è conclusa non nell'intimità del Cenacolo, ma nell'incertezza della strada affrontata sfidando il buio del Getsemani, l'angoscia di una preghiera sussurrata a fatica, il peso della volontà di Dio accettata nonostante tutto, e addirittura il peggiore degli smacchi, il tradimento da parte delle persone che dicono di amarci. L'Eucaristia portata dentro di noi ogni domenica e sulle strade delle nostre città ogni anno per il Corpus Domini è la sintesi di questa nostra storia. Una storia fatta di sacrifici a comparazione dei quali quelli dell'Antico Testamento erano solo folklore; fatta del dono dell'amore di Dio all'umanità attraverso la Creazione che produce i frutti della terra, ma anche della fatica e del sudore dell'uomo nel coltivarli; fatta di fiducia in un Dio che ti manda allo sbaraglio (come ci fa intuire il Vangelo di oggi) per preparare la nostra Cena Pasquale con lui; fatta di un Corpo spezzato sull'altare della Croce perché le nostre vite non rimangano spezzate dalla violenza che ci circonda; fatta di un Calice della redenzione versato per molti ma di cui poi bevvero tutti, perché alla fine la salvezza non esclude nessuno; fatta - in definitiva - di un'umanità che cammina tra alti e bassi alla ricerca della felicità, e di un Dio che nonostante tutto non si è ancora stancato di noi e continua ad alimentarci di sé. |