Omelia (10-06-2012) |
Marco Pedron |
Un dono di amore per tutti Oggi la chiesa celebra la festa del Corpo e Sangue di Cristo. E cos'è il Corpo e Sangue di Cristo? Per noi tutti è l'eucarestia e infatti il vangelo di oggi è l'istituzione dell'eucarestia secondo Mc. La festa nasce dal miracolo di Bolsena a cui dobbiamo il duomo di Orvieto. Un sacerdote dubita della presenza reale di Cristo nel pane e nel vino. Durante una messa, quando spezza il pane, un po' di sangue scorre dalla piccola ostia. Dal 1264 questa festa viene estesa a tutta la chiesa. Ma nel primo millennio il Corpo del Signore non era l'eucarestia bensì l'assemblea: gli uomini e le donne. Il retaggio di questo c'è rimasto quando nelle grandi feste incensiamo l'assemblea. Si incensa Dio presente nel vangelo, nel pane consacrato e nell'assemblea, nelle persone. Questo era il "verum corpus" di Cristo, mentre l'eucarestia era detta il "corpus mysticum". Nei secoli le cose si sono poi scambiate. Per capire dobbiamo tornare indietro e così cogliere il senso originario. Cosa succede all'inizio? Gesù celebra, come tutti gli ebrei, ogni anno, la cena pasquale con i suoi amici: ma una di queste è l'ultima perché Gesù poi verrà ucciso (vangelo di oggi). Allora quell'ultima cena pasquale non è più solo una fra le tante, ma l'Ultima Cena. Ha, cioè, un significato forte, è un simbolo di unità e continuità: quell'ultima cena pasquale diventa il segno per vivere e far rivivere Gesù, la sua vita e il suo messaggio. Infatti nel I secolo, appena dopo la morte di Gesù, l'eucarestia non era come avviene oggi (1 Cor 11,20-22). Era una condivisione di cibo reale e non di un prete presso un altare con pane e vino. Era un'agape, un pasto comune, dove ciascuno portava qualcosa (chi più aveva più portava) e dove mangiando e stando insieme si ricordava la cena del Signore. Solamente con il passare degli anni il pasto comune si ritualizzò fino a diventare l'eucarestia di oggi. All'inizio, inoltre, vi erano due tradizioni presenti entrambe nei vangeli. Quella che poi predominò del pane e del vino (Mc 14,12-16. 22-26), di cui noi facciamo memoria in ogni eucarestia, e quella del pane con il pesce (cfr. moltiplicazione dei pani: Mc 6,30-44; 8,1-10 e Gesù sulle rive del lago di Tiberiade Gv 21,1-19). Nella tradizione pane e pesce la cosa più evidente è l'eccedenza: si avanza sette o dodici ceste piene di pane e di pesce. Insomma: ce n'è per tutti e a sufficienza, se si condivide. Infatti il senso profondo del miracolo della moltiplicazione dei pani è proprio questo: più condividi e più il cibo o le risorse si moltiplicano. Cosa succede quando si fanno queste cene dove ognuno porta qualcosa? C'è chi porta una torta salata, chi un dolce, chi un po' di pane e salame, chi un po' di pizza, chi il vino e chi l'acqua, chi il formaggio o la macedonia: ma se ne avanza sempre e tutti mangiano un sacco di cose. Cosa succede quando c'è da fare un camposcuola? All'inizio tutto sembra impossibile! "Ma non abbiamo le forze! Ma cento ragazzi sono troppi! E chi li seguirà?". Allora le persone sono prese dallo sconforto. Ma basta iniziare a dire: "Tu cosa puoi dare?". "Due giorni". "Bene, prendiamo i tuoi due giorni!". "E tu?", si chiede ad un altro: "Tre giorni". "Ottimo prendiamo i tuoi tre giorni". E se ognuno dà quello che può la cosa riesce sempre. Cosa succede quando c'è da fare un lavoro in parrocchia: "Trecentomila euro?!". La gente si spaventa. "Tu cosa puoi dare?" "Dieci euro al mese!". "Bene!". "E tu?". "Io quindici al mese!". "Ottimo!". "Ma non finiremo mai di pagarlo?". "Tu non ti preoccupare; se tutti danno qualcosa finiremo anche prima del previsto". Cosa succede quando c'è un problema. Se ci si mette insieme, se ognuno dà quello che può, la cosa si fa. Alcune famiglie avevano il problema della scuola materna per i loro figli. Il costo era troppo elevato: così hanno condiviso quello che avevano. Uno aveva una grande taverna; due mamme che non lavoravano sono diventate le maestre; gli altri davano un contributo (così anche le mamme avevano la loro paga), ecc. Adesso hanno anche bambini di altre famiglie. Cosa succede quando si condivide ciò che si ha nel cuore? Che l'amore si moltiplica! Il miracolo succede ogni volta: a persone che magari neppure si conoscono, le si invita e si propone loro di parlare di sé, dei propri bisogni profondi, della proprie paure, delle proprie ferite in amore, dei propri disagi, di ciò che le appassiona o che le fa vibrare o dei loro sogni. All'inizio è un po' difficile ma poi si aprono. Si accorgono che ciò che è più personale è universale (tutti più o meno abbiamo gli stessi problemi, le stesse paure e situazioni simili!) e condividendo si sentono unite, si sentono vicine; l'empatia fra di loro cresce e un sentimento d'amore si sviluppa fra di loro. Dopo l'incontro persone estranee sono diventate vicine. Questa è la legge incredibile per la mente ma reale per il cuore: più si condivide e più ce n'è. Sentiamo dire in giro che sulla terra siamo in troppi. Ma non è vero perché la produzione degli alimenti attuale può sfamare non solo sei miliardi di persone (quelli che siamo) ma venti miliardi di persone. Il problema è che il 20% dell'umanità dispone dell'80% delle risorse. Ai ragazzi faccio questo esempio: "Facciamo finta, a mo' di esempio, che un panino sia sufficiente per vivere (un bel panino grande!). Bene. Due di voi ne hanno quattro. Cosa succede?". E loro rispondono: "Che si mangiano il loro panino e che gli altri sei li buttano via perché non sanno che farsene". "Giusto!". "E gli altri otto?". Allora rispondo: "Succede che due mangiano e vivono e gli altri sei non hanno nessun panino e muoiono". "Perfetto! È proprio così!". Non siamo in troppi ma troppo ingordi! Nel 1996 il vertice mondiale sull'alimentazione si proponeva di sradicare la fame dal pianeta per il 2015. Ma già due anni dopo la FAO doveva dichiarare irraggiungibile questo obiettivo. Nel 2008 i senza cibo sono saliti a 963 milioni, 40 milioni in più rispetto al 2007 e 115 milioni in più rispetto al 2003-2005. Ogni giorno muoiono 20.000 persone per denutrizione e 6.000 di sete: chi lo sa? L'11 settembre 2001 quando i terroristi fecero schiantare due aerei contro le Torri Gemelle di New York morirono 3.000 persone. La cosa, giustamente, paralizzò l'umanità. Eppure in quello stesso giorno morirono esattamente 16.400 bambini, sotto i cinque anni, per fame e denutrizione. In quell'anno i morti furono dodici milioni. Nessuno però rimase esterrefatto. Più si condivide e più ce n'è. Ma meno si condivide e più si muore. Se vuoi vivere, condividi: è la logica dell'amore, più dai e più ne hai. Se vuoi morire, tieniti tutto e sii geloso di ciò che hai: è la logica della morte, mi tengo tutto per non perderlo e invece lo perderò tutto. Ogni volta che vengo all'eucarestia vi è un unico pane: ce n'è per tutti, per me e per te. Ogni volta che vengo all'eucarestia devo imparare che tutti hanno il mio medesimo diritto al pane. L'eucarestia mi insegna che devo condividere e allora è festa per tutti. Noi escludiamo dall'eucarestia chi ha separazioni nel matrimonio, ma in realtà dovremo escludere chi non vuol condividere perché l'eucarestia è essenzialmente condivisione: un unico pane (Dio) che è per tutti. Ma la tradizione pane e pesce non solo era importante per l'eccedenza, ma anche per il senso di risanamento che aveva l'eucarestia. Se prendiamo il vangelo troviamo che quando il Risorto mangia con gli apostoli c'è un fuoco di brace con del pesce sopra (Gv 21,9). Dov'è che troviamo un altro fuoco? Durante la passione c'è Pietro (Gv 18,18) che si scalda attorno ad un fuoco acceso (perché faceva freddo!) insieme alla guardie che avevano arrestato Gesù. E attorno a quel fuoco gli diranno due volte: "Ma non sei anche tu dei suoi discepoli?". E una terza volta: "Sì, sì, sei proprio tu, quello che ha tagliato l'orecchio ad un mio parente!". Ma Pietro nega con tutte le sue forze (Gv 18,15-18. 25-27). Se quel primo fuoco allora è il fuoco del tradimento (Pietro rinnega Gesù e lo abbandona al suo destino), il secondo fuoco (quello eucaristico) è il fuoco della guarigione e del perdono. Come se Gesù gli dicesse: "Pietro, va tutto bene. Non parliamone più. Sta' in pace, ti ho perdonato. Pietro, ti amo lo stesso". E, infatti, per tre volte, subito dopo, gli chiederà: "Pietro mi ami?" (Gv 21,15-19). Tre volte lo aveva rinnegato e tre volte professerà il suo amore: attorno al fuoco eucaristico Pietro torna ad amare il Signore, si perdona il proprio tradimento (dopo averlo ammesso) e la propria colpa. E' un vero peccato che la tradizione pane e pesce si sia persa. Perché quel fuoco è un fuoco di riconciliazione, di guarigione, di risanamento, un fuoco per lasciar andare i propri errori, per poter ripartire. Pietro aveva fatto un errore enorme. Aveva giurato che sarebbe sempre stato vicino al suo maestro (Gv 13,36-38; Mc 14,29); gli aveva promesso fedeltà eterna e invece, alla prima difficoltà, ha rinnegato la sua promessa. Allora: anch'io vengo al fuoco dell'eucarestia e ho bisogno di quel fuoco guaritore e purificatore per i miei tradimenti. Prometto fedeltà a me ma poi mi tradisco. So che mi fa bene non lavorare troppo e stare di più con i miei figli. So che c'è bisogno di intimità, di gioco, di comunicazione e di parlarsi con mia moglie. Me lo prometto ma poi non lo faccio. So di vergognarmi dei piccoli sotterfugi che faccio per produrre di più o per evadere un po' il fisco o per superare la concorrenza. Mi giustifico: "Lo fanno tutti", ma so che è ingiusto. Mi dico: "Questa è l'ultima volta"... ma sono tante le ultime volte. Vorrei essere un uomo vero, piantato come un albero che non si sposta dai propri ideali e non piegarmi alla paura del giudizio, del restare da solo; vorrei avere il coraggio di seguire il mio cuore e ciò che so che dovrei essere e fare, ma poi a volte mi tradisco. Vorrei essere in grado di dire le cose per quello che sono e, invece, per il quieto vivere, perché non sono problemi miei, perché non mi toccano, per paura della reazione, non dico niente. Allora mi guardo allo specchio e so di tradirmi, so di non essere fedele a me stesso. Allora ho bisogno di quel fuoco guaritore per perdonarmi e per ripartire. Ho bisogno di quel fuoco dove Gesù mi dice: "Sì è vero mi hai tradito, ma so che mi ami, anche se a volte non riesci a farlo. Lasciamo stare, dai, ripartiamo!". Prometto fedeltà al mio compagno (compagno, cum-panis: colui con il quale si condivide il pane!). A volte non lo vorrei proprio, sogno e fantastico di avere altre persone con me e affianco a me. Non gli sono infedele con il corpo ma con il cuore sì. C'è una donna che quando "fa l'amore" con il suo compagno pensa sempre ad altri, solo così riesce a farlo. C'è un uomo che ha rapporti sia con la moglie che con l'amante. C'è una donna che sta insieme a suo marito perché "nessuno più la vuole" (dice lei), ma se potesse lo lascerebbe subito. Un'altra che, pur stando insieme, nel cuore si è già separata da quindici anni (e ne ha poco più di quaranta). Ho promesso fedeltà, ma non l'ho mantenuta. Mi guardo allo specchio e mi faccio schifo. Tutte le mie illusioni cadono, tutte le mie idee "sull'eterno, sul per sempre" si sono infrante. Allora ho bisogno di quel fuoco per risentirmi degno di vivere anche se sono stato infedele. E attorno a quel fuoco c'è Gesù che come ha perdonato la terribile infedeltà di Pietro può perdonare anche la mia e guarirmi in modo che io possa tornare ad amare di nuovo. Una delle grandi rivoluzioni di Gesù fu questa sua prassi di condividere il cibo e di mangiare con tutti. Gesù mangiava con gli esattori delle tasse, i pubblicani e i peccatori (Mt 9,10-13), ma anche con i farisei e gli uomini di legge (Lc 7,36-50; 11,37-54); mangiava con i lebbrosi (Mc 14,3), accolse durante uno di questi pasti donne di cattiva fama (Lc 7,36-37) e si invitava dai peccatori (Lc 19,1-10). Gesù mangiava sempre e con tutti. Di che cosa è accusato Gesù? Dagli uni e dagli altri, di mangiare sempre e di mangiare troppo, di essere un beone e un mangione; di mangiare quando non si doveva mangiare (di sabato, ad esempio) e di non rispettare le regole religiose (di mangiare senza fare prima le abluzioni). Ma perché tutti lo accusavano? Perché Gesù apriva la mensa a tutti. Ecco cosa accadeva al tempo di Gesù. I peccatori erano quelli che non potevano seguire le norme religiose e per questo erano esclusi dalla religione. La maggior parte della gente non poteva che essere peccatrice: se non riusciva neppure a vivere come poteva pagare le decime, digiunare, non lavorare di sabato, evitare di fare certi lavori impuri? Come poteva seguire tutte le norme di purificazione, i codici degli obblighi e delle purità? Questi non potevano proprio partecipare alla mensa nel Regno finale. Ma Gesù sconvolge il sistema perché ai suoi pranzi invita e va da tutti. Anzi sembra che più fossero peccatori e più Gesù ne fosse attirato ("Misericordia io voglio e non sacrificio: infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" Mt 9,13). I suoi pranzi non erano per i perfetti, per quelli giusti e santi. No, no, al contrario erano proprio per tutti quelli bisognosi, peccatori, per quelli che tutti rifiutavano e che nessuno amava. La sua missione non era di fondare un'elite di salvati e di uomini "in grazia" ma di fondare un ospedale per tutti i feriti del cuore e della vita, per tutti gli esclusi e i reietti. L'eucarestia non è un club per soci perfetti, puri e in grazia: è (per Gesù) l'assemblea dei non salvati. Non si capisce come nel corso dei secoli l'eucarestia, il pranzo dei peccatori, sia potuto diventare il pranzo dei puri. Per chi è l'eucarestia? Per tutti quelli che si sentono sofferenti, bisognosi e vulnerabili. Vengo da Gesù non perché sono in regola o puro ma perché ho bisogno del suo amore. Gesù mangia con me, anche se io sono come Zaccheo. In amore io rubo: chiedo tanto, pretendo dai miei figli obbedienza e rispetto, e da mia moglie tenerezza e disponibilità, ma non do niente. Gesù mangia con me, anche se io sono come l'esattore Levi: "Per niente, niente". Ti do solo se tu mi dai. "Perché stai di più con gli altri che con noi? Perché dovremo farlo noi se gli altri non lo fanno? Io faccio tanto quanto gli altri! E tu cosa ci dai?". Gesù mangia con me, anche se io sono come "la donna facile". Faccio finta di niente ma dentro di me so quali vergogne e quali squallidezze ci sono. Anche Lui le conosce ma lui viene lo stesso. Gesù mangia con me, anche se io sono un peccatore per la società: gli altri mi rifiutano (magari giustamente), gli altri mi detestano, gli altri mi odiano, ma Lui non mi rifiuta. Gesù mangia con me, anche se io sono come Giuda, anche se lo tradisco e lo vendo. Ogni volta allora che io vado all'eucarestia, ci vado con le mie mani sporche e impure. Se non ci fosse Lui, sarei dannato. Ma Lui viene lo stesso e si posa sulle mie mani e sul mio cuore, non perché io lo meriti ma perché io ne ho bisogno. Allora sento che sono ancora degno di vivere; sento che posso ripartire; sento che posso girare pagina; sento che il suo amore è più grande del mio errore; sento che ciò che il mondo non può perdonare Lui lo fa. Per questo l'eucarestia è una festa: è la festa non dei giusti ma degli amati! Ogni volta che vado all'eucarestia stendo le mie mani e Lui, nonostante tutto viene sulle mie mani: "Guarda che io ti amo lo stesso. Guarda che tu mi sei caro, che tu sei importante per me, che ti accolgo comunque, anche se tu non mi ami, anche se tu mi hai voltato le spalle". Quand'ero piccolo e m'arrabbiavo con la mamma, magari dicendole di tutto, sapevo che lei mi accoglieva lo stesso. Per lei ero sempre il suo tesoro. Per lei ero sempre il suo amore anche se la deludevo. Gesù è così e molto di più. Ogni volta che si celebra l'eucarestia il sacerdote dice: "Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue". So che parla di Gesù: Lui in quel pane viene a noi; quel pane è Lui. Ma quelle parole sono anche le mie parole che dico agli amici, a coloro che amo, al mio compagno o al mondo intero: "Questo è il mio corpo e questo è il mio sangue". E' il mio donarmi al mondo. Lo sposo dice alla sposa: "Questo è il corpo che tu ami, il corpo che tu incontri, che ti rassicura, che ti tranquillizza, il corpo che lavora, il corpo che si prenderà cura del giardino, dei tuoi figli e anche di te. Prendilo così com'è, mia sposa, con i suoi limiti e le sue difficoltà, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella sofferenza". E lei dice a lui: "Prendi mio compagno, questo è il mio corpo. Questo è il corpo che tu tocchi, che tu baci, è il corpo dell'amore, è il corpo che ha bisogno di te, che ti sta vicino, che a volte s'arrabbia, è il corpo che tu hai scelto, che tu conosci. E' il corpo che ti darà dei figli, è il corpo della persona con la quale tu hai scelto di condividere la tua vita e anche ogni giorno, oggi, domani, martedì, mercoledì; è il corpo che stirerà, che laverà, che ti preparerà da mangiare, è il corpo di cui dovrai prenderti cura. Prendilo così com'è, compagno mio, con i suoi limiti e le sue difficoltà, con i suoi alti e i suoi bassi". Lui dice a lei: "Prendi questo è il mio sangue, la passione, l'ardore, la forza, il coraggio, la stabilità. Questo è anche il mio dolore, sofferenza, pianto, fatica: prendi e bevi anche questo accoglilo, accettalo, amalo". E lei dice a lui: "Prendi questo è il mio sangue, il sangue di ogni mese, la mia vita, il sangue di tuo figlio, la gioia di vivere, di conoscere e la tenerezza. Questo è anche il mio dolore, sofferenza, pianto, fatica: prendi e bevi anche questo, accoglilo, accettalo, amalo". Madre Teresa: "Mi è difficile pensare che tu possa vedere Dio in un pezzo di pane e non nel volto del tuo fratello". Ma sarà più facile vederlo nel volto di tua moglie, di tuo marito, che in un pezzo di pane. Allora ogni volta che io sento le parole del vangelo: "Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue" (Mc 14,22.24) so che non è solo il suo donarsi a me ma anche il mio donarmi alla mia compagna e al mondo intero. Vivere una vita eucaristica non vuol dire andare in chiesa tutti i giorni. Vuol dire vivere facendo della propria vita un dono d'amore: mangia, abbeverati, riposati, curati, al mio corpo e alla mia casa. Perché se non posso dire a nessuno: "Questo è il mio corpo per te", che vita è? Come si può vivere senza donarsi a qualcosa o a Qualcuno? Se non faccio della mia vita un dono, la mia vita è un dono inutile. Perché se non posso dire a nessuno: "Questo è il mio sangue per te", la mia fatica, la mia lotta, la mia passione, il mio amore, che vita è? Se non posso donare, esprimere, dare ciò che ho di più profondo, intimo, mio, a che serve? Il pane è fatto per essere mangiato. Tenuto in cassetto diventa duro e non serve a nessuno. Il vino è fatto per essere bevuto e assaporato. Tenuto in disparte, col tempo diventa aceto, vecchio e non serve a nessuno. La vita è fatta per essere spesa, donata, altrimenti tenuta per sé è inutile. La felicità non è donare ma donarsi: allora si ha chiara e certa la sensazione di essere utili e che la propria vita abbia un senso profondo per sé, per il mondo e per l'universo. La felicità è poter dire: "Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue": mangiatene e bevetene. Pensiero della settimana La vita "mi mangia". Preferisco donarmi. |