Omelia (10-06-2012) |
don Luciano Cantini |
Vino nuovo «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?» È iniziata la Pasqua, i discepoli non si sottraggono ai riti antichi che celebrano l'Alleanza: quello legato al mondo agricolo con il pane azimo e quello legato al mondo nomade dei pastori con l'immolazione dell'agnello. Queste due tradizioni si intersecano e si intrecciano per dare memoria a quel popolo frustrato dalla schiavitù, su cui Dio si è chinato per liberarlo e ridargli dignità. I discepoli si offrono di andare a preparare la cena pasquale e, dalla domanda, sembrano distaccarsi dal maestro "perché tu possa mangiare". Nel gioco di parole è insita quella Pasqua di morte e resurrezione che solo il Cristo è chiamato a mangiare. Nella contrapposizione del noi-tu c'è l'espressione di un servizio ma sembra sottolinearsi una assenza di comunione. una grande sala, arredata e già pronta Come il re Davide voleva costruire un Tempio, ma è Dio che costruirà una casa a lui e alla sua discendenza. anche Gesù fa trovare, già pronta, una sala grande perché la comunione non ha misura; nessuno deve rimanere escluso, neppure colui che poi lo tradirà: "lì preparate la cena per noi". La Pasqua non è possibile senza la comunione, e la sala grande che il Maestro ha preparato per i suoi discepoli è proprio la comunione. lo spezzò e lo diede loro Spezzare il pane è il segno che il Signore lascia alla sua Chiesa perché possa riconoscere la sua presenza (Cfr. Lc 24,13-35); un gesto antico, semplice, naturale, un gesto che si ripete anche inconsciamente in ogni famiglia ed in ogni luogo in cui l'uomo condivide la vita con un altro uomo. Da questo vi riconosceranno (Gv. 13,35)... questo è il segno che accompagna la testimonianza di ogni credente: la capacità di spezzare il pane. La Chiesa, Corpo di Cristo, è proprio quel pane spezzato, segno che il Signore Gesù ci ha regalato a garanzia della sua presenza in mezzo a noi fino alla consumazione del tempo (Mt 28,20). In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio Strana affermazione questa di Gesù che lega quella cena e il Regno di Dio: nel mezzo c'è lo scorrere del nostro tempo, del tempo della Chiesa. C'è una festa, una ebrezza nuova che attende Lui e noi alla fine del tempo, nella pienezza del Regno ormai compiuto. Un banchetto attende tutti i popoli (Is 25,6) con grasse vivande e vini eccellenti. Nel frattempo, in questo nostro tempo il Signore non berrà il frutto della vite e della sapienza umana. Il suo sacrificio incombe su quella cena, il mistero della incarnazione tocca l'abisso del peccato: Gesù sarà scartato e gettato via come uomo non gradito, rifiutato dal genere umano. Non berrà più il vino frutto dell'ingegno umano, lui ne preparerà uno nuovo quando al termine del tempo ci accoglierà nell'amore del suo Regno. |