Omelia (24-06-2012)
don Alberto Brignoli
Dov'è finita la profezia?

Giovanni, colui che battezzava al di là del Giordano, in territorio straniero, il più grande tra i nati di donna, e il più piccolo nel regno dei Cieli, è considerato il ponte tra l'Antico e il Nuovo Testamento, colui che contemporaneamente porta a compimento la fase della profezia e inaugura la fase della testimonianza, del martirio, nel senso più proprio del termine.
Profeta e testimone: con queste due caratteristiche principali ricordiamo e veneriamo la figura del più importante tra i santi; al punto che è l'unico, insieme a Gesù Cristo e alla sua Vergine Madre, del quale ricordiamo e celebriamo, in due distinte ricorrenze, la nascita sulla terra e la nascita al cielo. Profezia e testimonianza hanno pervaso la vita di Giovanni il Battista, soprattutto dal momento in cui ha risposto positivamente alla chiamata che gli era stata predestinata "prima di formarsi nel grembo materno", e ha accettato di preparare la strada alla venuta del Messia. La sua testimonianza è evidente, forte e chiara, ed è forse la conseguenza del suo spirito profetico. Infatti, il suo profetico "parlare di fronte" al popolo, "in nome" di Dio, e "in favore di Dio", è stato talmente convinto e deciso che gli è costato il carcere, per uscire dal quale non ha avuto bisogno di altri testimoni, se non di se stesso e del suo sangue versato a conseguenza delle ingiustizie che si era permesso di denunciare a viso aperto, "di fronte" al popolo, "in nome" di Dio, e "in favore di Dio".
Proprio perché profeta, Giovanni era un testimone vero, scomodo ma profondamente onesto. Talmente onesto che egli, pur avendo la possibilità di sfruttare la sua grande popolarità e di presentarsi a tutti come il Messia, mai si presenta per ciò che non è: non è Elia, non è il Cristo, non è il profeta che deve venire, ma solamente si presenta come la voce che grida nel deserto annunciando l'arrivo del Signore. Egli solamente è venuto a battezzare nell'acqua, anticipando uno che ancora non è conosciuto, ma la cui grandezza è tale che di fronte a lui nessun uomo può avanzare pretese se non quella di essere servo, sciogliendo il laccio dei suoi sandali; e anche questo è già troppo! Egli non viene da se stesso; è mandato da Dio, ed è Dio a sapere chi è lui e qual è la sua funzione: egli è solamente la voce che grida nel deserto, mentre la Parola è un'altra.
È di testimoni come questi che il mondo ha bisogno oggi! È di gente che sa di essere voce di Dio, e non sua Parola, che i cristiani oggi hanno nostalgia! È di umili servi con il grembiule, e non di privilegiati signori in vesti luccicanti, che la Chiesa oggi ha assoluta necessità! È di profeti che spingano il popolo a qualcosa di veramente forte e ardito nella fede, che oggi i credenti vanno in cerca!
Ma dov'è finita la profezia, oggi? Che fine ha fatto la profezia tra i credenti? Profezia e testimonianza si inseguono: se sentiamo la mancanza di testimoni veri del Vangelo, forse, non sarà proprio perché sta venendo a mancare la profezia nella Chiesa?
Ci si lamenta che oggi la gente non va più in chiesa, che i cristiani non sono più così impegnati come una volta, che le attività in parrocchia vivono una fase di stanchezza... Ma noi, prima di tutto noi, uomini di chiesa, a cosa li muoviamo, a cosa li stimoliamo, a cosa li animiamo? Siamo ancora capaci di essere profetici, di aprire delle prospettive nuove, di allargare gli orizzonti, di denunciare "di fronte al popolo", "in nome" di Dio, e "in favore" di Dio, che oggi siamo stanchi di una fede banale, scontata, ovvia? A me pare che la nostra predicazione e la nostra pastorale hanno perso la profezia. Ci si accontenta di due "discorsini", di due cosette, di salvare il salvabile, di conservare quello che si ha per paura di perderlo giocando a qualcosa di più impegnativo. Viviamo una vita di fede e di chiesa che sembra una difesa a catenaccio, preoccupata solo di arroccarsi sulle proprie certezze per paura di capitolare, quando capitolati ormai lo siamo da tempo, perché abbiamo perso il contatto con la gente, il gusto per le cose impegnative, il desiderio di osare, di "prendere il largo" per pescare... ed è passato solo un decennio, da questo impegno preso nel Giubileo del 2000!
Piccole connivenze con gruppetti di fedeli che ci gratificano, chiacchiericcio pastorale, un po' di pettegolezzo clericale, conformità con quei due o tre valori non negoziabili, relazioni interessate con le autorità civili di turno per conservare qualche privilegio... questo lo chiamiamo "prendere il largo"?
Quante solennità di Giovanni Battista dovremo ancora attendere perché torni a farsi vivo nella Chiesa il suo spirito profetico, la sua parola di fuoco che scalda gli animi a cose più grandi, la voglia di osare percorsi nuovi, la sfrontatezza di cercare nuove soluzioni per le nostre attività in disfacimento, il desiderio di aprire le porte delle chiese ai cristiani in difficoltà, il coraggio di chiuderle in faccia a coloro che si credono i depositari della verità e disprezzano i più piccoli?
Quante volte ci ritroveremo ancora, dopo l'estate appena iniziata, a lamentarci perché siamo pochi, perché non c'è più voglia di fare, perché siamo in minoranza? Quando ci accorgeremo che non serve a nulla fare le vittime e piangerci addosso a vicenda perché "si è persa la fede", e che invece stiamo perdendo il treno della storia per correre dietro alle solite quattro banali cosette di sempre?
Che Dio non faccia mai mancare la profezia alla sua Chiesa!