Omelia (08-07-2012)
padre Gian Franco Scarpitta
In ogni caso, sempre annunciatori

Il ministero di chi annuncia la Parola di Dio non è facile in alcun caso e qualunque sia la dimensione nella quale si è chiamati ad operare si incontrano inevitabilmente ostilità e spesso anche rifiuti e persecuzioni. Nell'annuncio della Parola non è mai possibile pretendere di ottenere risultati a breve distanza, di raccogliere frutti proporzionati al proprio lavoro di predicazione e tantomeno è possibile essere accettati e accolti immediatamente dal popolo. Prima cha la gente si affezioni al nuovo sacerdote possono trascorrere anche molti anni e nel frattempo si diserta la chiesa perché si rimpiange il parroco precedente, che ovviamente è sempre migliore dell'attuale.
La Parola di Dio, proclamata con franchezza e coerenza da parte del ministro, specialmente quando comporti una logica o un criterio di comportamento da mettere in atto, suscita sempre un certo fastidio in ogni luogo; non di rado chi la pronuncia è costretto alle critiche e alle insinuazioni. Quando anni fa esordivo nei corsi catechetici in preparazione al Matrimonio, mi avvicinavo ai giovani nubendi con molta trepidazione, sapendo di dover dire la verità intorno a questioni etiche quali la contraccezione, le unioni di fatto, i rapporti prematrimoniali. Esordivo sempre con molta paura di essere assalito dalle feroci critiche e riprovazioni da parte dei giovani, anche se poi ciascuno degli incontri si concludeva (e si conclude) con molta serenità e stima reciproca.
La Parola del Signore, quando apporti delle verità ineluttabili e dei principi da mettere in atto, trova sempre i suoi avversi oppositori e rende il missionario bersaglio di continue insinuazioni e pregiudizi, per il solo fatto di esserne suo ministro. Essa comporta infatti l'accettazione di posizioni che non di rado si allontanano dalle nostre preferenze soggettive e comporta criteri di vita del tutto scomodi e inaspettati e per questo si prova difficoltà da parte del ministro nel conciliare l'amicizia con la verità oggettiva.
Anche in seguito ad un'omelia o ad una catechesi si viene non di rado osteggiati in ragione del messaggio evangelico e in generale il ministero della Parola non è mai fra gli esercizi più facili. Specialmente al giorno d'oggi, quando il pensiero e la morale corrente recalcitrano di fronte all'annuncio genuino del Vangelo e ci pongono nelle condizioni di dover affrontare molto spesso gli stessi interlocutori che toccarono ad Ezechiele: una genia di ribelli, un popolo dalla dura cervice. I destinatari odierni dell'annuncio non sono differenti da quelli a cui Dio costringeva il profeta suddetto: oltre che riluttanza dimostrano anche avversione, a volte astio e ostilità affermata.
Ma se la parola di Dio trova terreno arido dappertutto, essa non trova certo terreno fertile nella patria originaria di chi annuncia: a casa propria il missionario trova molte ragioni in più per non essere ascoltato nel suo annuncio e per essere categoricamente respinto in quanto latore della Parola.
"Non essere troppo esigente; non pretendere troppa preparazione"; "Sii breve e conciso nell'omelia". Sono espressioni che sono stato costretto a sentire proprio in questi ultimi anni da parte di alcuni miei parenti, quando mi sono recato nella mia terra di origine a celebrare in famiglia determinate funzioni rituali, che riguardavano un battesimo e un matrimonio. A proposito di un altro battesimo, poi, i genitori di quella bambina, anch'essi miei parenti che avevano organizzato la funzione in pompa magna assieme ad un vescovo, temevano addirittura che io potessi ostacolare i loro programmi di celebrazione (Tutto questo potere ho io?). Giungo apposta in aereo per dire qualche parola sincera e sentita ai nubendi durante la Messa e qualcuno, a cui non piace sentire troppi discorsi, mi raccomanda di tagliare corto nell'omelia...
Insomma, senza necessità di ulteriori commenti, è proprio vero quanto afferma Gesù nel suo Vangelo. Egli non dice che un profeta non è accetto nella propria patria, ma che "un profeta non è disprezzato SE NON nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua." Anche se non si tratta propriamente di disprezzo, è comunque certo che un apostolo provi molta difficoltà a farsi accettare come tale nella sua terra di origine, fra i parenti, conoscenti e familiari, poiché lo si vede appunto con eccessiva familiarità, considerando di lui il parente o l'amico, colui che ha intessuto in passato relazioni sociali interagendo con noi con estrema disinvoltura e confidenza. Si preferisce di lui solamente la figura del confidente e dell'amico e difficilmente si accoglie di lui il mandatario del messaggio evangelico. Ci consola tuttavia il fatto che Gesù viene visto anch'egli con occhi straniti da parte della gente a lui familiare che è abituata a conoscerlo sotto il solo aspetto umano: il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joeses... E se il Figlio di Dio si meraviglia dell'incredulità e della reticenza dei suoi conterranei, quanto dovremmo meravigliarci noi pastori nelle esperienze fatte a casa nostra?
Indipendentemente dai risultati e dalle reazioni è tuttavia indubbio che il ruolo del profeta resta sempre quello di recare l'annuncio veritiero della Parola senza compromesso né devianza alcuna e soprattutto senza demordere né scoraggiarsi nel suo intento. Proferire la verità senza scomporsi di fronte a possibili umiliazioni o frustrazioni dei nostri destinatari è determinante perché possiamo ottenere ricompense certe anche se non immediate che scaturiscono da Colui che ci ha resi degni di tanta fiducia.
Come insegna Paolo in una sua lettera dalla prigionia, se è vero che per amore del Vangelo si è costretti a recare anche le catene, la Parola di Dio non è incatenata e siamo sospinti dalla necessità ( e non dal vanto) di comunicare a tutti la verità genuina dell'annuncio a tutti i costi indipendentemente dalla sua accoglienza o meno. Chi invece a tutti i costi si oppone alla Parola, sarà vittima del suo stesso atteggiamento.