Omelia (11-01-2004) |
mons. Antonio Riboldi |
Il nostro secondo natale, il Battesimo La Chiesa, come prendendoci per mano per la nostra crescita alla scuola di Gesù, passato il periodo di vita a Nazareth, ci mostra l'inizio della vita pubblica, l'inizio della sua missione tra gli uomini. Era stato preceduto - come abbiamo meditato in tempo di Avvento - da Giovanni il Battista, che annunciava come il Messia ormai era in mezzo alla gente ed invitava alla conversione ed alla penitenza per accoglierLo. "Cosa dobbiamo fare?" gli chiedevano e noi sappiamo quali erano le risposte, che vanno a pennello anche ai nostri giorni. Giovanni celebrava il passaggio dal male al bene ossia la conversione con il battesimo nel Giordano: "Battesimo di penitenza", che doveva raffigurare quello di Gesù ben diverso "in acqua e Spirito Santo". Il battesimo era immergersi totalmente nell'acqua come un "morire" per "rinascere a vita nuova". Quel lavarsi era come un professare apertamente quanto gli Ebrei avevano fatto per mano di Dio proprio nel passaggio del Giordano per entrare nella terra promessa; lasciare la sponda della schiavitù e conquistare la sponda della libertà, che era vivere in pienezza l'amicizia di Dio. Anche Gesù va da Giovanni. "In quei giorni - racconta il Vangelo - Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. Uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di Lui come una colomba. E si sentì una voce dal Cielo: Tu sei il mio figlio prediletto in te mi sono compiaciuto". Il battesimo di Gesù era come un togliere all'uomo il fango dei peccati e, nello stesso tempo, iniziando la sua missione, sentire dal cielo proclamato solennemente chi davvero Lui era: "il figlio prediletto" cui dare fede e seguito. Tutti noi, che ci chiamiamo cristiani, iniziamo la nostra vita come figli, "in cui il Padre si compiace", nel Battesimo. E' il nostro secondo Natale, il più importante, quello che ci riporta nell'Eden di Dio. Quando, nascendo da mamma, vediamo la luce di questa terra, potremmo dire che siamo solo figli di questa terra. Ed è sempre una grande festa, - e speriamo sia sempre così - la più grande festa nella festa, perché vede la nascita della vita di un uomo. Ma quando mamma e papà ci portano al fonte battesimale, ri-nasciamo al cielo. E' il nostro secondo Natale, il più importante, perché diventiamo totalmente figli del Padre per la gioia del cielo. E' più che una festa il nostro Battesimo: è la più grande solennità della vita che possiamo celebrare. Con il Battesimo non siamo solo quel "pugno di cenere" che siamo, ma diventiamo "gloria del Dio vivente"; o, usando le parole delle mamme di Napoli, "siamo un pezzo di cuore di Dio". Non so cosa sia più dolce, se dire "papà" al padre che ci ha generati o dire "Papà" a Dio, che nel Battesimo ci fa suoi figli. Non so se sia più inebriante la tenerezza di una mamma che si china sul suo bambino, o la tenerezza che dal Battesimo mi viene da Dio-PAdre. So solo che vivere è dire un grazie ai miei genitori, ma dopo essere stato battezzato è trasformare la mia vita in un eterno banchetto eucaristico, un'àgape con Dio e con gli uomini miei fratelli. So che le mani di mia mamma hanno tracciato le linee del mio volto che si vede e lasciate le sue impronte nel cuore che non si vede: ma so che nel Battesimo le mani di Dio hanno tracciato "dentro" un volto che è di una bellezza simile alla sua, il volto della santità, che in qualche modo raffiguriamo con quella veste candida che ci viene indossata, pregati di non abbandonarla mai: una bellezza che purtroppo tante volte ci divertiamo a sfregiare con il peccato. So che il cuore di mio papà e di mia mamma si è come fatto "mio" ed io sono grande parte del loro cuore: ed è immenso. Ma so che il cuore di Dio ha plasmato e plasma ogni giorno il mio in modo da farlo diventare angolo di paradiso e con Lui vivere nella immensità della carità che comprende tutti gli uomini. Così una volta il Card. Ballestrero, mio grande amico e maestro di fede, ad un Sinodo sulla "vocazione e missione dei laici nella Chiesa" diceva: "Punto di partenza per tutti, laici e ministri, è il battesimo, fonte inesauribile che crea i nuovi figli di Dio, i nuovi fratelli di Cristo, le nuove creature...Dal Battesimo nasce e si sviluppa la varietà delle vocazioni, dei ministeri e dei carismi al servizio del Regno di Dio. Dal Battesimo fluiscono le ricchezze mirabili della Chiesa..." Il Concilio ha ancora parole più solenni parlando di noi battezzati: parole che danno l'ampiezza di quanto il Padre disse a suo Figlio: "Questi è il mio Figlio prediletto nel quale mi compiaccio". "Uno è il popolo eletto di Dio - afferma - un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, così come comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla speranza e indivisa carità. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione o al sesso" (Lumen Gentium, n.32). E' così tracciata la natura e la bellezza di ogni battezzato, e di tutti, nel popolo di Dio, che è la sua Chiesa. Sono affermazioni che dovrebbero essere incise nello stile della nostra vita come i meravigliosi segni della mano di Dio. Il Battesimo dovrebbe essere la riflessione quotidiana per dire, se non altro, un grazie a Dio. Fin da piccolo mamma ci metteva ogni giorno sulle labbra questo "grazie" con quella preghiera che non ho mai abbandonato e che anzi segna l'inizio della mia giornata: "Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo giorno (o questa notte)". E il segno della croce che accompagnava ogni azione della giornata era come la professione di fede dei figli di Dio. C'è da domandarsi, e seriamente, come mai è tenuto in così poco conto questa nostra meraviglia di figli del Padre da tantissimi battezzati, che considerano forse il Battesimo come un "rito" da compiersi, come una consuetudine, una formalità, non come la rigenerazione in Cristo. Come mai, mi chiedo, non ci si sente più avvolti dalla luce dell'essere figli di Dio, che è il più bel vestito che possa coprire la nostra povertà umana? Come mai non spunta sulle labbra la gioia di dire: "Io sono un battezzato, uno che Dio ha scelto come figlio ed ama, come solo il Padre sa amare?" Ci siamo forse fatti strappare la veste bianca per vestire gli abiti da pagliaccio del mondo, che sono fatti per divertire e non per mostrare la nostra bellezza di figli di Dio. E ci siamo fatti spegnere la luce, pallida se vogliamo, della candela della fede, consegnataci, per farci illuminare dalle false luci del marciapiede della città, che nulla hanno a che vedere con la luce del sole divino. E' sempre il card. Ballestrero a dare una risposta: "Questi non lo sanno o non sono convinti. In genere si rivolgono alla Chiesa come una realtà diversa, "altra" da quella che ci fa crescere con l'annuncio della Parola, i Sacramenti, l'Eucarestia e l'esercizio della carità". E chiudeva la sua riflessione con un invito, che è urgente anche oggi: "Bisogna lavorare intensamente perché i figli ridiventino figli agli occhi di Dio e non schiavi del mondo. Sarebbe in questo caso come essere ancora schiavi e non avere attraversato il Giordano". |