Omelia (01-07-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Non avere paura, solo credi Nella domenica tredicesima del tempo ordinario la Liturgia ci presenta un intenso brano di Marco (Mc.5,21-43), che chiede a ciascuno di noi, se desideriamo gustarlo e viverlo nella sua ricchezza, una attenta lettura personale: appare in questa pagina, il suo stile preciso, essenziale, e così denso nel descriverci i caratteri delle persone, le loro esperienze interiori, i loro drammi, i loro bisogni, le loro attese e nello stesso tempo il suo entrare sempre più profondamente nel mistero di Gesù di Nazareth. Ma la bellezza del Vangelo è proprio questa capacità di penetrare nella densità del mistero dell'uomo e nella inesauribilità del mistero di Gesù, senza violarlo, senza astrattezze, scoprendo quanto il mistero dell'uomo cerchi il mistero di Cristo e in Lui trovi la verità a cui aspira, non teorica, ma esperienziale, una verità "vera" perché è viva e dà gioia, speranza, motivo per una vita che ha senso. E' chiaro che il centro del "lieto annuncio" che questa pagina vuole darci è "la fede", la fede che è l'opposto della paura, è pienezza di vita per chi è povero di tutto, è la relazione libera, personale, pienamente realizzante tra ogni uomo in ricerca e la risposta di Gesù: Marco sta guidando noi, oggi, nel cammino della nostra fede. Per noi formati dal catechismo o dalla teologia, condizionati dalla nostra cultura, Marco lascia aperti i problemi che noi vorremmo fossero chiariti: ma la via che il Vangelo segue, non è quella della "teologia", ma dell'esperienza vissuta: e proprio a questo il Vangelo ci educa, al coraggio della verità interiore che ci fa incontrare la verità di Gesù. C'è ancora una grande folla attorno a Lui che sta lungo il mare. Dalla folla viene "uno" dei capi della sinagoga, di nome Giairo: è una autorità, nota. "Vedendolo, cade ai suoi piedi e lo supplica molto dicendo: ‘La mia figlioletta è in fin di vita; vieni a imporle le mani perché sia salvata e viva'". In Marco è l'unico caso in cui un capo religioso rivolge a Gesù una domanda: ma evidentemente in questa situazione in lui prevale l'uomo, l'autenticità del padre angosciato per la condizione della giovane figlia; non lo condiziona il ruolo sociale: "cade ai sui piedi e lo supplica molto". Prega perché la figlia sia salvata e viva: non solo perché non muoia, ma pure perché possa proseguire una vita che è solo agli inizi. La risposta di Gesù alla supplica del padre, non fatta di parole, sta tutta nell'incamminarsi con Giairo per accompagnarlo verso l'incontro con la figlia. A questo punto Marco nota ancora la presenza di una folla tanto che lo comprime. Questo gli permette di inserire nel racconto l'esperienza di un nuovo personaggio: una donna senza nome la cui condizione, descritta da cinque participi, è di soffrire da dodici anni di perdita di sangue, di aver molto sofferto a causa di molti medici, di aver speso tutto quello che possedeva, di non aver tratto nessun giovamento e di essersi anzi piuttosto aggravata. Ancora due participi: avendo sentito parlare di Gesù ed essendo venuta, dietro, tra la folla, preparano il verbo principale di questa lunga frase: toccò il suo mantello. In realtà, con questa frase singolare per Marco che usa sempre frasi semplici, egli descrive la situazione di questa donna senza nome, condannata ad una vita priva di relazioni e priva di mezzi, precipitata in un baratro di solitudine per la quale si apre una imprevedibile speranza. Anche lei emerge dalla folla e si appella ad un salvatore dal quale spera di essere liberata dal suo male e di essere restaurata nella sua femminilità. Senza parlare, ha cercato un contatto con il suo corpo, per avere da Lui l'unica speranza di salvezza: ha rischiato ed ha ottenuto ciò che voleva, "subito la sua perdita di sangue fu inaridita ed essa seppe nel suo corpo che era guarita". Se nel comportamento della donna c'era ancora qualcosa di magico, adesso tutto si fa nuovo nella parola di Gesù: anche lui ha sentito "dentro di sé" il farsi di una relazione nuova, personale, con una persona che lo ha cercato. Non finisce tutto nella salute fisica sperimentata dalla donna senza nome: adesso Gesù la interpella, la guarda, la chiama ad uscire dall'anonimato della folla: chi ha toccato le mie vesti? Adesso la donna deve riscoprire e ricominciare a vivere la propria identità: in una splendida frase Marco sintetizza tutta l'esperienza che questa donna sta vivendo, l'esperienza della sua vita ricostruita: "Allora la donna, impaurita e tremante, conoscendo ciò che le era accaduto, venne e si prostrò a lui e disse a lui tutta la verità". Certo, noi vorremmo sapere di più di ciò che sente dentro di sé questa donna, del cammino interiore che la conduce dalla accoglienza della sua povertà, dalla paura, all'accostarsi a Gesù, all'affidarsi a lui, al dire a lui "tutta la verità (quale? cosa?)": l'importante è che noi riviviamo personalmente questa esperienza ed arriviamo a dire a lui e a noi stessi "tutta la nostra verità". "E lui le dice: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male". Era sola, emarginata: adesso Gesù l'ha integrata nella "sua" famiglia. La sua fede l'ha salvata: la fiducia nella potenza di Dio presente nella carne di Gesù che le dà il coraggio di non disperare della sua fragilità, la salva, la mette in piedi per vivere una vita che si riscopre piena dei doni di Dio. Adesso può riprendere il cammino di Gesù con Giairo, verso la casa dove si trova la figlia sofferente: Giairo aveva fretta, l'incontro con la donna sofferente da dodici anni ha rallentato il cammino. Ma Giairo che non ha esitato a spogliarsi della sua immagine di autorità per non perdere la figlia, deve imparare a spogliarsi di tutto se stesso, di ogni progetto su di sé e sulla sua famiglia per ritrovare in pienezza la sua vita, deve imparare a fidarsi di Gesù che cammina con lui. Il momento più drammatico per Giairo è quando dalla sua casa vengono a dirgli: "Tua figlia è morta", tutto è finito, la sua speranza è ormai senza oggetto e quindi: "Perché disturbare ancora il maestro?" Ma a questo punto entra Gesù: ancora prima che Giairo reagisca, la Parola di Gesù si fa creatrice: "Non avere paura: solo credi". Anche questa frase, sintetizza in modo mirabile tutto il dramma dell'esistenza umana con la sua fragilità, la sua paura, a cui risponde solo la fede, la fede nuda, il coraggio della fede pura, che, sola, apre alla meraviglia di una vita nuova. E Marco costruisce tutta la scena: da una parte l'umanità che piange, si dispera...e dall'altra parte Gesù solo, che sembra dire cose senza senso, Gesù forte, che caccia via chi lo deride, chi lo blocca (la fede è, nel punto essenziale, rottura), Gesù che prende con sé i tre discepoli testimoni, il padre della bambina e finalmente anche la madre, ed entra dove era la bambina e presa la sua mano le dice: ‘Talità kum' (fanciulla alzati). "E subito la fanciulla si alzò e camminava: aveva infatti dodici anni". La fede nuda di Giairo ha permesso alla Parola di Gesù di diventare creatrice di una vita nuova: "e subito erano fuori di sé per la meraviglia". Non rimane che lo stupore di fronte alle meraviglie di Dio. Una donna senza nome, colpita da emorragia da dodici anni, è stata riportata alla normalità della sua vita feconda; una giovane ragazza all'età della pubertà ritrova la vita perduta: la fede in Gesù, nella sua Parola, è l'ingresso in una vita nuova, meravigliosa. Non per nulla tutto avviene nella casa, avviene nel corpo della donna: tutto è nuovo, vita nuova, relazioni nuove, famiglia nuova. La fede è l'apertura dell'uomo a Dio, perché egli faccia nuove tutte le cose. "Non avere paura: solo credi": e rimaniamo stupiti di fronte alle meraviglie di Dio. |