Omelia (17-06-2012)
mons. Vincenzo Paglia
Commento su Marco 4,26-34

Introduzione

Una volta seminato nel cuore dell'uomo, il regno di Dio cresce da sé. È una meraviglia di Dio tanto grande e tanto bella quanto grande e bella è la crescita delle piante, e tanto misteriosa quanto misteriosa è la trasformazione di un bambino che cresce e diventa uomo. Così la crescita del regno di Dio non dipende dalle forze umane; essa supera le capacità umane poiché ha in sé un proprio dinamismo.

Questo messaggio è un messaggio di speranza, poiché, adottando una prospettiva umana, potremmo dubitare del trionfo del regno di Dio. Esso si scontra con tanti ostacoli. Esso è qui rifiutato, là respinto, o, in molti luoghi, sconosciuto del tutto. Noi stessi costituiamo un ostacolo alla realizzazione del regno di Dio con la nostra cattiva volontà e con i nostri peccati. È bene dunque che sappiamo che, a poco a poco con una logica che non è quella umana, con un ritmo che a noi sembra troppo lento, il regno di Dio cresce. San Paolo, che era ispirato, percepiva già i gemiti di tale crescita (Rm 8,19-22). Bisogna conservare la speranza (Eb 3,6b). Bisogna ripetere ogni giorno: "Venga il tuo regno!". Bisogna coltivare la pazienza, quella del seminatore che non può affrettare l'ora della mietitura (Gc 5,7-8). Bisogna soprattutto non dubitare della realtà dell'azione di Dio nel mondo e nei nostri cuori. Gesù ci dice questo poiché sa che il pericolo più grande per noi è quello di perdere la pazienza, di scoraggiarci, di abbandonare la via e di fermarci. Noi non conosciamo né il giorno né l'ora del nostro ingresso nel regno o del ritorno di Cristo. La mietitura ci sembra ancora molto lontana, ma il tempo passa in fretta: la mietitura è forse per domani.

Omelia

Leggendo i Vangeli, ci si rende conto immediatamente di quanto sia centrale nella predicazione di Gesù il tema del "regno di Dio". Marco caratterizza in questo senso la predicazione di Gesù fin dall'inizio: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (1,15), annuncia il giovane profeta di Nazareth a coloro che incontra per le strade e sulle piazze della Galilea. Non proclama semplicemente l'esistenza del Regno - verità ben nota ai suoi ascoltatori - ma che quel regno si è avvicinato agli uomini. Non c'è quindi più tempo da perdere: è necessario e urgente decidersi. Chi non si lascia coinvolgere mette in pericolo la sua stessa salvezza. Il Regno non è, come qualcuno potrebbe pensare, di là da venire, un evento futuro che non riguarda personalmente gli ascoltatori. Al contrario, è ormai vicino, anzi in mezzo a noi. È come dire che la salvezza c'è già da oggi. Per questo il male e il suo potere sono sconfitti alla radice. Il tempo del loro trionfo è finito e ne è iniziata la rovina definitiva. Questa è la buona notizia - il "Vangelo" - che Gesù è venuto a portare agli uomini e per il quale chiede di convertirsi. La decisività di tale annuncio spinge Gesù ad usare ogni mezzo, compreso il genere letterario delle parabole, perché gli ascoltatori comprendano l'arrivo del Regno e la sua opera nella vita degli uomini. Del resto Gesù sa bene che ne va della stessa salvezza dei suoi ascoltatori. Non è una tra le tante verità da apprendere, ma è il cuore stesso del suo messaggio. Le parabole, perciò, non vogliono nascondere il mistero del regno. Al contrario cercano di coinvolgere più efficacemente gli uditori nella realtà che significano attraverso immagini evidenti. La stessa concretezza delle immagini spinge a toccare con mano il mistero che nascondono.

Il brano evangelico di questa domenica riporta due parabole del Regno. La prima racconta un fatto ben noto agli ascoltatori: "Così è il regno di Dio - comincia a dire Gesù - come un uomo che getta il seme sul terreno"; terminata la seminagione, il contadino attende pazientemente e senza troppe preoccupazioni il tempo del raccolto. La terra spontaneamente ("automaticamente", dice il testo greco) porta i suoi frutti. Verrà quindi il tempo della mietitura e allora il contadino potrà ammassare il raccolto dei suoi campi. Gesù richiama l'attenzione degli ascoltatori al "lavoro" che il seme compie, per sua energia interna, dal periodo della semina sino al raccolto. Non c'è dubbio che voglia portare conforto agli ascoltatori. Dobbiamo forse pensare alla comunità cristiana cui si rivolgeva Marco, la quale viveva momenti molto difficili di persecuzione. E senza dubbio i credenti si chiedevano dove fosse la forza del Vangelo, e perché il male e le difficoltà sembravano vincere su tutto. Gesù era forse morto e risorto invano? Talora anche noi, sebbene in condizioni diverse da quelle della comunità di Marco, pensiamo cose analoghe. Quante volte, ad esempio, sentiamo ripetere frasi come queste: "Dopo tanti anni di predicazione evangelica, come mai il mondo è ancora così pieno di cattiveria?", oppure: "Dov'è il regno di Dio e la sua forza?". Ebbene - risponde Gesù - come il seme, una volta gettato a terra, spunta e produce frutto, così è per il Regno di Dio. I credenti debbono sapere che il Signore stesso è all'opera nella nostra vita e nella storia degli uomini e in lui dobbiamo riporre tutta la nostra fiducia. Il Regno è vicino perché il Signore ci è vicino, il Regno opera perché il Signore è all'opera. Ovviamente Gesù non vuole sminuire il nostro impegno, né invitare a dormire e ad adagiarsi nella convinzione che il Regno cresca e si sviluppi comunque. Il testo evangelico sottolinea unicamente che la sovranità di Dio sul male è ormai definitiva.

La parabola seguente continua a paragonare il Regno di Dio ad un piccolo seme, anzi al più piccolo di tutti: il seme di senape. Ovviamente non è casuale l'insistenza sulla piccolezza del seme. Non si fanno cose grandi perché si è potenti o perché si è grandi. Nel Regno di Dio avviene esattamente il contrario di quanto accade tra gli uomini. "Chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti", dice Gesù ai discepoli. Colui che si fa piccolo e umile produce molto frutto. Il piccolo seme di senape quando cresce diviene un arbusto alto anche tre metri e gli uccelli riescono a posarsi e talora anche nidificare su di esso. Gesù dice che il Regno di Dio ripercorre la stessa vicenda di questo piccolo seme. Il Regno perciò non si impone per la sua potenza esteriore e per la sua grandiosità. Al contrario segue una logica diversa da quella del mondo: sceglie la via della debolezza per affermare l'energia dirompente dell'amore e privilegia i piccoli, i deboli, i malati e gli esclusi per manifestare la forza straordinaria della misericordia. Dove il Regno arriva, gli affamati vengono saziati, gli afflitti consolati, i poveri accolti, i malati guariti, i soli confortati, i carcerati visitati, i nemici amati. Il Regno è là dov'è l'amore. Questo cambia molte cose. Si potrebbe dire che non si va in Paradiso con le opere di carità; piuttosto si sta già in Paradiso quando si vive la carità.
L'aspetto nuovo di questa predicazione evangelica consiste nello stretto rapporto che Gesù pone tra sé, la sua opera e il Regno. Gesù è il Regno, si identifica in esso. Egli è il seme gettato nella terra degli uomini, un seme piccolo, debole, maltrattato, ingiuriato, scartato, anzi cacciato fuori. Eppure questo seme gettato a terra, una volta morto, è risorto e attraverso i discepoli, suo corpo mistico, ha esteso i suoi rami sino ai confini della terra. Già il profeta Ezechiele, mentre si trovava esule in Babilonia, aveva preannunciato che un fragile ramo, come è la punta del cedro, sarebbe divenuto un albero robusto e ristoratore. "Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente lo pianterò sul monte alto d'Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico" (Ez 17,22-23). I discepoli, nella misura in cui si lasciano coinvolgere, anzi travolgere dal piccolo libro dei Vangeli, possono entrare a far parte del Regno di Dio e divenirne gli umili servitori.