Omelia (24-06-2012)
mons. Vincenzo Paglia
Commento su Luca 1,57-66.80

Introduzione

Per bocca del profeta Dio annunciò: "Per voi... cultori del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla" (Ml 3,20). L'inno di Zaccaria è il mirabile sviluppo di questa profezia. Quando, obbedendo all'ingiunzione dell'angelo, diede a suo figlio il nome di Giovanni (che significa: Dio è misericordioso), avendo fornito la prova di una fede senza indugi e senza riserve, la sua pena finì. E, avendo ritrovato la parola, Zaccaria cantò un inno di riconoscenza contenente tutta la speranza del popolo eletto. La prima parte, in forma di salmo, è una lode a Dio per le opere da lui compiute per la salvezza. La seconda parte è un canto in onore della nascita di Giovanni e una profezia sulla sua futura missione di profeta dell'Altissimo. Giovanni sarà l'annunciatore della misericordia divina, che si manifesta nel perdono concesso da Dio ai peccatori. La prova più meravigliosa di questa pietà divina sarà il Messia che apparirà sulla terra come il sole nascente. Un sole che strapperà alle tenebre i pagani immersi nelle eresie e nella depravazione morale, rivelando loro la vera fede, mentre, al popolo eletto, che conosceva già il vero Dio, concederà la pace. L'inno di Zaccaria sulla misericordia divina può diventare la nostra preghiera quotidiana.

Omelia

Passiamo all'altra riva". Questo comando di Gesù ai discepoli, che apre la narrazione evangelica (Mc 4,35-41) di questa domenica, interroga in maniera particolare la tentazione di fermarsi, di rinchiudersi in se stessi, nel proprio orizzonte abituale. La narrazione evangelica ci fa intuire che la traversata non è affatto facile. Sembra iniziare di sera (lo fa pensare il sonno di Gesù). C'è una analogia ai nostri giorni; la caduta di orizzonti ideali, l'assenza di visioni nuove. È necessario un orizzonte nuovo, più grande. Ma questo è possibile solo se si obbedisce al comando di Gesù. Sulla sua parola i discepoli salgono sulla barca. Ma ecco che, poco dopo, si scatena una tempesta; un fenomeno frequente nel lago di Genezaret. I pescatori, in genere, fanno appena in tempo ad accorgersi della furia del vento che già l'imbarcazione è in balìa delle onde. La scena accennata dall'evangelista è emblematica. La barca è sballottata nella tempesta e Gesù dorme; gli apostoli si preoccupano sempre più e la loro paura cresce, mentre Gesù continua a dormire tranquillo. Un atteggiamento che appare quantomeno sconcertante ai discepoli. Sembra che a Gesù non importi nulla di loro, della loro vita, delle loro famiglie. Lo spavento cresce sempre più sino a che i discepoli svegliano Gesù e lo rimproverano: "Non t'importa nulla che moriamo?". È un grido di disperazione, ma possiamo leggerci anche la fiducia in quel maestro; ha un sapore forse un po' rozzo, ma contiene una speranza. Anche la nostra preghiera talvolta è simile ad un grido di disperazione teso a svegliare il Signore. Quanti di noi sono colti dalla tempesta e non hanno altro a cui aggrapparsi se non il grido di aiuto, mentre sembra che il Signore dorma? Quel grido è vicino a tante situazioni umane, talora a popoli interi provati sino alla morte. Il sonno di Gesù può significare il trovarsi a suo agio tra i discepoli in quella traversata, ma certamente indica la sua piena fiducia nel Padre: sa che non lo abbandonerà. Prendere con noi il Signore vuol dire imbarcare la sua fiducia e il suo potere.

Al nostro grido si sveglia, si alza ritto sulla barca, e minaccia il vento e il mare in tempesta. Subito il vento tace e si fa bonaccia. Dio ha vinto le potenze ostili che non permettevano la traversata (a tale proposito va notato che nell'Antico Testamento. la creazione viene descritta come un combattimento di Dio contro il mare, rappresentato come un mostro). L'episodio si chiude con una notazione singolare. I discepoli furono presi da una grande paura, e si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui?". Il testo di Marco parla di paura più che di stupore. Ed è una paura più grande di quella che avevano sentito poco prima per la tempesta: non si identifica con l'angoscia, ma può accompagnarsi ad una completa fiducia nel Signore. Questa seconda paura non solo non è meno forte della precedente, ha dei caratteri incisivi, che giungono fin nel profondo dello spirito. Potremmo dire che qui si tratta del santo timore di stare alla presenza di Dio: il timore di chi si sente piccolo e povero di fronte al salvatore della vita; il timore di chi, debole e peccatore, viene comunque accolto da colui che egli ha offeso e che lo supera nell'amore; il timore di non disperdere l'unico vero tesoro di amore che abbiamo ricevuto; il timore di non saper profittare della vicinanza di Dio nella nostra vita di ogni giorno; il timore di non disperdere il "sogno" di un nuovo mondo che Gesù ha iniziato anche in noi e con noi. È proprio questo timore il segno che ci fa comprendere di stare già sull'altra riva.